Saturday, December 9, 2017

Il Borgomastro di Saardam di Donizetti - Teatro Sociale di Bergamo

Fotografie © Gianfranco Rota


Renzo Bellardone

La nostra meravigliosa Italia è veramente ricca di bellezza! Paesaggio, architettura, arte, musica ed ogni comparto che può creare bellezza, la nostra nazione la può vantare. In un pomeriggio di tardo autunno,  assolato domenicale, una passeggiata per Bergamo Alta, in mezzo al fascino delle sue mura, della Piazza Nuova e della Piazza vecchia si potrebbe dire che ‘val bene una Messa’, ma in questo caso si può anche dire ”val bene la produzione di un’opera donizettiana rara, come ‘Il Borgomastro di Saardam”

Il Borgomastro ha indubbiamente il  fascino discreto di quel  genere buffo,  che  ben presto passò di moda. Fin verso il 1840, dopo la prima del 19 agosto 1827, l’opera in questione fu eseguita, ma poi fin verso gli anni settanta fu dimenticata: in quegli anni venne invece riproposta proprio a Zaandam, ovvero l’antica citta olandese di Saardam. Dopo la succitata rappresentazione non ho individuato traccia e quindi un grazie va alla Fondazione Donizetti di Bergamo ed al suo direttore artistico Francesco Micheli per la riconsegna agli appassionati, di questo melodramma giocoso del prolifico compositore bergamasco.


Certo la partitura riflette marcate influenze rossiniane fin dalle primissime note dell’ouverture e poi  nella ‘testa senza logica’ che irrimediabilmente rimanda alla celeberrima  ‘la testa mi gira’ dal Barbiere di Siviglia, piuttosto che in altre arie centrali ed il concertato finale. Alcune belle citazioni donizettiane si inseriscono nella narrazione musicale, impreziosendo invece la scrittura. 

La direzione del direttore Roberto Rizzi Brignoli risulta puntuale, rispettosa e gioiosa al punto di stimolare l’allegria e va ben ad intersecarsi con la regia di Davide Ferrario, interessante per le citazioni cinematografiche degli inizi, ovvero con il bianco e nero ormai tremolate delle pellicole  storiche; simpatico il filmato con il funerale di corsa ed i carri funebri trainati da dromedari. Francesca Bocca ha firmato le scene di cui rileviamo lo scheletro della nave in costruzione che con una piccola manovra scenica manuale si trasforma in taverna affollata da allegri avventori con i costumi disegnati da Giada Masi, pertinenti all’insieme dell’impianto scenico e registico, avvalorati dalla scelta di contestualizzare diversamente il primo atto molto classicheggiante, dal secondo dove vive l’essenzialità e le vivide luci disegnate da Alessandro Andreoli creano fondale. Il Coro, nel Borgomastro, ha un ruolo rilevante e si apprezza l’opera del direttore Fabio Tartari e l’impegno dei coristi.

Venendo alle voci si può riassumere che il cast è di buon livello.  Lo Czar è interpretato dal baritono Giorgio Coaduro che sfodera tono possente unito a forte presenza scenica, oltre alla buona sintonia a livello interpretativo e vocale nel trio maschile; Juan Francisco Gatell nei panni di Pietro Flimann conferma la dinamicità attoriale e l’emissione chiara e fresca con buon fraseggio ed accenti brillanti. Andrea Concetti, offre il ben noto colore brunito con grande padronanza e disinvolta dimestichezza con il palcoscenico.

L’interprete femminile Irina Dubrovskaja veste i panni di Marietta e le da voce con brillantezza ed agilità che sfocia in facilità negli acuti, riservando piacevolezza nel registro centrale. Aya Wakizono seppure presente con brevi interventi, ha ben caratterizzato il personaggio di Carlotta e si  intuisce che può fare ben di più. Leforte incontra il bel tono baritonale di Pietro di Bianco che si esprime con colore scuro, gradevole all’ascolto. Ali Mahmed viene cantato da Pasquale Scircoli che tratteggia il personaggio con spigliatezza e timbricità anche se con poche battute così come Alessandro Ravasio, artista del coro, presta un uffiziale. La Musica vince sempre.  

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