Foto: Mattia Gaido & Simone Borrasi
Massimo Viazzo
«Manon, Manon, Manon» l’inedita Trilogia programmata come prologo alla nuova stagione del Teatro Regio di Torino e che ha già visto le rappresentazioni del primo titolo, Manon Lescaut di Puccini (link https:// proopera.org.mx/contenido/criticas/manon-lescaut-en-turin/), è proseguita con la Manon di Jules Massenet (1842-1912). E anche questa volta il regista Arnaud Bernard ha pescato nella cinematografia storica francese per trovare l’elemento unificante della triplice produzione. Il film scelto per fare da pendant sul fondale alle azioni in palcoscenico è stato La Vèritè, film del 1960 diretto da Henri-Georges Clouzot con Brigitte Bardot come interprete principale, una femme fatale tentatrice, provocante, insubordinata e bellissima che si può accostare senza indugio, sia caratterialmente che come aspetto, al personaggio principale dell’opera di Massenet. Nel film, che all’epoca della sua uscita suscitò enorme scandalo, la Bardot (nei panni di Dominique) è accusata dell’assassinio dell’ex fidanzato e alla fine si toglierà la vita prima che il tribunale emetta la sentenza. Le fasi processuali che caratterizzano la pellicola francese anticipavano gli eventi del libretto all’inizio di ogni atto dell’opera, tenendo sempre il dito puntato con tono accusatorio su Manon stessa. Film e spettacolo live si passavano così la palla in un gioco di interscambio molto stimolante, con il tribunale visibile anche nell’impianto scenografico preparato da Alessandro Camera, incombente nella parte superiore del palcoscenico, mentre sotto si svolgeva l’azione narrata dal libretto modellata come veri e propri flashback sulla vita della protagonista. L'atout vincente dell’allestimento pensato da Arnaud Bernaud (tra l’altro bellissimi i costumi preparati da Carla Ricotti) è stato la sua attitudine nel trovare l’equilibrio tra due linguaggi per nulla simili ma che qua si autoalimentano interagendo con naturalezza. Tutti i cantanti hanno mostrato di essere ottimi attori e, tutto sommato, questo è stato il pregio maggiore della produzione perché dal punto di vista vocale non sempre tutto è filato liscio. Ekaterina Bakanova ha interpretato una Manon credibile sulla scena: una Manon fragile ma anche volubile la sua. La Bakanova ha mostrato una vocalità espressiva e determinata, riuscendo anche a ripiegare nell’intimo. Ma in zona acuta la voce non è sempre parsa appoggiata nel modo migliore dando seguito a qualche forzatura e a suoni non sempre a fuoco. Il Cavaliere des Grieux di Atalla Ayan è piaciuto per musicalità e comunicativa. Il tenore brasiliano ha cantato con una discreta proiezione vocale ed è parso più a proprio agio nei momenti lirici (come nella magnifica aria che chiude il secondo atto En fermant les yeux). Timbro franco e spavaldo in palcoscenico Björn Bürger ha vestito i panni di Lescaut, mentre un po’ sfocato è parso Brétigny interpretato da Allen Boxer. Un lusso poi avere Roberto Scandiuzzi nel ruolo del Conte des Grieux, cantato con voce profonda e buona proiezione. Ben affiatato il trio delle ragazze, Pousette, Javotte e Rosette, interpretate rispettivamente da Olivia Doray, Marie Kalinine e Lilia Istraitii, mentre Guillot de Mortfontaine, che in questo allestimento verrà ucciso da Manon alla fine del quarto atto (stessa cosa successa nell’idea registica di Bernard a Geronte in Manon Lescaut di Puccini) è stato reso da Thomas Morris soprattutto con le sue doti da tenore caratterista. Sul podio Evelino Pidò ha garantito una direzione efficiente e teatrale, senza esagerazioni, mentre Ulisse Trabacchin ha mostrato ancora una volta l’affidabilità del coro.