Monday, February 5, 2024

Simon Boccanegra - Teatro alla Scala


Foto: Brescia & Amisano

Massimo Viazzo 

A dieci anni dalla scomparsa di Claudio Abbado, il Teatro alla Scala ha messo in programma una delle sue opere preferite e amate, il Simon Boccanegra. Ricordo le memorabili recite scaligere del 1971 (con la regia di Giorgio Strehler) che diedero del capolavoro verdiano una lettura di rara forza drammatica dovuta ad una nuova e potente visione interpretativa e a un cast straordinario. Da allora il Boccanegra, opera cupa come poche altre e non molto rappresentata fino ad allora, è entrata dalla porta principale nel repertorio di ogni teatro lirico, come era giusto che fosse. In questa occasione la regia è stata affidata a Daniele Abbado, figlio del direttore d’orchestra, e dico subito che lo spettacolo a cui ho assistito era scialbo, scarno di idee e visivamente deludente. Non basta una generica etichetta di minimalismo per mascherare la pochezza dell’insieme. Non si è notata nemmeno una regia sui cantanti, sempre lasciati a loro stessi con i soliti gesti stereotipati e movimenti convenzionali. Anche la bacchetta di Lorenzo Viotti non ha convinto appieno. Il giovane direttore svizzero ha mostrato una indubbia perizia nella cura di certi particolari orchestrali timbrici e di fraseggio (l’Orchestra del Teatro alla Scala ha suonato benissimo!), ma gli è un po’ sfuggita una visione più complessiva e teatralmente stimolante. E quando ad un’opera lugubre come il Simon Boccanegra manca il passo teatrale si rischia la noia. In definitiva Viotti sembrava più interessato a ciò che succedeva in buca che in palcoscenico. Il cast è stato dominato dal Boccanegra di Luca Salsi che continua ad inanellare successi nei ruoli verdiani in tutto il mondo mostrandosi forse come l’interprete di riferimento dei nostri giorni. Salsi mette in mostra un accento vibrante, appassionato, ma sa essere anche sfaccettato, sa cantate piano, sa sfumare, con una timbrica sempre virile e gagliarda quando serve. Il suo è stato un Simone umano e commosso. Eleonora Buratto ha interpretato il ruolo di Amelia Grimaldi mostrando una indubbia purezza e nitidezza timbrica. L’accento era adeguato e la linea di canto limpida e musicale con un fraseggio comunicativo, anche se a volte è parsa un po’ prudente nell’affrontare il registro più acuto. Charles Castronovo ha impersonato un Gabriele Adorno struggente, ma anche spavaldo, e a tratti veemente, evidenziando una certa facilità negli acuti, corposi e timbrati, ma una linea di canto un po’ forzata e nel complesso non sempre omogenea soprattutto in zona centrale. Ottimo il Paolo Albiani di Roberto De Candia, cantato con dizione perfetta, emissione ben sostenuta, proiezione vocale invidiabile. Mentre del tutto  insoddisfacente è stata la prova di Ain Anger nei panni di Jacopo Fiesco. La voce del basso estone è parsa disomogenea timbricamente e faticosa nell’emissione. Le sue frasi musicali si dipanavano con sforzo e anche la dizione è parsa problematica. Da segnalare infine la presenza sempre attenta e precisa del Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi.



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