Massimo Viazzo
Opera-Musica Foto: Die Feen - Wagner - Théâtre du Châtelet, Paris - 04/2009(c) Marie-Noëlle Robert.
Tuesday, September 20, 2022
Il Matrimonio Secreto - Teatro alla Scala, Milano
Foto: Brescia&AmisanoChe Il
Matrimonio Segreto di Cimarosa fosse un grande capolavoro l’avevano ben capito
quella sera a Vienna - alla première del 7 febbraio 1792 o forse alla
seconda rappresentazione - quando l’opera fu ripetuta dall’inizio alla fine,
unico caso nella storia dell'opera lirica. Mozart era morto da un paio di mesi
e Rossini sarebbe nato poche settimane dopo. Il Matrimonio Segreto si pone non
solo temporalmente ma anche stilisticamente a metà strada tra la vicenda
artistica dei due celebri compositori. È straordinario godere ancora degli echi
mozartiani, nei concertati o nella sinfonia ad esempio, ma anche delle aperture
liriche più italiane o dei sillabati stretti che diventeranno il marchio di
fabbrica del Cigno di Pesaro. Un’opera unica, clamorosamente in bilico
tra due stili, che resterà anche il maggior risultato operistico di Domenico
Cimarosa, uno dei maggiori rappresentanti della Scuola Napoletana. Alla
Scala questo titolo mancava da più di quarant’anni ed è stata una buona idea
affidarlo ai giovani cantanti e strumentisti dell’Accademia, un’operazione che
viene effettuata ogni anno per valorizzare l’alta scuola di formazione annessa
al teatro. Attorno ad un cantante di chiara fama, in questo caso Pietro
Spagnoli, viene radunato un cast di giovani speranze che con studio, talento, e
con la verve dell’età sanno rivitalizzare anche titoli meno consueti. Il
Matrimonio Segreto in effetti alla Scala (in realtà alla “Piccola Scala”, una
sala storica, una vera bomboniera, che ormai purtroppo non esiste più) è stato
eseguito diverse volte nel corso del XX secolo ma la sua presenza nel
cartellone del teatro milanese ormai latitava. Come dicevo, Pietro Spagnoli ha
interpretato Geronimo, in questa realizzazione un vero e proprio capo
malavitoso, cantando con una dizione assolutamente perfetta, secondo la miglior
tradizione italiana che comincia da Sesto Bruscantini. Il
suo Geronimo è parso meno macchiettistico del solito, più personaggio moderno,
anche arrogante: quando ad esempio vuole convincere il Conte Robinson a sposare
la figlia gli punta addirittura una pistola alla tempia! In effetti l’idea
registica di Irina Brook è proprio quella di rendere attuale la vicenda del
libretto, libretto gigantesco che campeggia sul fondale del palcoscenico mentre
sul davanti si svolge l’azione in un ambiente contemporaneo. La regista però
carica un po’ l’allestimento di gag e situazioni a volte un po' esagerate
tralasciando completamente la stilizzazione settecentesca così peculiare di
questo lavoro. È vero, si ride abbastanza guardando la scena, ma forse si
sarebbe potuto ottenere lo stesso effetto alleggerendola un po'. Spesso le Arie
si sono trasformate in veri e propri Duetti con un secondo personaggio muto a
fare da interlocutore, e a volte sul palco un andirivieni di mimi distraeva non
aggiungendo molto alla resa visiva.Tutti i cantanti dell’Accademia si sono
impegnati al meglio per rendere plausibili i loro personaggi, dalla Carolina di
Greta Doveri, la migliore in campo per timbrica, proiezione vocale e sicurezza,
a Francesca Pia Vitale, una Elisetta puntuta ma a volte forse un po’ tenue, e
poi la Fidalma di colore brunito di Mara Gaudenzi, il Paolino di Paolo Antonio
Nevi più a suo agio nel canto elegiaco, per finire con il Conte Robinson di
Sung-Hwan Damien Park un po’ a disagio
con la lingua italiana e dalla timbrica un po’ monocorde. Ottavio Dantone ha diretto
con finezza, leggerezza e giusto brio la preparata Orchestra dell’Accademia per
un buon successo di pubblico.
