Monday, April 14, 2025

La Dama di Picche - Teatro Regio di Torino

Foto: Mattia Gaido 

Massimo Viazzo

L’opera La Dama di Picche di Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840-1893) non veniva rappresentata al Teatro Regio di Torino da sedici anni, precisamente dalla fortunata produzione del 2009 diretta da Gianandrea Noseda, con un notevole cast composto da Svetla Vassileva, Maksim Aksënov, Anja Silja, Vladimir Vaneev, Dalibor Jenis e Julia Gersteva. Lo spettacolo proposto in que sta occasione proviene dalla Deutsche Oper di Berlino (in coproduzione), dove è stato rappresentato nel marzo 2024. La regia, progettata poco prima dello scoppio della pandemia da Graham Vick, scomparso nel 2021 a causa di un’infezione da Covid-19, è stata ripresa e sviluppata da Sam Brown. La Dama di Picche è uno dei grandi capolavori del teatro d’opera russo. Rappresentata per la prima volta al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo il 19 dicembre 1890, fu accolta con grande successo di pubblico e critica. L’opera è tratta da un breve racconto di Aleksandr Puškin (1799-1837), che Čajkovskij amplia e modifica arricchendolo di dettagli anche in disaccordo con il fratello Modest, coautore del libretto. La vicenda di Hermann, ufficiale squattrinato tormentato tra l’amore passionale per la nobile Liza, l’ossessione per il gioco d’azzardo, l’ambizione di appartenere a un mondo aristocratico a lui chiaramente estraneo e l’attrazione per la sfera del soprannaturale, viene narrata dal regista inglese Sam Brown con originalità, seguendo una via non convenzionale, talvolta disorientante, ma sufficientemente coerente. Hermann e Liza sono entrambi degli esclusi. Lo si comprende già durante il coro iniziale (qui chiaramente inteso come un flashback degli eventi futuri), durante il quale il piccolo Hermann subisce il bullismo dei compagni e rifiuta l’orsetto donatogli dalla piccola Liza che tenta un approccio per dargli conforto. Un’attrazione tra i due nata in gioventù ma probabilmente mai concretizzatasi fino all’epoca in cui si sviluppa il plot del libretto. Entrambi aspirano a fuggire dal proprio mondo: Hermann è attratto dalla ricchezza, da una vita facile e frivola, mentre Liza vorrebbe lasciarsi alle spalle proprio quella vacuità, quella superficialità che sembra invece rappresentare il fine ultimo dei desideri di Hermann. In definitiva, il gioco d’azzardo, o meglio la vittoria al gioco, diventa una vera ossessione per il protagonista e la storia non può che concludersi in modo tragico. Lo spettacolo, firmato da Sam Brown e ripreso a Torino da Sebastian Häupler, presentava un impianto scenico caratterizzato da pannelli girevoli che mostravano sullo sfondo ampi cieli colorati. A questi si aggiungevano pedane, quinte semoventi e luci al neon che delimitavano gli spazi scenici. Gli ambienti, piuttosto sfarzosi, venivano scomposti e ricomposti anche attraverso l’utilizzo di sipari e scalinate. La narrazione, pur presentando momenti di discontinuità e disorientamento per lo spettatore, è risultata nel complesso abastanza efficace. Si segnala positivamente l’utilizzo di proiezioni di vecchi film muti in bianco e nero per enfatizzare alcuni momenti dell’opera, come ad esempio durante il racconto di Tomskij nel primo atto. Si rileva, tuttavia, con rammarico, l’eliminazione della scena pastorale del secondo atto. Il responsabile della drammaturgia dello spettacolo, Kostantin Parnian, avrebbe forse dovuto valutare soluzioni alternative per non sacrificarla completamente. Ma la scelta registica più audace è stata quella di ribaltare il rapporto tra Hermann e la Contessa, una scelta molto discutibile ma certamente d’impatto. In questa produzione, la Contessa, una donna ancora piacente che sa e vuole prendere l’iniziativa con gli uomini, non muore per lo spavento causato dalla pistola puntata da Hermann, ma per eccesso di libido. È lei che si offre sessualmente al protagonista, probabilmente per rivivere ancora una volta gli istanti della sua giovinezza, dalla quale non vuole distaccarsi, come dimostrano le vecchie immagini proiettate in modo ossessivo all’interno della sua stanza. Un vero e proprio ribaltamento di prospettiva che non convince perché snatura la potente drammaticità della scena descritta dal libretto. In questo allestimento, la Contessa può ricordare, per certi versi, la figura di Norma Desmond (interpretata da Gloria Swanson) nel film “Sunset Boulevard”. Un altro momento che non ha convinto è stato il ballo all’inizio del secondo atto: ambientato in una sorta di discoteca psichedelica, è parso eccessivamente trash e, quindi, completamente fuori contesto. La bacchetta era affidata a Valentin Uryupin. Il direttore russo ha impostato una lettura tesa e drammatica ma nell’insieme un po’ generica, mancando un po’ di atmosfera e di un maggior approfondimento sui timbri orchestrali. Da segnalare anche alcuni scollamenti tra buca e palcoscenico soprattutto in presenza del coro. L’Hermann di Mikhail Pigorov è piaciuto per sicurezza e piglio. Con la sua voce da tenore lirico-spinto, ha saputo essere incisivo ma anche delicato. Forse però gli è mancata un po’ la carica visionaria che è caratteristica del suo personaggio. Zarina Abaeva ha offerto un’interpretazione di Liza disinvolta e di carattere. La sua voce, di bella timbrica nel registro medio, ha mostrato una linea di canto meno a fuoco nella zona più acuta della tessitura. Jennifer Larmore ha interpretato con maestria il ruolo della Contessa, offrendo una presenza scenica magnetica, seducente e al contempo inquietante. Ogni frase,ogni parola è stata scandita con intenzione, mantenendo costante la teatralità, sebbene la sua voce perdesse un po’ del suo colore naturale nel registro più grave. Vellutato e nobile il canto di Vladimir Stoyanov che ha tratteggiato un Principe Eleckij umano ma sempre aristocratico. La sua magnifica aria del secondo atto “Ya vas lyublyu, lyublyu bezmerno” è stata indubbiamente il momento culminante della serata. Elchin Azizov ha interpretato un Tomskij comunicativo e vocalmente generoso, mentre Deniz Uzun ha offerto una Polina apprezzata per la musicalità e il caldo colore della sua voce. L’intero cast ha fornito un’interpretazione convincente, dimostrando un’eccellente capacità di lavoro di squadra: in particolare, Alexey Dolgov (Čekalinskij), Vladimir Sazdovski (Surin), Ksenia Chubunova (la governante), Joseph Dahdah (Čaplickij e il maestro di cerimonie), Viktor Shevchenko (Narumov) e Irina Bogdanova (Maša) Si segnala inoltre l’ottima performance del Coro del Teatro Regio diretto da Ulisse Trabacchin e un convinto plauso al Coro delle Voci Bianche diretto da Claudio Fenoglio.



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