Massimo Viazzo
«Manon
Manon Manon» è il titolo di un originalissimo progetto che il Teatro Regio di
Torino ha approntato per il mese di ottobre. In una sorta di inedito Trittico
si potranno ascoltare in rapida successione (e in ordine cronologico inverso)
le tre opere liriche incentrate sul personaggio di Manon ideato nel XVIII sec
dallo scrittore e storico francese Antoine François Prévost: Manon Lescaut di
Puccini (1893), Manon di Massenet (1884), Manon Lescaut di Auber (1856). Tre
visioni complementari della protagonista, quella pucciniana più passionale e
ribelle, quella di Massenet invece molto più introspettiva e tormentata, mentre
per Auber Manon è più frivola. Il trait d’union delle tre produzioni è il
regista Arnaud Bernard, che per cercare omogeneità e congruenza si è spirato a
tre epoche . diverse del cinema francese. E forse non a caso proprio qui a
Torino, dove si trova uno dei Musei del Cinema più belli in assoluto.Manon
Lescaut di Giacomo Puccini (1858-1924), compositore a cui il Regio ha dedicato
nella stagione un robusto omaggio a corollario delle celebrazioni del
centenario della morte, andò in scena per la prima volta proprio a Torino la
sera del 1 febbraio 1893 alla presenza del compositore, e fu un trionfo. Per il
titolo pucciniano, primo di questo originale Trittico, Bernard si è rifatto al
realismo poetico, corrente cinematografica che si sviluppò in Francia negli
anni 30 del secolo scorso. L’ambientazione
quindi giocava parecchio sul bianco e nero, sui chiaroscuri e più l’opera
procedeva più si notava l’intimità del tratto registico tra continui rimandi
tra le proiezioni cinematografiche e la scena live. Sul fondale scorrevano le immagini
meravigliose di Les Enfants du paradis (Amanti perduti) e Le Quai des brumes
(Il porto delle nebbie), entrambi di Marcel Carné, La Bête humaine (L’angelo
del male) di Jean Renoir e Manon di Henri-George Clouzot, per un connubio tra palcoscenico e cinema in
generale ben riuscito, anche se soprattutto nella parte finale dell’opera, la
presenza delle immagini proiettate è parsa talmente potente (emotivamente
sconvolgente il finale del film Manon di Clouzot) da provocare un certo
disorientamento per lo spettatore che non sapeva se concentrarsi di più sulle
immagini o sul canto. Lo spettacolo
comunque è stato complessivamente equilibrato, garbato in molti punti, trovando
una via sicura e efficiente tra tradizione e innovazione. Il cast è stato
organizzato in modo adeguato. Erika Grimaldi ha interpretato Manon con voce
lirica, timbricamente luminosa, dando il meglio di sé nei pezzi chiusi (arie e
duetti). Il De Grieux generoso e volitivo di Roberto Aronica ha convinto
soprattutto quando la tessitura saliva e il canto si faceva più passionale.
Virile e estroverso il Lescaut tratteggiato da Alessandro Luongo con voce sana
e timbro rotondo. Un lusso poi avere Carlo Lepore come Geronte di Ravoir. Tra i
comprimari da ricordare soprattutto la prova di Didier Pieri nel doppio ruolo
del lampionaio e del maestro di ballo, tenore dalla voce ben timbrata e
omogenea, e dalla schietta musicalità. Renato Palumbo ha diretto senza
particolari guizzi, ma ha saputo comunque tenere un passo teatrale convincente,
mentre gli interventi del Coro del Teatro Regio sono stati coordinati con
attenzione e cura da Ulisse Trabacchin.
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