Che Il
Matrimonio Segreto di Cimarosa fosse un grande capolavoro l’avevano ben capito
quella sera a Vienna - alla première del 7 febbraio 1792 o forse alla
seconda rappresentazione - quando l’opera fu ripetuta dall’inizio alla fine,
unico caso nella storia dell'opera lirica. Mozart era morto da un paio di mesi
e Rossini sarebbe nato poche settimane dopo. Il Matrimonio Segreto si pone non
solo temporalmente ma anche stilisticamente a metà strada tra la vicenda
artistica dei due celebri compositori. È straordinario godere ancora degli echi
mozartiani, nei concertati o nella sinfonia ad esempio, ma anche delle aperture
liriche più italiane o dei sillabati stretti che diventeranno il marchio di
fabbrica del Cigno di Pesaro. Un’opera unica, clamorosamente in bilico
tra due stili, che resterà anche il maggior risultato operistico di Domenico
Cimarosa, uno dei maggiori rappresentanti della Scuola Napoletana. Alla
Scala questo titolo mancava da più di quarant’anni ed è stata una buona idea
affidarlo ai giovani cantanti e strumentisti dell’Accademia, un’operazione che
viene effettuata ogni anno per valorizzare l’alta scuola di formazione annessa
al teatro. Attorno ad un cantante di chiara fama, in questo caso Pietro
Spagnoli, viene radunato un cast di giovani speranze che con studio, talento, e
con la verve dell’età sanno rivitalizzare anche titoli meno consueti. Il
Matrimonio Segreto in effetti alla Scala (in realtà alla “Piccola Scala”, una
sala storica, una vera bomboniera, che ormai purtroppo non esiste più) è stato
eseguito diverse volte nel corso del XX secolo ma la sua presenza nel
cartellone del teatro milanese ormai latitava. Come dicevo, Pietro Spagnoli ha
interpretato Geronimo, in questa realizzazione un vero e proprio capo
malavitoso, cantando con una dizione assolutamente perfetta, secondo la miglior
tradizione italiana che comincia da Sesto Bruscantini. Il
suo Geronimo è parso meno macchiettistico del solito, più personaggio moderno,
anche arrogante: quando ad esempio vuole convincere il Conte Robinson a sposare
la figlia gli punta addirittura una pistola alla tempia! In effetti l’idea
registica di Irina Brook è proprio quella di rendere attuale la vicenda del
libretto, libretto gigantesco che campeggia sul fondale del palcoscenico mentre
sul davanti si svolge l’azione in un ambiente contemporaneo. La regista però
carica un po’ l’allestimento di gag e situazioni a volte un po' esagerate
tralasciando completamente la stilizzazione settecentesca così peculiare di
questo lavoro. È vero, si ride abbastanza guardando la scena, ma forse si
sarebbe potuto ottenere lo stesso effetto alleggerendola un po'. Spesso le Arie
si sono trasformate in veri e propri Duetti con un secondo personaggio muto a
fare da interlocutore, e a volte sul palco un andirivieni di mimi distraeva non
aggiungendo molto alla resa visiva.Tutti i cantanti dell’Accademia si sono
impegnati al meglio per rendere plausibili i loro personaggi, dalla Carolina di
Greta Doveri, la migliore in campo per timbrica, proiezione vocale e sicurezza,
a Francesca Pia Vitale, una Elisetta puntuta ma a volte forse un po’ tenue, e
poi la Fidalma di colore brunito di Mara Gaudenzi, il Paolino di Paolo Antonio
Nevi più a suo agio nel canto elegiaco, per finire con il Conte Robinson di
Sung-Hwan Damien Park un po’ a disagio
con la lingua italiana e dalla timbrica un po’ monocorde. Ottavio Dantone ha diretto
con finezza, leggerezza e giusto brio la preparata Orchestra dell’Accademia per
un buon successo di pubblico.
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