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Massimo Viazzo
Hamlet di Ambroise
Thomas (1811-1896) è un’opera lirica in cinque atti, su libretto di Michel Carré e Jules Barbier, ispirata
all’omonima tragedia di William Shakespeare. La prima
rappresentazione ebbe luogo all’Opéra di Parigi nel 1868 e
da allora, sebbene non in modo continuativo, il titolo è stato
inserito nelle stagioni operistiche un po’ in tutto il mondo. Al Teatro Regio di Torino, nel 2001, Hamlet è stato
rappresentato in Italia per la prima volta nella versione
originale francese, con Ludovic Tézier e Annick Massis. Quella
odierna è comunque ancora una prima assoluta: si tratta infatti
della prima rappresentazione scenica della versione inizialmente
concepita per tenore e poi rielaborata per baritone forse per l’assenza di un interprete ritenuto ideale. L’opera conserva i temi principali del dramma shakespeariano, come
la vendetta e il tormento interiore di Amleto, ma presenta anche
differenze, tra cui la naturale eliminazione di personaggi e
episodi, un maggiore interesse per l’afflato romantico della
vicenda, e soprattutto la presenza di un finale
alternativo, direi antitetico, rispetto all’originale. Il libretto dell’opera, infatti, non termina con la morte di Amleto,
ma con la sua incoronazione. In verità, in questo allestimento, ci si rifa
in un certo qual modo alla stesura shakespeariana
recuperando la morte dell’eroe. Ambroise Thomas punta le
proprie carte sull’intensità emotiva dei personaggi e, riflettendo lo
stile della grand-opéra francese del XIX secolo, combina dramma e lirismo con una ricca orchestrazione,
valorizzando sia momenti di intensità introspettiva sia ricorrendo
a tipici tableaux vivants. Il balletto, in questa edizione, che precederebbe la scena della pazzia di Ophélie nel quarto atto, è stato invece
eliminato. Lo spettacolo, ideato da Jacopo Spirei,
nuovo allestimento del Teatro Regio di Torino, si è distinto
per il rispetto accordato al libretto, con le raffinate scenografie di Gary
McCann, i sontuosi costumi ottocenteschi di Giada Masi, le
luci ben calibrate ed efficaci di Fiammetta Baldisser e le
coreografie appropriate e non invadenti firmate da Ron Howell.
Sviluppato con cura, si è rivelato avvincente nell’evoluzione
delle situazioni e psicologicamente profondo, presentando un
protagonista turbato e alienato fin dal suo ingresso in
scena. La narrazione ne ha sottolineato gli aspetti
introspettivi con palesi suggestioni psicanalitiche legate alla sua infanzia, accompagnandolo così in un viaggio
interiore che non poteva che concludersi tragicamente. Da segnalare, inoltre,
come gli ambienti lussuosi in cui è ambientato richiamino un po’
alla memoria il celebre film diretto e interpretato da Kenneth Branagh,
una delle migliori trasposizioni cinematografiche del drama shakespeariano. Di notevole impatto scenico è stata la pantomima che
concludeva il secondo atto, in cui la compagnia teatrale
rappresenta “Le Meurtre de Gonzague”, un omicidio
che richiama fortemente quello del padre di Hamlet da parte
del fratello Claudius. Enormi pupazzi mossi da figuranti, inquietanti
e minacciosi, invadevano il palcoscenico come spettri pronti a giudicare
e vendicare. Anche la realizzazione della parte musicale si
è rivelata di notevole fattura. A cominciare dalla
direzione di Jérémie Rhorer. Il direttore parigino ha diretto con grande competenza stilistica, dimostrando
una straordinaria conoscenza della partitura ed evidenziandone gli
aspetti tragici e romantici con una gestualità precisa e proficua.
Teatralmente avvincente, la sua lettura, sicura e
consapevole, ha saputo trarre il meglio dall’Orchestra del
Teatro Regio. Di valore il cast
allestito. John Osborn, nei panni del protagonista Hamlet, ha cantato con eleganza e trasporto. La sua tecnica
sopraffina gli ha permesso di gestire con bravura le difficoltà della sua
parte, sapendo essere sia spavaldo (Ô vin, dissipa la tristesse), che
più intimamente travagliato (J’ai pu frapper le misérable…
Être ou ne pas être!). Il suo Amleto ha convinto pienamente anche dal punto di
vista caratteriale. Altrettanto convincente l’Ophélie di Sara Blanch, una vera rivelazione. Il soprano
spagnolo, vocalmente sicura e commovente sulla scena, ha mostrato
notevole facilità nell’affrontare la coloratura (Scena della pazzia), ma anche, e soprattutto, una
pienezza timbrical che le ha consentito di essere poeticamente
espressiva. Clémentine Margaine ha interpretato una Gertrude di notevole impatto, con una bella voce mezzosopranile, brunita e di rara
potenza. Riccardo Zanellato nel ruolo di Claudius è stato una sicurezza. Detto del musicalissimo Laërte di Julien Henric e dello Spettro di Alastair
Miles, di presenza vocale e dalla frase musicale
scolpita, si segnalano le apprezzabili prove di Alexander
Marev (Marcellus), Tomislav Lavoie (Horatio), Nicolò Donini (Polonius), Janusz
Nosek e Maciej Kwasnikowki (primo e secondo becchino). Una parola infine anche sul
Coro del Teatro Regio, molto sollecitato in
quest’opera, preparato e vocalmente determinato, è stato
diretto da Ulisse Trabacchin con la consueta competenza.

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