Renzo Bellardone
Buongiorno maestro Aliverta, come sta?
Molto molto bene grazie, è un bel periodo, sto facendo moltissime cose sia a livello professionale che personale che mi soddisfano molto. Sto tentato di fare solo quello che mi piace e mi dà stimoli, quindi posso dire di essere fortunato e felice
Mi permette alcune domande:
Dalle colline dell‘Alto Vergante a “VoceAllOpera” il passo è stato breve? Insomma era un sogno cullato nel tempo e finalmente realizzato?
VoceAllOpera non è solo un progetto, è una visione nata oltre quindici anni fa. L’ho pensata, creata, forgiata con l’idea precisa di costruire una realtà diversa nel panorama lirico italiano: un luogo d’incontro autentico tra talento, dedizione e umanità. Guardando oggi al percorso compiuto, non posso che riconoscere quanto quella visione iniziale sia stata fertile. È stata una palestra formativa non solo per me, ma per decine di giovani artisti che, grazie a questo spazio, hanno spiccato il volo: penso ai debutti importanti, ai podi internazionali, ai teatri prestigiosi come la Scala, il Teatro Real di Madrid, la Fenice, ma anche al primo esperimento lirico ad Antigua, alle tournée in Cina, Giappone, e perfino agli Oscar della Lirica a Londra. VoceAllOpera è diventata oggi un punto di riferimento per la ricerca di nuovi talenti e, soprattutto, porta il mio “sigillo”: un modo di fare arte non autoreferenziale, capace di coniugare professionalità e calore umano. La parola che più spesso mi viene restituita da chi vi ha partecipato è “famiglia”. E non una famiglia idealizzata o retorica, ma una famiglia vera, fatta di serietà, rigore, condivisione, ascolto e crescita. Per me fare opera significa partire dall’aspetto umano: conoscersi, capirsi, accogliere le fragilità, esaltare i punti di forza, e da lì crescere, evolversi, diventare ciò che si vuole essere. Non credo che si possa parlare di un traguardo raggiunto, perché VoceAllOpera è in continuo movimento. È una realtà che cambia pelle, che ascolta i segni del tempo e si adatta, con la stessa energia di chi sa che l’arte, per essere viva, deve sempre rinnovarsi. E di questo, sì, posso dire di essere profondamente fiero.
La sua scelta di luoghi inusuali e regie non sfarzose, ma concettuali e innovative hanno segnato il suo percorso da regista; come è nata questa idea e passione per la divulgazione dell’opera lirica?
Per me l’opera è vita. Non esiste giorno in cui io non canti, non ascolti o non legga qualcosa che abbia a che fare con il teatro musicale. È una passione viscerale, che sento il dovere – oltre che il piacere – di condividere con chiunque incontri. Quando scopro qualcosa di bello, sento l’urgenza di farlo conoscere a tutti. Con VoceallOpera ho voluto fare proprio questo: rendere l’opera accessibile, senza mai svilirla. L’opera, per natura, è una macchina imponente: teatri, maestranze, orchestre, costumi, scenografie… Ma io ho voluto distillarne l’essenza. Ho voluto evitare quegli allestimenti goffi e dilettanteschi che, pur con grandi numeri, finiscono spesso per sfiorare il ridicolo. Al contrario, ho puntato su pochi elementi, scelti con cura: artisti giovani, motivati, con una reale possibilità di emergere. Credo nella formazione e nella costruzione del talento. Non mi interessa l’usato sicuro, il cantante che arriva il pomeriggio per cantare la sera. Voglio lavorare con chi ha ancora fame, con chi è disposto a mettersi in discussione. Con loro costruiamo spettacoli in cui ogni scelta è pensata, in cui ogni gesto ha un senso. Privando l’opera del superfluo, emerge l’essenziale: la parola, la musica, l’interpretazione. E quando un cantante si trova da solo in scena, senza l’appoggio di grandi scenografie o comparse, non può che vivere davvero ciò che canta. È un ritorno all’opera vera, a quell’ideale che immaginava anche Verdi: essenziale, potente, necessaria. Ed è per questo che ogni produzione Voce allOpera ha almeno tre settimane di prove. È il minimo sindacale, ed è sempre più raro nei teatri. Ma senza tempo, senza lavoro, senza approfondimento, non si crea nulla. In dieci giorni si fa appena in tempo a conoscersi.
