Monday, October 13, 2025

Francesca da Rimini - Teatro Regio di Torino

Foto: Gaido Ratti - Teatro Regio di Torino 

Massimo Viazzo

Francesca da Rimini, composta da Riccardo Zandonai (1883-1944) nel 1914, è la sua opera più celebre. L’opera si basa sulla tragedia omonima di Gabriele D’Annunzio, scritta per Eleonora Duse, la più grande attrice teatrale del suo tempo, la cui prima rappresentazione avvenne nel 1901. Quest’ultima, a sua volta, si ispirava ai celebri versi danteschi del V Canto dell’Inferno della Divina Commedia, che si basavano, si dice, forse su una storia vera. Ambientata nella Romagna medievale, narra la tragica storia di Francesca, sposata allo storpio Gianciotto Malatesta, ma innamorata del fratello Paolo il bello, in una vicenda di passione e morte che culmina con l’assassinio dei due amanti.  La musica di Zandonai fonde lirismo, raffinate sonorità orchestrali e intensi momento drammatici, riflettendo l’influenza del tardo romanticismo mitteleuropeo e dell’impressionismo, e offrendo un ritratto emotivamente vivido dei personaggi e del loro mondo. Da sottolineare che l’opera ha un significativo legame con il Teatro Regio di Torino, essendo stata rappresentata in prima assoluta proprio nel capoluogo piemontese il 19 febbraio 1914, sotto la direzione di Ettore (Héctor) Panizza. Andrea Bernard ha allestito uno spettacolo pulito, comprensibile, semplice e lineare. L’unica licenza che si è preso è stata quella di creare doppi infantili dei protagonisti (Paolo e Francesca ragazzi), quasi a voler affermare che questa storia, questa triste storia, fosse forse già tutta scolpita, fin dalla giovinezza, nel loro destino. Il regista ha dichiarato che «la stanza di Francesca rappresenta il fulcro scenico: un rifugio sicuro che la protagonista ha costruito per proteggersi dal mondo esterno, violento e maschilista». Lo spettacolo, infatti, è interamente ambientato in una stanza dalle pareti bianche, quasi a definire una collocazione atemporale della vicenda, pur in presenza di un’ambientazione generale che colloca l’opera nella seconda metà dell’Ottocento. Si possono ammirare in tal senso i costumi appropriati creati da Elena Beccaro. La stanza di Francesca, ben congegnata dalla scenografo Alberto Beltrame, assume quasi la funzione di una prigione, ma al contempo ore protezione a Francesca stessa, la quale vive la storia del libretto dannunziano tra sogno e realtà, tra memoria e ricordo, in un contesto che sfiora la psicanalisi. Da ricordare la notevole riuscita del finale del primo atto, con la prima apparizione di Paolo: il fondale si alzava per lasciare spazio a un giardino lussureggiante e incantato, all’interno del quale si stagliava potente la sua bellissima figura, mentre in orchestra lo splendido assolo di violoncello commentava l’estasi di quel momento supremo. Anche ilfinale del terzo atto, con in scena sia i due amanti che i loro doppi, a simboleggiare la sublimazione di un legame assoluto, fuori dal tempo, è stato un altro momento di forte emozione. Andrea Battistoni, nuovo direttore musicale del Teatro Regio, alla sua prima inaugurazione, ha trovato proprio in queste pagine musicali ranate, sospese, vaporose, souse, trascoloranti, il giusto equilibrio timbrico e dinamico. Battistoni ha dimostrato inoltre sensibilità nella cura delle transizioni armoniche, rendendole sempre ricche di sottigliezze e significati. D’altronde, nell’opera di Zandonai l’orchestra ha un ruolo tutt’altro che secondario! La sua è stata una direzione teatrale, drammatica, impetuosa, anche se forse non sempre sfumata nei forti, che a volte sono parso un po’ plateali (finale secondo atto). Per quanto riguarda il cast, era evidente che le aspettative fossero concentrate sulla performance di Roberto Alagna. Il tenore francese, nonostante alcune stimbrature, ha oerto uninterpretazione di grande spessore. Alagna, profondamente a suo agio con questo ruolo, ne ha saputo cogliere ogni sfumatura, delineando un personaggio completo, fresco, appassionato e credibile, interpretato con trasporto ma senza eccessi o manierismi. Il suo fraseggio, curato e musicale, ha pienamente convinto, così come la sua spontanea capacità di immedesimazione. Dal punto di vista vocale, la Francesca di Barno Ismatullaeva ha convinto per l’omogeneità timbrica, la fluidità nell’emissione e la facilità nei passaggi di registro. Anche la timbrica si è rivelata adeguata al ruolo. Unico aspetto migliorabile della sua seppur convincente interpretazione, una certa mancanza di emozione, passione e turbamento, che dovrebbero caratterizzare il personaggio. Truce e feroce la rappresentazione di Gianciotto da parte di George Gagnidze. Il baritono georgiano ha oerto sostanzialmente un’interpretazione unidirezionale. Sottilmente maligno e perverso, invece, il Malatestino di Matteo Mezzaro, reso con voce penetrante e di grande impatto comunicativo. Un lusso, poi, la schiava Smaragdi interpretata con voce brunita da Silvia Beltrami, e aatate, brillanti e vocalmente attraenti le quattro damigelle: Valentina Mastrangelo (Biancofiore), Sofia Koberidze (Donella), Albina Tonkikh (Garsenda) e Martina Myskohlid (Altichiara), le due ultime facenti parte del Regio Ensemble. Ottima presenza per l’Ostasio di Devid Cecconi ed espressiva Valentina Boi nei panni di Samaritana. Francesca da Rimini è un’opera corale e quindi l’intero cast nella sua interezza riveste un ruolo di grande importanza. E a Torino nessuno ha deluso: Enzo Peroni come Ser Toldo, Janusz Nosek il giullare, Daniel Umbelino (Regio Ensemble) il balestriere ed Eduardo Martínez (Regio Ensemble) iltorrigiano. Il Coro del Teatro Regio, in ottima forma, è stato diretto con la consueta competenza e professionalità da Ulisse Trabacchin. Grande successo di pubblico con ovazioni per i protagonisti.



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