Monday, January 6, 2020

Tosca - Teatro alla Scala, Milano


Foto: Brescia&Amisano- Teatro alla Scala, Milano.

Massimo Viazzo

Davide Livermore, dopo l'apprezzata inaugurazione della scorsa stagione scaligera con Attila di Verdi, fa nuovamente centro all'apertura della nuova, 2019/20, con una Tosca di grande impatto visivo ed emotivo. D'altronde è questo che ci si aspetta dall'affermato regista italiano, che conosce perfettamente la musica e che conosce come pochi la categoria teatrale della “maraviglia”. In questa Tosca c'è tutto ciò che è previsto dal libretto, niente letture innovative o dissacranti. Quello che colpisce è la capacità di raccontare una storia arcinota con un dispiegamento di mezzi tecnologici imponente, come fa spesso Livermore, vere macchine teatrali efficacissime che però restano sempre perfettamente al servizio della partitura. Tutto sul palco si muove (cappelle che ruotano, quadri che improvvisamente prendono vita colorandosi, angeli che incombono da prospettive nuove...)  in armonia con la vicenda raccontata amplificandone i significati anche con un uso virtuosistico delle luci.  In tal senso memorabile l'entrata in chiesa di Scarpia alla fine del primo atto, con una luce accecante che abbaglia e stordisce il pubblico. Riccardo Chailly ha concertato con la solita perizia recuperando, come sta regolarmente facendo in questi anni alla Scala con i lavori pucciniani, pagine espunte dallo stesso Puccini dopo la prima rappresentazione assoluta. Quindi è stato possibile ascoltare, tra l'altro, una frase supplementare nel duetto del primo atto tra Mario e Tosca, anche un brevissimo dialogo a due al termine di Vissi d'Arte, pure una parte a cappella nel Te Deum, e qualche battuta in più nel Finale dell'opera. Tutto sempre molto interessante, eseguito con grande passione e competenza dal direttore d'orchestra milanese che annovera proprio Puccini tra i suoi compositori d'elezione. Il trasporto teatrale è stato esemplare, ma anche la ricerca timbrica non è venuta meno (sentire il fine cesello, ad esempio, nel brano sinfonico del terzo atto, subito dopo l'intervento del giovane pastorello, con le campane mattutine romane a far da corollario!). E con un trio di solisti di canto così preparati il gioco è fatto: Saioa Hernandez, subentrata ad una indisposta Anna Netrebko, ha impersonato la protagonista con slancio e abnegazione. La sua voce è parsa solida in ogni registro e l'accento appropriato per unaTosca volitiva e sanguigna. Francesco Meli ha impersonato Mario Cavaradossi con grande finezza. Lontano dai modi dei tenori che cantano la parte del pittore in un costante tutto forte, Meli ha saputo modulare la sua voce cercando espressività in ogni frase, restituendo così un Cavaradossi sfaccettato, credibile uomo innamorato e non solo fiero oppositore politico. Scarpia ha trovato in Luca Salsi una personificazione ideale. Il baritono emiliano con un canto solidissimo e spavaldo, ma anche mellifluo e insinuante, ha saputo destare emozioni forti. La sua presenza in scena è stata veramente carismatica. Un plauso anche al pavido Sagrestano cantato con voce corposa da Alfonso Antoniozzi e allo Spoletta ruffianesco di Carlo Bosi. Straordinario, infine, il Coro del Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni




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