Sunday, September 8, 2024

Il Cappello di paglia di Firenze - Teatro alla Scala

Foto: Brescia & Amisano

Massimo Viazzo

Il Cappello di Paglia di Firenze di Nino Rota torna al Teatro alla Scala dopo le acclamate recite del 1998 che fecero conoscere al grande pubblico l’allora giovanissimo Juan Diego Florez che cantò nel ruolo del protagonista. L’opera è davvero esilarante e l’ormai annuale Progetto Accademia ha fatto bene a puntare su questo titolo. La vicenda si sviluppa a Parigi durante il giorno di nozze di due giovani innamorati. Una serie di equivoci, di situazioni imbarazzanti, di spassosi malintesi, legati principalmente alla ricerca spasmodica di un cappello di paglia confezionato a Firenze, le conferiscono un ritmo indiavolato che genera una irrefrenabile ilarità in grado di strappare spesso sorrisi. E la musica, brillante e arguta, segue la vicenda di pari passo, sottolineando situazioni, amplificando sensazioni, preparando ambientazioni, in una vorticosa serie di citazioni tratte dalla storia dell’opera (Rossini, Verdi, Wagner, Puccini... ), ma anche dalle proprie partiture per il cinema. E sì perché Nino Rota (1911-1979) è noto al grande pubblico soprattutto come compositore di colonne sonore. La sua musica da film rappresenta un tassello fondamentale nella storia di questo genere. Basti pensare alla sua celebrata collaborazione con il regista italiano Federico Fellini. Composta nel 1945 su libretto proprio e della madre, Il Cappello di paglia di Firenze fu rappresentata per la prima volta al Teatro Massimo di Palermo dieci anni più tardi con ottimo successo. Per valorizzare questo piccolo gioiello farsesco del ’900 ci vogliono però un direttore e un regista che conoscano a menadito i meccanismi dell’opera buffa, ritmi, cliché, battibecchi e parapiglia, senza però eccedere con esagerazioni e istrionismi, e che abbiano la capacità di seguire con estrema attenzione il passo frenetico teatrale, senza mai cadere nel volgare. E in tal senso la Scala ha fatto centro. La bacchetta è stata affidata a Donato Renzetti, direttore d’orchestra preparato ed esperto, che ha saputo comunicare freschezza e vitalità guidando con eleganza e musicalità l’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala. Come pure lo spettacolo firmato da Mario Acampa (con la scena girevole perfettamente funzionale di Riccardo Sgaramella, i costumi appropriati di Chiara Amaltea Ciarelli, le luci create da Andrea Giretti e gli spassosi movimenti coreografici curati da Anna Olkhovaya) è piaciuto per la sua capacità di trasmettere esuberanza, dinamismo e brio senza mai cadere (per fortuna!) nell’indecente o nel grossolano. Acampa ha inoltre mostrato buona attitudine nel guidare i cantanti nella recitazione, sempre spigliata e naturale. È piaciuta anche la sua idea di presentare la storia come si trattasse di un lungo sogno (incubo?) del protagonista Fadinard, sogno in cui le vicende strampalate del libretto possono prendere vita e in cui tutto è molto più verosimile. Il cast era costituito da allievi (e qualche ex allievo) dell’Accademia Teatro alla Scala, tutti efficienti e calati nei loro ruoli. Si è notato un grande lavoro di squadra nella preparazione di questo titolo. Si sono apprezzate sicurezza tecnica, adeguatezza timbrica, comunicativa, dizione chiara e precisa, e recitazione curatissima, caratteristiche che si sono potute ammirare praticamente in tutti i componenti del cast. Ecco i loro nomi: Andrea Tanzillo (Fadinard), María Martín Campos (Elena), Xhieldo Hyseni (Nonancourt), Chao Liu (Beaupertuis), Marcela Rahal (la baronessa di Champigny), Greta Doveri (Anaide), Wonjun Jo (Emilio), William Allione (un caporale delle guardie), Paolo Antonio Nevi (lo zio Vezinet), Fan Zhou (una modista), Haiyang Guo (Felice), Tianxuefei Sun (Achille di Rosalba) e Daniel Bossi (il violinista Minardi). Il Coro dell’Accademia Teatro alla Scala è stato diretto da Carlo Sgrò. Applausi per tutti per una serata all’insegna di spensieratezza e divertimento.

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