Oltre a Voce all’opera lei è un regista che si è espresso in tutto il mondo e si è confrontato con musiche e libretti ben differenti: dall’Incoranazione di Poppea al Festival della Valle d’Itria a La Voix humaine alla Fenice di Venezia...Come sente e come vive la creazione di una messa in scena?
Quando affronto un nuovo titolo, ho due missioni imprescindibili: il rispetto per il pubblico e il rispetto per l’autore. Sono i miei fari, sia che lavori in una cascina della periferia milanese, sia che inauguri il Teatro Real di Madrid, porti l’opera ad Antigua o nei teatri internazionali. Il mio approccio non cambia: il pubblico è sempre pubblico e merita la medesima cura, attenzione, qualità.Non ho mai misurato l’impegno in base al cachet. Che si tratti di una produzione per VoceallOpera o per un grande teatro internazionale, l’energia, la dedizione e il rigore sono gli stessi. Il pubblico va ascoltato, capito, persino anticipato, senza mai snaturarsi, ma tenendo conto della sensibilità del luogo e del contesto in cui si opera. Allo stesso modo, credo profondamente nella centralità dell’autore. La mia regia parte da un principio che nella musica è scontato, ma nella regia troppo spesso ignorato: la prassi esecutiva. Così come un cantante conosce le convenzioni stilistiche di un’epoca e può decidere se rispettarle o sovvertirle consapevolmente, io mi pongo la stessa domanda nei confronti dell’autore: come rendere oggi viva la sua visione, senza tradirla? Non ho uno stile visivo univoco: ogni opera richiede una chiave diversa, può essere storicizzata o attualizzata. Cerco di capire non solo cosa dice quell’opera, ma anche cosa può dire oggi e in quel preciso contesto. La mia sensibilità – che cambia nel tempo – deve mettersi al servizio del testo, senza sovrastarlo. Il mio compito è essere una guida silenziosa tra il pubblico e l’autore, affinché i temi, le emozioni e le ferite che animavano quell’opera possano ancora parlare, scuotere, interrogare.
Anche quest’anno approda allo Stresa Festival con un’opera impegnativa ‘Don Giovanni’ e porta le note di Mozart all’Isola dei PescatoriDevo dire che mi sento profondamente onorato. Escludendo i direttori artistici che si sono succeduti nel tempo, credo di essere uno dei pochissimi artisti a essere stato riconfermato per tre edizioni consecutive, segno di una fiducia rara e preziosa. È il terzo anno che porto il mio modo di fare opera nelle terre in cui sono cresciuto, e questo ha un valore affettivo e professionale enorme. Negli scorsi due anni, a Orta – luogo dell’anima – ho potuto realizzare un’esperienza immersiva in cui lo spettatore era davvero il centro: il pubblico attraversava fisicamente luoghi simbolici, dal giardino di Villa Bossi al palazzo comunale, fino a essere traghettato sull’isola per l’atto finale. Non si cambiavano scenografie, ma spazi reali, e questo creava un coinvolgimento totale. Quest’anno, pur senza cambiare location, saremo sospesi sul Lago Maggiore, circondati dalla bellezza dell’Isola Madre e degli hotel storici di Stresa. Portare Mozart in un contesto simile, con pochi strumenti ma con un’idea forte, è un privilegio raro. Allestire in teatro è il nostro mestiere, ma essere invitati a reinventare l’opera in spazi non convenzionali, e farlo per tre anni consecutivi, grazie alla fiducia di Mario Brunello e del festival, è qualcosa che accade a pochi. E mi conferma, forse, come portatore di una visione diversa e necessaria di fare opera oggi.
