Monday, June 23, 2025

Siegfried di Richard Wagner - Teatro alla Scala

Foto: Brescia & Amisano

Massimo Viazzo

Al Teatro alla Scala è proseguita la rappresentazione della Tetralogia di Richard Wagner (1813-1886) con Siegfried, dopo la messa in scena di Das Rheingold nell’autunno scorso e di Die Walküre quattro mesi fa. L’allestimento è sempre quello curato da David McVicar e dal suo staff: McVicar e Hannah Postlethwaite per le scene, Emma Kingsbury per I costumi, David Finn alle luci, Katy Tucker alle video proiezioni, Gareth Mole per la coreografia, David Greeves come maestro di arti marziali e prestazioni circensi.  Non si sono quindi manifestate particolari novità per quanto riguarda le intenzioni, i contenuti e i significati di questa proposta.  Nella nuova produzione scaligera, anche in questa seconda giornata del Ring, si è restati un po’ ai margini di tutto quel substrato storico, sociologico, psicologico e psicanalitico a cui siamo stati abituati in anni di proposte dense di prospettive e stimoli, ma anche a volte troppo elucubrate o dissacranti (e incomprensibili).  Questo spettacolo mette in scena il mito così come lo si immagina, senza filtri, con un gusto fantasy che richiama Tolkien, lasciando lo spettatore libero di specchiarsi in esso. Il problema è che, se lo spettatore si adagia in una visione solo favolistica del capolavoro wagneriano, rischia di restarne ai margini, sfiorando solo la rete di significati intrinsechi, che rischiano così di rimanere imbrigliati tra le pieghe dell’opera.    Lo spettacolo si è rivelato comunque godibile e di pregio, in particolare per la resa della parte naturalistica, preponderante in Siegfried, il cui clima fiabesco l’ha reso comunque adatto a questo tipo di impostazione registica. La messa in scena di McVicar, apprezzata dal pubblico per la sua chiarezza e linearità, sembra tuttavia non essere riuscita a cogliere appieno la complessità di un’opera di tale portata. Nonostante la cura dei dettagli scenografici sia stata indubbiamente elevata, la sua funzione è risultata essenzialmente illustrativa, limitandosi a una mera rappresentazione visiva.  Tuttavia, è possibile che questa fosse proprio l’intenzione del regista scozzese: un ritorno alle origini, la riscoperta di una verginità interpretativa che cancellasse tutte quelle implicazioni ideologiche che per anni hanno caratterizzato la concezione registica dell’immenso capolavoro wagneriano. Ricordo che la prima di Siegfried ebbe luogo a Bayreuth nell’agosto del 1876, in occasione della storica rappresentazione di Der Ring des Nibelungen che inaugurò il Festspielhaus sotto la direzione di Hans Richter. Ricordo altresì che questa nuova Tetralogia scaligera, in un primo momento, sarebbe dovuta essere diretta da ChristianThielemann, ma dopo la sua rinuncia è stata affidata a quattro mani a Simone Young e ad Alexander Soddy.  Il direttore britannico è salito sul podio per le ultime due recite di Siegfried. Quella a cui ho assistito era l’ultima replica, che Soddy ha condotto con attenzione e lucidità, offrendo una narrazione tesa, elettrizzante, ma anche poetica. È emersa sicuramente un’impronta personale con una estrema naturalezza nella cura del fraseggio. Il giovane direttore ha saputo creare un tappeto sonoro che ha aiutato i cantanti senza sovraccaricare l’orchestra. Un Wagner non enfatico quindi, più leggero, sempre fluido e flessuoso nella gestione della continuità leitmotivica. Nel ruolo del protagonista, Klaus Florian Vogt (già Siegmund in Die Walküre a febbraio) ha evidenziato una raffinata musicalità e una vocalità adamantina, anche se con una timbrica un po’ sbiancata. È parso più incline all’espressione lirica che al canto eroico. Le scene più riuscite sono state quelle intime, a fior di labbro ed emotive, piuttosto che quelle più energiche. In tal senso, l’episodio della Fusione della spada che chiude il primo atto è parso interpretato un po’ in difesa, mancando di vigore e fuoco (peraltro il tenore aveva fatto annunciare prima dell’inizio una sua indisposizione, che comunque non ha nuociuto alla resa complessiva della sua prestazione).  Invece, nei momenti più intimi del Mormorio della foresta o del grande Duetto del terzo atto, il suo canto è risultato toccante ed emotivamente convincente. Vogt è giunto ancora con un certo squillo al termine del Duetto, nel quale Camilla Nylund non si è sempre mostrata a proprio agio nelle zone piùacute della tessitura. La sua interpretazione è stata comunque di prima grandezza, convincente dal punto di vista teatrale e comunicativo. La sua Brünnhilde è parsa generalmente solida, tenace, intensa e profondamente vissuta. Michael Volle ha tratteggiato un Wanderer (Wotan) di grande presenza drammatica: la sua interpretazione, caratterizzata da una straordinaria sensibilità e attenzione alle sfumature del testo, è stata al contempo imperiosa e vocalmente sempre ben proiettata.  Nella scena con Mime (atto I) ha mostrato autorevolezza e anche una certa austerità, mentre in quella fondamentale con Erda (atto III) ha espresso tormento e lacerazione con una profondità psicologica che lo ha condotto a una definitiva presa di coscienza del proprio futuro e di quello del mondo. Wolfgang Ablinger-Sperrhacke è stato straordinario nel ruolo di Mime, interpretato con una genialità attoriale debordante. Ogni frase del libretto, ogni parola, è stata sottolineata con estroversione da un gesto o da un movimento scenico ispirato, non scontato e mai caricaturale.  Vocalmente ha risolto tutto cantando, e non è così scontato in ruoli come questo, in cui la tendenza ad esagerare può sconfinare nel parlato. La sua voce, ben proiettata, tecnicamente ferrata e di tímbrica chiara, si è mostrata perfetta per il ruolo da tenore caratterista. Tra l’altro, David McVicar ha dichiarato in alcune interviste che Mime è il suo personaggio preferito dell’intero Ring (e lo era anche per Wagner stesso!). E lo si è notato dalla cura della sua attuazione scenica. Da rimarcare, poi, il duro, spietato, insofferente e maligno, ma sempre ben cantato, Alberich di Ólafur Sigurdarson, e Christa Mayer, timbrata e carismatica, nei panni fondamentali di Erda. Completavano il cast Ain Anger, un Fafner scurissimo, forse non raffinatissimo, ma per una volta non troppo vociferante, senza quelle urla belluine alle quali siamo stati troppo abituati, e la candida Francesca Aspromonte, che ha cantato la Stimme des Waldvogels (voce dell’uccellino del bosco) in modo agile e brillante. Grande successo di pubblico in attesa della conclusione della Tetralogia con Götterdämmerung nel febbraio 2026.



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