Thursday, May 29, 2025

Hamlet di Ambroise Thomas - Teatro Regio di Torino

 

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Massimo Viazzo

Hamlet di Ambroise Thomas (1811-1896) è un’opera lirica in cinque atti, su libretto di Michel Carré e Jules Barbier, ispirata all’omonima tragedia di William Shakespeare. La prima rappresentazione ebbe luogo all’Opéra di Parigi nel 1868 e da allora, sebbene non in modo continuativo, il titolo è stato inserito nelle stagioni operistiche un po’ in tutto il mondo. Al Teatro Regio di Torino, nel 2001, Hamlet è stato rappresentato in Italia per la prima volta nella versione originale francese, con Ludovic Tézier e Annick Massis. Quella odierna è comunque ancora una prima assoluta: si tratta infatti della prima rappresentazione scenica della versione inizialmente concepita per tenore e poi rielaborata per baritone forse per l’assenza di un interprete ritenuto ideale. L’opera conserva i temi principali del dramma shakespeariano, come la vendetta e il tormento interiore di Amleto, ma presenta anche differenze, tra cui la naturale eliminazione di personaggi e episodi, un maggiore interesse per l’afflato romantico della vicenda, e soprattutto la presenza di un finale alternativo, direi antitetico, rispetto all’originale. Il libretto dell’opera, infatti, non termina con la morte di Amleto, ma con la sua incoronazione. In verità, in questo allestimento, ci si rifa in un certo qual modo alla stesura shakespeariana recuperando la morte dell’eroe. Ambroise Thomas punta le proprie carte sull’intensità emotiva dei personaggi e, riflettendo lo stile della grand-opéra francese del XIX secolo, combina dramma e lirismo con una ricca orchestrazione, valorizzando sia momenti di intensità introspettiva sia ricorrendo a tipici tableaux vivants. Il balletto, in questa edizione, che precederebbe la scena della pazzia di Ophélie nel quarto atto, è stato invece eliminato. Lo spettacolo, ideato da Jacopo Spirei, nuovo allestimento del Teatro Regio di Torino, si è distinto per il rispetto accordato al libretto, con le raffinate scenografie di Gary McCann, i sontuosi costumi ottocenteschi di Giada Masi, le luci ben calibrate ed efficaci di Fiammetta Baldisser e le coreografie appropriate e non invadenti firmate da Ron Howell. Sviluppato con cura, si è rivelato avvincente nell’evoluzione delle situazioni e psicologicamente profondo, presentando un protagonista turbato e alienato fin dal suo ingresso in scena. La narrazione ne ha sottolineato gli aspetti introspettivi con palesi suggestioni psicanalitiche legate alla sua infanzia, accompagnandolo così in un viaggio interiore che non poteva che concludersi tragicamente. Da segnalare, inoltre, come gli ambienti lussuosi in cui è ambientato richiamino un po’ alla memoria il celebre film diretto e interpretato da Kenneth Branagh, una delle migliori trasposizioni cinematografiche del drama shakespeariano. Di notevole impatto scenico è stata la pantomima che concludeva il secondo atto, in cui la compagnia teatrale rappresenta Le Meurtre de Gonzague”, un omicidio che richiama fortemente quello del padre di Hamlet da parte del fratello Claudius. Enormi pupazzi mossi da figuranti, inquietanti e minacciosi, invadevano il palcoscenico come spettri pronti a giudicare e vendicare. Anche la realizzazione della parte musicale si è rivelata di notevole fattura. A cominciare dalla direzione di Jérémie Rhorer. Il direttore parigino ha diretto con grande competenza stilistica, dimostrando una straordinaria conoscenza della partitura ed evidenziandone gli aspetti tragici e romantici con una gestualità precisa e proficua. Teatralmente avvincente, la sua lettura, sicura e consapevole, ha saputo trarre il meglio dall’Orchestra del Teatro Regio. Di valore il cast allestito. John Osborn, nei panni del protagonista Hamlet, ha cantato con eleganza e trasporto. La sua tecnica sopraffina gli ha permesso di gestire con bravura le difficoltà della sua parte, sapendo essere sia spavaldo (Ô vin, dissipa la tristesse), che più intimamente travagliato (J’ai pu frapper le misérable… Être ou ne pas être!). Il suo Amleto ha convinto pienamente anche dal punto di vista caratteriale. Altrettanto convincente l’Ophélie di Sara Blanch, una vera rivelazione. Il soprano spagnolo, vocalmente sicura e commovente sulla scena, ha mostrato notevole facilità nell’affrontare la coloratura (Scena della pazzia), ma anche, e soprattutto, una pienezza timbrical che le ha consentito di essere poeticamente espressiva. Clémentine Margaine ha interpretato una Gertrude di notevole impatto, con una bella voce mezzosopranile, brunita e di rara potenza. Riccardo Zanellato nel ruolo di Claudius è stato una sicurezza. Detto del musicalissimo Laërte di Julien Henric e dello Spettro di Alastair Miles, di presenza vocale e dalla frase musicale scolpita, si segnalano le apprezzabili prove di Alexander Marev (Marcellus), Tomislav Lavoie (Horatio), Nicolò Donini (Polonius), Janusz Nosek e Maciej Kwasnikowki (primo e secondo becchino). Una parola infine anche sul Coro del Teatro Regio, molto sollecitato in quest’opera, preparato e vocalmente determinato, è stato diretto da Ulisse Trabacchin con la consueta competenza.

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