Massimo Viazzo
Un cielo terso e infinito sovrasta Anne e Tom, teneramente seduti su un plaid rosso a conversare. Gli spazi sono ampi, la natura pare quieta, ma la serenità del paesaggio è scalfita da uno bizzarro marchingegno nero basculante. Sembra un pozzo petrolifero, forse la fonte di guadagno della famiglia Truelove, ma invece dell’ “oro nero” all’esclamazione di Tom “I wish I had money” dalle viscere della terra apparirà nientemeno che il diavolo in persona, Nick Shadow. Tom trova così la fortuna, un sacco di quattrini (Shadow gli racconta di una strana eredità..) che gli cambieranno il destino e lo condurranno poco alla volta alla rovina. Ecco in sintesi l’inizio di The Rake’s Progress nel noto allestimento firmato da Robert Lepage approdato al Teatro alla Scala di Milano nella ripresa curata da Sybille Wilson. Il regista canadese sfrutta ogni possibilità fornitagli dalla drammaturgia del multiforme capolavoro stravinskijano e con idee e trovate sempre nuove e stuzzicanti riesce a condurre in porto uno spettacolo godibilissimo, senza cali di tensione. E’ la televisione il motivo conduttore di questa regia (e pare che fosse un “chiodo fisso” anche dello stesso Stravinskij). Si vedrà così Shadow filmare dalla telecamera tutte le imprese di Tom Rakewell nel bordello di Mother Goose (siamo al Truman Show?). Sarà la TV stessa a simboleggiare il grande “inganno” della macchina del pane nel secondo atto. Ed ancora la pazzia di Tom/Adonis nell’ultimo atto troverà la sua cristallizzazione proprio sullo schermo televisivo, con una ulteriore presenza di un inquietante “occhio” orwelliano. Moltissime le cose da ricordare: i tuffi in piscina, Tom e Mother Goose letteralmente risucchiati da un letto a forma di cuore, oppure l’inquietante partita a carte con finale pirotecnico al “neon” e ancora la folle corsa in automobile nella notte di Anne.. Ma questa non è uno spettacolo che può essere raccontato. Consiglio caldamente tutti i lettori di non lasciarselo scappare se capitasse dalle proprie parti! Molto buona la resa vocale. In particolare segnalerei il protagonista Andrew Kennedy dalla timbrica omogenea, corposa e scenicamente intraprendente, e Emma Bell, una Anne generosa ed appassionata (molto applaudita la sua difficile aria con cabaletta che chiude il primo atto, anche se il suo Do acuto è stato emesso con prudenza). William Shimell ha interpretato il ruolo del “cattivo” con grande carisma teatrale (ma tutti gli interpreti di questa produzione sono da lodare per la preparazione scenica fuori dal comune), ma una vocalità un po’ disomogenea. La debordante Baba di Natascha Petrinsky, la sensuale Mother Goose di Julianne Young, il Sellem un po’ deboluccio di Donal Byrne ed il paterno Trulove di Robert Lloyd completavano un cast nel complesso molto equilibrato. Anello debole della catena la direzione di David Robertson un po’ impacciata (qualche attacco, soprattutto nella prima parte dello spettacolo, è suonato veramente sporco) e condotta con poco mordente. Il coro dei giovani e delle prostitute (seconda scena del primo atto) o l’inizio del terzo atto (scena dell’asta) sono parsi davvero troppo compassati.
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