Massimo Viazzo
Gianandrea Noseda conosce come pochi queste opere, avendole studiate negli anni di apprendistato, direttamente al Mariinsky di San Pietroburgo con Valery Gergiev. Anzi posso affermare che tra i “non russi” il direttore milanese è oggi uno dei più accreditati a livello internazionale in questo repertorio. La sua Dama di Picche, andata in scena al Teatro Regio di Torino, coglie benissimo quel mix di fatalismo e fanatismo che le sono connaturati. Già dalle prime battute del preludio un Noseda ispiratissimo ci scaraventa nel mondo allucinato e claustrofobico del capolavoro čajkovskijano con la sua bacchetta incalzante, ora energica ed appassionata, ma sempre concentrata sul dettaglio e sul fraseggio. Il passo teatrale è spedito senza essere frenetico e la cura degli impasti strumentali (il suono livido degli archi in sordina che apre la scena seconda del secondo atto sarà difficile da dimenticare) assolutamente idiomatica. Bravissimo! Denis Krief (che ha sostituito all’ultimo momento l’annunciato ed emergente Dmitri Cerniakov) ha fatto probabilmente di necessità virtù. La diminuzione rilevante dei finanziamenti statali in Italia evidentemente sta cominciando a farsi sentire… Krief sceglie quindi la via del minimalismo. Ma lo fa con consapevolezza e grande maestria. Tutta l’azione si svolge su una pedana trapezoidale che si palesa fin da subito come il tragico tavolo verde da gioco, letto di morte di German e della sua ossessione nell’ultima scena dell’opera. Una parete riflettente in alto e un fondale semovente (più qualche scarno elemento scenico) sul quale luci di taglio, magistralmente manovrate dallo stesso Krief, proiettano ombre inquietanti ed incombenti completavano la scena. Il regista franco-italiano ha diretto i cantanti ponendo la massima attenzione sulla recitazione, così un semplice sguardo, un movimento minimo, una intenzione appena abbozzata, acquisivano una forza dirompente. Buono nel complesso il cast a cominciare dalla Liza emozionante di Kristine Opolais, sicurissima nel registro acuto, sonoro e penetrante. La sua “Aria” dell’ultimo atto ha strappato l’applauso convinto del pubblico. Il tenore Kor-Jan Dusseljee, German, ha cantato con generosità. La sua voce non mancava di squillo anche se era un po’ penalizzata da una emissione un po’ forzata con una timbrica non proprio bellissima. Anja Silja non ha certo bisogno di presentazioni: la sua Contessa ha fatto letteralmente “paura”! La scena della morte la consacra ancora una volta, alla “tenera” età di 69 anni, come una delle artiste più carismatiche che calcano i palcoscenici. Quando ha intonato “Je crains de lui parler la nuit” ha raggelato il sangue. Brava anche Nadežda Serdjuk, una Polina vigorosa, energica e di forte carattere. Ricordo anche il Tomskij di Jurij Batukov dalla linea di canto non raffinatissima e Vladislav Sulimskij, un Eleckij commosso, ma non immacolato nell’intonazione. E non si può dimenticare, infine, la strepitosa prova del Coro del Teatro Regio diretto da Roberto Gabbiani, che quando canta così ha pochi rivali non solo in Italia!
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