Foto: Brescia & Amisano
Massimo Viazzo
Finalmente! Finalmente l’opera contemporanea commuove, conquista, esalta il pubblico. Finalmente la voce umana si rimpossessa della melodia. Finalmente la tonalità non viene vista più come il nemico numero uno da combattere, da neutralizzare sul nascere. Finalmente si esce da teatro con in testa melodie cantabili e non fruscii e sibili, armonie sinuose e non rumorose, si rispolverano persino le certezze di una volta, le vecchie e sane arie, i duetti, i terzetti e persino un quintetto. Ma che meraviglia! The Tempest ci ha riconciliato con l’opera e potrebbe costituire un buon punto di partenza affinché l’opera si riappropri del proprio tempo e il nostro tempo si riappropri di questa straordinaria forma di spettacolo che proprio con la contemporaneità ha sempre spartito gioie e dolori. Dal secondo dopoguerra in poi le opere che sono entrate stabilmente in repertorio - a parte quelle dei grandi specialisti del genere come Prokofiev e Britten, e qualche unicum (ad esempio mi vengono in mente i nomi di Stravinskij, Bernstein e Poulenc) - sono pochissime. Thomas Adès con il suo capolavoro ispirato all’omonima pièce shakespeariana ha fatto centro! Andata in scena per la prima volta a Londra nel 2004, The Tempest è stata ripresa molte volte un po’ dovunque (Strasburgo, Copenhagen, Santa Fe, Lubecca, Québec, New York, Francoforte, Vienna e Budapest). Ed è l’allestimento di New York del 2012, curato da Robert Lepage, quello che è approdato alla Scala in coda a questa stagione, tra l’altro per una giusta quadratura del cerchio in quanto questa produzione è ambientata proprio nel teatro milanese. «Milan the fair, Milan the artful, Milan the rare, Milan the skilful, Milan my library, Milan my liberti» canta Prospero poco dopo l’inizio del primo atto, quando racconta alla figlia Miranda gli antefatti che li hanno condotti sull’isola sconosciuta. Lepage individua proprio il Teatro alla Scala come luogo in cui coagulano tutte le forze razionali e di ingegno della città. Ecco quindi che l’opera si svolge in una metaforica isola incantata che in realtà è un teatro, da sempre luogo magico e ammaliante per eccellenza, in un sottile gioco di teatro nel teatro, già visto molte volte in verità (anche qui alla Scala), ma mai come questa volta questo espediente è stato tanto azzeccato. Thomas Adès ha diretto con una concentrazione massima, ogni dettaglio coloristico è stato messo in evidenza come meglio non si potrebbe, ogni accorgimento contrappuntistico ha ricevuto il giusto risalto, il tutto con l’obiettivo di dare una forte coesione alla grandiosa partitura, che, ricordo, scaturisce da un’unica breve cellula motivica. E l’Orchestra del Teatro alla Scala ha risposto alle sollecitazioni del compositore, pianista e direttore inglese con attenzione e consapevolezza. Nel cast hanno brillato Audrey Luna, un acrobatico e vertiginoso Ariel, capace di toccare con la sua voce vette siderali difficilmente ascoltabili in teatro, la commossa Miranda di Isabel Leonard, di timbrica brunita e voce omogenea e calda, Leigh Melrose, un Prospero, sempre in scena, dalla dizione scolpita, capace di modulare il proprio strumento vocale passando con facilità dalla malinconia e amarezza alla tracotanza e alla violenza dell’accento. Josh Lovell ha impersonato un Ferdinand giustamente sognante, mentre suo padre, il Re di Napoli era cantato da Toby Spence, voce britteniana penetrante e angosciante. Al saggio Gonzalo ha dato voce, di bel colore, rotonda e ben timbrata, Sorin Coliban. Robert Murray (Antonio), Paul Grant (Sebastian), Kevin Burdette (Stefano), Owen Willetts (Trinculo) e Frederic Antoun (Caliban), quest’ultimo afflitto da una indisposizione annunciata prima dell’inizio della recita, completavano una compagnia di canto di alto profilo e molto ben affiatata. Straordinaria, infine la prova del Coro del Teatro alla Scala, guidato come sempre con grande dedizione da Alberto Malazzi. La stagione 2021/22 si chiude così con il botto! Tuti pronti ora per l’apertura della nuova, il 7 dicembre con la prima versione del Boris Godunov diretto da Riccardo Chailly con la regia di Kasper Holten
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