Friday, December 21, 2018

Attila - Teatro alla Scala, Milano


Foto: Brescia & Amisano

Massimo Viazzo

Il Teatro alla Scala ha inaugurato la nuova stagione con Attila, la nona opera verdiana, un titolo forse non così noto nel repertorio internazionale ma non per questo meno interessante e stimolante. Siamo ancora nel periodo in cui Verdi affinava poco alla volta i mezzi drammaturgico-musicali che porteranno ai capolavori successivi, siamo nei cosiddetti “anni di galera”. L’opera è un susseguirsi ininterrotto di pezzi ”forti”: arie, cabalette, duetti, pezzi d’assieme che strappano l’applauso già al primo ascolto. Una vera opera  per cantanti, che per essere messa in segna necessita di un quartetto vocale di alto livello. La Scala ha fatto le cose in grande affidando la direzione orchestrale al proprio direttore musicale Riccardo Chailly, la regia ad uno dei registi italiani più richiesti del momento Davide Livermore, ingaggiando quattro solisti di canto d’eccezione. Ma andiamo con ordine. Lo spettacolo di Livermore è di forte impatto visivo. Livermore ambienta l’opera nella prima metà del 900, con riferimenti alle due guerre mondiali, ma senza identificare con precisione gli schieramenti in campo. Il regista torinese ci racconta una storia in cui ci sono vittime e assassini. Sul palcoscenico spiccano strutture semoventi, pareti che scendono, ponti che si spezzano, fondali che lasciano intravvedere i fumi e i bagliori delle battaglie, e sullo sfondo emozionanti videoproiezioni ispirate a celebri pellicole del cinema italiano.  
Lo spettatore viene investito da una serie ininterrotta di situazioni continuamente nuove e coinvolgenti, ma sempre con il massimo rispetto di libretto e partitura. Il tutto, indubbiamente dai marcati tratti ipertecnologici, resta sempre di lettura scorrevole ed immediata. Chailly fa suonare l’orchestra stupendamente levigando i suoni e fraseggiando con cura, anche se a volte sembra mancare un po’ di elettricità nei brani più scoppiettanti. Il cast è, come si diceva, di alto profilo, a cominciare dal protagonista Ildar Abdrazakov un Attila dalla voce sontuosa, ben fraseggiato, di timbrica rotonda e sempre autorevole. Una bella scoperta quella del soprano spagnolo Saioa Hernández al suo debutto scaligero negli ardui panni di Odabella, interpretata con carattere volitivo e prontezza vocale. Fabio Sartori ha saputo entusiasmare il pubblico con il suo Foresto spavaldo, sicuro e squillante, mentre George Petean, un baritono dalla voce chiara e acuta (nella cabaletta del secondo atto si è inerpicato fino al sib!) ha vestito i panni di Ezio con saldezza di emissione e vocalità sana. Ottimi anche il tenore Francesco Pittari (Uldino) e soprattutto il basso Gianluca Buratto (Leone). E solita magnifica prova del Coro diretto da Bruno Casoni.


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