Foto: Ken Howard
Ramón
Jacques
L’opera di Los Angeles ha messo
in scena per la prima volta Orfeo e Euridice di Gluck nella versione di Parigi
del 1774, con il libretto di Moline, in
cui il personaggio principale è un tenore (o haute-contre). L’unico precedente
esistente tra il teatro e la produzione operistica di Gluck è stato nella
stagione 2003 quando si ascoltò
quest’opera, ma nella sua versione in italiano composta nel 1762. L’idea di far
rivivere questo titolo poco frequentato, incluso un nuovo montaggio scenico, si
è originata nel 2017 a Chicago, dall’unione tra la Lyric Opera e la compagnia di danza Joffrey Ballet della
stessa città, le quali a partire da ora
si divideranno lo stesso teatro come sede, ognuna con una propria stagione, ma anche
con l’idea di collaborare il più possibile. Tutte le idee sceniche (scenografie,
luci, costumi, direzione scenica e coreografia) erano del coreografo
statunitense John Neumeir,
conosciuto per il suo lavoro al balletto di Amburgo (città in cui sarà portata
questa produzione 2019 presso l’opera di Stato di Amburgo che coproduce questo
progetto). La scena sembra
interessante all’inizio, in cui Orfeo, istruttore di un’accademia di balletto,
con Amor come suo assistente, discute con la sua ballerina Euridice, la quale,
nel ritirarsi arrabbiata dalla scuola, muore investita da un’auto sportiva. Da
lì inizia, quello che si intende come l’entrata in un mondo irreale, magico per
Orfeo in cerca di Euridice. Da lì si ha
come una spaccatura, un mutamento scenico poco comprensibile, dato che Neumeier
ha impostato lo sviluppo dal punto di vista coreografico includendo ampie
sequenze di balletti multicolore, ma prescindendo dalla parte attoriale e
vocale dello spettacolo, relegando i cantanti a lato della scena o in
situazioni senza alcuna relazione con la trama. Tre enormi cubi con specchi giravano al
centro della scena, lasciando spazio a più coreografie. Situazioni assurde
tipiche del Regietheater, che anche il coreografo stesso convertito in regista,
sembrava non capire e nemmeno risolvere.
Un bello spettacolo dal punto di vista visiva senza dubbio, ma se questo
sarà il modello delle future collaborazioni fra il Joffrey Ballet con la
compagnia operistica, io personalmente sceglierei se andare al balletto o all’opera.
Per fortuna, voci di livello molto buono hanno realizzato lo spettacolo, Maxim Mironov come Orfeo, che ha mostrato
un canto sorprendente nella dizione sentito in ogni frase, carico di sentimento
e musicalità servito da un timbro gradevole e molto agile. Lisette Oropesa, commovente con la sua fragile Euridice, ha messo
in evidenza un ottimo disimpegno vocale e talento; e Liv Redpath è piaciuta nell’interpretazione di Amor. Un’orchestra ridotta, rinforzata da
qualche strumento antico, ha suonato un po’ rigida, forzata e poco espressiva;
si capisce che questi musicisti non sono abituati a questo repertorio. Di James Conlon, non si può che apprezzare
lo sforzo, la sicurezza e l’entusiasmo per effettuare una buona lettura, ma
insito, senza demerito per musicisti ne direttore, questo semplicemente non è
il loro repertorio.
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