Monday, October 30, 2023

Peter Grimes - Teatro alla Scala

Foto: Brescia & Amisano

Massimo Viazzo

Per il nuovo allestimento di Peter Grimes la Scala ha dato l’incarico a Robert Carsen, uno dei registi più affezionati al teatro milanese. Carsen è tornato così per la tredicesima volta a Milano e con l’aiuto dei suoi collaboratori Gideon Davey (scene e costumi), Peter van Praet (luci), Rebecca Howell (coreografia) e Will Duke (video) ha predisposto uno spettacolo emotivamente potente, nel quale l’esemplare cura dei movimenti scenici dei molti personaggi presenti in scena andava di pari passo con un potente scavo psicologico sul protagonista. Il capolavoro di Benjamin Britten (1913-1976) ha una discreta tradizione di rappresentazioni al Teatro alla Scala, con la prima italiana avvenuta nel 1947 (due anni dopo la première londinese del 1945) diretta da Tullio Serafin e in versione ritmica italiana, e altre tre riprese in seguito. Da ricordare soprattutto quelle con due «mostri sacri» quali Jon Vickers nel 1976 e Philip Langridge nel 2000. Il sipario si apre sull’aula del tribunale in cui Grimes viene accusato (ingiustamente) di aver ucciso il suo mozzo. Una scena fissa, cupa e spoglia che si trasformerà nei vari ambienti dell’opera, la taverna, la strada davanti alla chiesa, la capanna di Grimes, mentre nella parte superiore viene predisposto uno spazio per effettuare delle video proiezioni in cui si vedranno di volta in volta il primo ragazzo morto sul fondale della barca tra i pesci, gli occhi allucinati del protagonista, specchio della sua inesorabile caduta nel baratro, il mare tempestoso tanto reale quanto metaforico. La lettura del regista canadese ci porta d’acchito nella psiche di Grimes, nel suo subconscio, mettendo in evidenza quel pesantissimo senso di colpa che lo tormenterà per tutta la vicenda, e cioè quello di non aver saputo salvare il suo apprendista della cui morte la gente del borough lo accusa. Sarà proprio questo senso di colpa, dopo la morte accidentale anche del secondo apprendista, ad annientare Grimes portandolo al suicidio. Non a caso l'ultima scena ripropone l'aula del tribunale con un ritorno ciclico all'inizio del Più rologo quasi come se questo fosse un processo infinito da cui Grimes non si può salvare se non con la morte. Brandon Jovanovich dipinge un Grimes scorbutico, violento, manesco, aggressivo, brutale. Il tenore americano ne fa una interpretazione di sapore espressionista rifacendosi chiaramente al Modello di Jon Vickers.  Il suo Grimes è un personaggio borderline che soffre perché incapace di comunicare e che sarà travolto dal falso perbenismo e dall’ottusità dei compaesani del borough. Vocalmente muscolare, non sempre immacolato nell’emissione nel registro più acuto, Jovanovich dipinge sulla scena un grande personaggio tragico grazie anche ad una notevole prova attoriale. Ellen Orford, la maestra vedova che tenta in tutti i modi di salvare Grimes, era Nicole Car. Il soprano australiano ha messo in mostra una voce luminosa e liricissima, sapendo anche essere intensa e drammatica. La sua interpretazione è parsa perfettamente idiomatica. Al Capitano Balstrode prestava la sua voce timbrata e virile Ólafur Sigurdarson. Notevole anche lo squillo negli acuti. Per il baritono islandese Carsen ha ritagliato un ruolo più cinico del consueto, ritraendolo come un avido affarista interessato a fare soldi. Un po’ tutti gli interpreti hanno mostrato notevoli capacità di recitazione e sono parsi vocalmente irreprensibili. Da ricordare Peter Rose nei panni di Swallow, Natascha Petrinsky come Mrs. Sedley, Michael Covin il moralista ipocrita Bob Boles, Margaret Plummer nel ruolo di Auntie con le disinibite nipotine Katrina Galba e Tineke van Ingelgem, le due principali attrazioni della locanda. Simone Young, che debuttava alla Scala, ha mostrato di conoscere benissimo la partitura dirigendo con sicurezza ed energia, sapendo ripiegare nei momenti più intimi e mai debordando in quelli più eclatanti. Ottimo sempre l’equilibrio tra la buca e il palcoscenico e in questo la direttrice australiana ha mostrato di conoscere bene l’arte di saper accompagnare i cantati, cosa che oggi non è sempre così scontata. La Young ha restituito la partitura britteniana con lucidità, vigore ma anche estrema trasparenza. Davvero una prova maiuscola la sua. Superlativo infine il Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi, decisamente molto impegnato in quest’opera. E il pubblico ha decretato alla fine un franco successo.

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