Foto: Ramella & Giannese
Renzo Bellardone
L’opera in
questione è stata composta da un Verdi
poco più che trentenne, e dopo centocinquant’anni dalla sua prima
rappresentazione alla Scala di Milano, viene riproposta ad inaugurazione della
Stagione ed abbracciata da Riccardo Chailly che la dirige ed
espande, elevandola a vette armoniche e sinfoniche trasparenti ed
impalpabili. L’impetuosa
ouverture preannuncia i clamori della battaglia ed il sipario che per un
momento si alza evoca le visioni che domineranno la vicenda della vergine di
Orleans. La versione che ha inaugurato la stagione scaligera è quella integrale
che forse neppure Verdi riuscì a vedere in scena a causa delle moralistiche
censure. L’ambientazione è
atemporale, ma non decontestualizzata, con chiari riferimenti epocali grazie ai
costumi di Agostino Cavalca ed alle
scene di Christian Fenouillat:
entrambi hanno rafforzato la filologia della regia curata da Moshe Leiser e Patrice Caurier. Seppur con scene
essenziali e di colore grigio perla ,
l’ambientazione risulta di forte impatto ed inevitabile coinvolgimento, grazie alle coloratissime e vigorose
proiezioni di Étienne Cuiol: il massimo
della vitalità viene raggiunto nel momento della cruenta battaglia, mentre
l’efficacia simbolistica culmina al suo
apice con l’apparizione della bandiera. Il Coro, elemento preponderante come
sovente lo è nelle opere verdiane, qui diventa anello di congiunzione
indissolubile con la vicenda, la rappresentazione musicale e l’elemento
scenico; magistralmente coordinato da Bruno
Casoni appare all’inizio quasi come nella nota immagine di Giuseppe Pelizza da Volpedo: stesse le tinte
dei costumi, stessa la prorompente forza descrittiva; al finale il coro compare in una sorta di alto loggiato abitato anche da
angeli divini ed insieme a questi dall’alto osserva la trasfigurazione. La messa in scena
si avvale di elementi simbolici e di
apparizioni stupefacenti da Grand Opera: al momento della sua decisione
Giovanna si taglia le chiome; alla battaglia le pareti vengono poi trafitte da
lunghe lance rosso sangue; Carlo appare in armatura dorata su cavallo dorato ed
in tutta la sua imponenza sorge la
cattedrale di Reims con i celebri mosaici di vetro colorato. Inquietanti e grotteschi
appaiono i demoni cornuti ed alati che con paurose movenze finiscono per sovrastare i
personaggi fino a racchiuderli in un amplesso demoniaco. Gli interpreti
tutti di ottima levatura vantano una new
entry alla Scala: nel ruolo di Giovanna,
per l’ultima recita, ha cantato il giovane soprano astigiano Erika Grimaldi. Francesco Meli, a buon titolo
uno dei più importanti tenori italiani, ha vestito i panni di Carlo VII; ormai anche
ottimo attore ha calcato il palcoscenico con passo sicuro, rafforzando la sua
presenza con una linea di canto sempre puntuale con tono fermo e coinvolgente;
Meli vanta un’emissione sicura, sempre chiara e limpida e fa assaporare ‘la
voce che corre sui velluti’ Il padre Giacomo
trova un caldo interprete in Carlos
Alvarez: la profondità del tono ed il colore brunito dai riflessi ambrati
creano un personaggio prima sicuro, poi confuso, ma comunque estremamente
umano. Gradevolissima voce che coinvolge e commuove. Talbot è il bravo Dmitry
Belosselskiy, mentre Michele Mauro interpreta Delil. Veniamo ora
all’interprete principale ovvero Giovanna: Erika
Grimaldi si avvale della sua giovane età per interpretare al meglio il personaggio, ma sfodera subito marcata
presenza scenica e sicurezza vocale. La Grimaldi affronta il ruolo con le
peculiarità dello stesso, quindi con segnata drammaticità ed altrettanta agilità
fino agli acuti ed ai sovracuti con limpidezza e cristallinità. Il consenso che il pubblico le ha tributato è
il miglior riconoscimento al suo debutto ed ancor più in un ruolo certamente
arduo. La Musica vince
sempre.
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