Per tornare a Voce all’opera vedo che il ‘Concorso lirico internazionale’ Giancarlo Aliverta cresce di anno in anno! Son soddisfazioni?
Il concorso mi impegna per nove mesi all’anno, in modo totalmente gratuito, ed è forse l’attività più faticosa ma anche la più appagante che porto avanti. Con questa quinta edizione credo di aver davvero alzato l’asticella, introducendo cambiamenti profondi che rispondono a un’esigenza chiara: rinnovare un sistema saturo. Di concorsi lirici in Italia ce ne sono moltissimi, forse troppi. Se unissero le forze, si potrebbero creare iniziative straordinarie. Ma spesso si preferisce coltivare il proprio orticello, a scapito di una visione collettiva. Con piacere noto che molte delle idee introdotte nel nostro concorso vengono replicate altrove: è segno che stiamo tracciando una strada sensata. Quest’anno, per esempio, ho eliminato il limite d’età. Una scelta maturata anche in seguito al vuoto generazionale creato dal Covid, che ha tagliato le gambe a molti giovani artisti oggi esclusi dai circuiti per mere questioni anagrafiche. Dare loro una seconda possibilità mi sembra un atto di giustizia. Ma la vera novità, e forse la più rivoluzionaria, è che il nostro è un concorso “a ruoli”: chi vince debutta davvero, non riceve solo un premio in denaro. E sarà l’opera a essere scelta sulle voci, e non il contrario. Questo rende possibile tutto: da Monteverdi a Mascagni, da Mozart a Nino Rota. È un concorso che si reinventa ogni volta, che richiede una progettazione totale, lontana dalle formule preconfezionate. È certamente complesso, ma restituisce un senso profondo: quello di creare opportunità concrete, vere, che lasciano un segno. E se alla fine sei stremato, lo sei per qualcosa che ha davvero valore.
Per finire con un po' di ironia le prossime regie saranno “frizzanti con brio” o “frizzanti con botto”?Mi attende una stagione intensa e variegata, che si apre con il Don Giovanni che presenteremo al Festival di Stresa: una lettura moderna, priva di elementi bucolici o soprannaturali, in cui tutto è estremamente reale – per quanto possa esserlo la resurrezione di un morto che trascina all’inferno un uomo colpevole soltanto di voler essere sé stesso. A settembre volerò in Spagna, alla Coruna, con ‘La finta semplice’, dove l’universo goldoniano delle maschere e dei ruoli sociali si tingerà di rosa: sarà un allestimento interamente ispirato al mondo di Barbie, una chiave ironica ma tagliente per raccontare il patriarcato con leggerezza solo apparente. In autunno sarò poi al Teatro Regio di Torino con Hänsel e Gretel, questa volta in un allestimento storico, fedele all’immaginario visivo romantico e fiabesco, ma senza indulgere nel kitsch: un omaggio a quei disegni da libro “Cuore” che hanno nutrito la nostra infanzia. Infine, a dicembre, una nuova sfida: Il canto di Natale, opera in prima assoluta firmata VoceallOpera, ispirata al capolavoro di Dickens. Non so ancora se sarà “col botto” o “col brio” – forse entrambi – ma sicuramente sarà un progetto gioioso, che guarda al futuro con entusiasmo e con quella leggerezza che solo la musica sa restituire.
Grazie Maestro
Aliverta per il tempo dedicato ed in relazione alla territorialità, ci vedremo a settembre all’Isola dei
Pescatori-Stresa nell’ambito dello Stresa Festival 2025 e poi al Regio di
Torino!
Grazie ancora per
la semplicità, l’esaustività e l’umanità
con cui si è relazionato in
questa intervista...



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