Foto: Brescia&Amisano
Massimo Viazzo
Se è vero che alla Scala Thais arriva quest'anno per la prima volta in lingua originale (una produzione in italiano andò in scena nel lontano 1942 sotto la bacchetta di Gino Marinuzzi), è altrettanto vero che la Scala per l'occasione ha fatto le cose in grande. Ma andiamo con ordine. Thais è un capolavoro di Jules Massenet mai entrato stabilmente in repertorio, il cui libretto è ispirato al romanzo di Anatole France che narra le vicende terrene (e ultraterrene) della “puttana santa”, quella Taide che Dante aveva già messo tra gli “adulatori” nell'Inferno della sua Divina Commedia. Thais è simbolo di depravazione, di lascivia, di lussuria, ma, al termine del suo mistico e intimo percorso di conoscenza e consapevolezza, diventa anche emblema di redenzione e salvezza, in un rapporto sempre ambiguo e conturbante tra i godimenti della carne e le gioie dello spirito, tra desiderio e sacrificio, eros e agape in una parola. Nella Alessandria paleocristiana Thais imperversa diffondendo il verbo del piacere e dell'immoralità. Il giovane cenobita Athanaël adempie al tentativo di salvarla dal peccato, ma il viaggio dei due protagonisti non troverà un vero punto di incontro, anzi le due traiettorie si evolveranno in modo contrapposto: Thais sarà effettivamente redenta, mentre il monaco si macererà nei turbamenti carnali risvegliatisi potentemente in lui dall'incontro con la peccatrice e futura santa. Marina Rebeka intepreta la protagonista con voce straordinariamente malleabile. Volume, precisione, capacità di sostenere i fiati sia nei crescendi che nei diminuendi. Tecnica impeccabile. Unico neo, forse, la mancanza di una vera seduzione timbrica connessa al ruolo della ammaliatrice. Ma, giù il cappello per una grande performance! Una bella sorpresa l'Athanaël cantato da Lucas Meachem. Il baritono statunitense, ancora poco noto in Italia, ha sfoggiato una vocalità nobile ed elegante. Il suo Athanaël dal timbro vellutato e di emissione morbida e levigata è piaciuto molto. Giovanni Sala ha impersonato con verve e spavalderia unite ad una linea di canto musicalissima e nitidezza timbrica il personaggio del giovane alessandrino Nicias. Le due schiave Crobyle e Myrtale, interpretate rispettivamente da Caterina Sala (sorella di Giovanni) e da Anna-Doris Capitelli e la Charmeuse di Federica Guida hanno formato un trio eccezionale per omogeneità, spigliatezza e sicurezza vocale. Convincenti pure il solenne Palemon di Insung Sin e la premurosa Albine di Valentina Pluzhnikova. Lo spettacolo è stato firmato da Oliver Py al suo debutto scaligero. Senza mai cadere nel peggior kitsch il regista francese ha saputo evocare i turbamenti dei protagonisti non sempre prendendo sul serio il libretto di Louis Gallet (come è giusto che sia) infarcendolo così di una buona dose di ironia. Straordinaria la direzione dei movimenti scenici. E perfettamente azzeccato il riferimento a Dante nella scena ambientata nel bordello di Alessandria con le sovrascritte evocanti l'incipit della Divina Commedia. In certi momenti sembrava di assistere quasi ad un musical, e oltretutto in questa edizioni i balletti sono stati giustamente eseguiti integralmente. Le vaporosità, le timbriche setose e seducenti, i clangori vividi di questa splendida partitura sono stati evidenziati al meglio da Lorenzo Viotti la cui concertazione ha puntato sul colore e sulla mobilità del fraseggio. Viotti sembra mostrare grande affinità con questo repertorio. Ottimi il coro e i ballerini e una nota di plauso alla spalla Laura Marzadori che ha saputo emozionare con una Meditation intensamente lirica.
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