Tuesday, March 12, 2024

Il Ratto dal Serraglio - Teatro alla Scala

Foto: Brescia & Amisano

Massimo Viazzo

Torna al Teatro alla Scala il Ratto dal Serraglio (die Entführung aus des Serail) nello storico allestimento di Giorgio Strehler con le scene e i costumi di Luciano Damiani e le luci curate da Marco Filibeck, spettacolo nato a Salisburgo nel 1965 e ripreso l’ultima volta a Milano nel 2017 con la direzione di Zubin Mehta. L’allestimento un po’ datato ma certamente ancora godibile (riuscita e gustosa la ripresa di Laura Galmarini), è giocato sull’uso di ombre cinesi con quinte dipinte, qualche garbata gag e con i cantanti ridotti a semplici silhouette in pose plastiche quando avanzano in proscenio per tornare in piena luce quando retrocedono verso il fondale bianco, avvolti da una tonalità pastello, il tutto quasi si tratti di teatro da camera. Lo spettacolo di Strehler, il cui nome è strettamente legato alla storia del teatro milanese dal 1947 al 1990 con ben 35 regie di 33 titoli diversi per ben 480 recite complessive, conserva il suo fascino convincendo ancora per il tocco leggero e l’eleganza con cui viene tratteggiata la vicenda amorosa del Singspiel, il cui libretto tra l’altro è stato sempre considerato non altezza della musica, vicenda che è anche una storia di formazione, con un abbozzo di crescita interiore dei personaggi per i quali Mozart scrive pagine spesso tecnicamente ardue tra le cui pieghe si inizia ad intravvedere l’inimitabile talento drammatico dei suoi capolavori futuri. Sul podio debuttava Thomas Guggeis, direttore principale dell’Opera di Francoforte, che ha diretto con scatto e spigliatezza, mostrando bel passo teatrale e musicalità. Il giovane direttore tedesco ha messo in mostra lucidità nel condurre la ricca partitura mozartiana senza mai perdere di vista il palcoscenico, riuscendo a trovare sonorità brillanti e una ritmica incisiva, ma anche levità e morbidezza. Cast affiatato e omogeneo quello approntato per questa produzione. Jessica Pratt ha impersonato una Konstanze nobile e raffinata mostrando però qualche indecisione nell’affrontare le agilità pirotecniche che costellano la sua parte. Ma ha saputo anche essere espressiva («Traurigkeit» nel secondo atto), cosa non semplice quando si è alle prese con una scrittura vocale così virtuosistica. Daniel Behle è stato un Belmonte forse un po’ troppo educato, dalla timbrica comunque virile e di buona proiezione vocale nonostante un’indisposizione annunciata prima della recita. Ha cantato con un certo piglio e sicurezza. Peter Rose ha tratteggiato un Osmin simpatico e impertinente, un po’ goffo nell’incedere e divertente nei suoi atteggiamenti. Il tutto con una timbro morbido e una vocalità estroversa ma sempre attenta alla scrittura mozartiana. La Blonde di Jasmin Delfs, dalla timbrica chiara e leggera è piaciuta per la facilità nella coloratura e per la spigliatezza mostrata in scena, mentre il Pedrillo di Michael Laurenz ha convinto per solidità vocale, comunicativa e spavalderia, ma anche per la correttezza nella definizione delle frasi musicali. Il ruolo recitato di Selim, infine, è stato reso con sobrietà dal noto regista teatrale e lirico tedesco Sven-Erich Bechtolf



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