Massimo Viazzo
Continua in
questa stagione l’omaggio a Puccini del Teatro Regio di Torino nel centesimo
anniversario della sua morte con la proposta de La Fanciulla del West,
capolavoro andato in scena per la prima volta al Met di New York nel 1910 con
la direzione di Arturo Toscanini e un cast d’eccezione costituito da Emma
Destinn, Enrico Caruso e Pasquale Amato. Con La Fanciulla del West Giacomo
Puccini, guardando al primo Novecento europeo, sentì il bisogno di rinnovarsi
confezionando una partitura suggestiva, armonicamente ricca, originalissima,
che presenta anche richiami a melodie autentiche del folclore americano. Vero è
che molti melomani e molti pucciniani incalliti forse non l’hanno mai messa
(ingiustamente!) in cima alle loro preferenze, e nei teatri non è così
rappresentata come Tosca, Butterfly, Boheme o Turandot. Ma i palati più
esigenti l’hanno sempre apprezzata per originalità e innovazione, ammirandone
il flusso orchestrale colmo di dettagli e sfumature. Atteso era quindi il nuovo
allestimento presentato a Torino, città legata al titolo pucciniano fin dal
1911 con una delle sue prime rappresentazioni italiane. Come si sa la Fanciulla
del West ha avuto un ruolo importante anche al di fuori della storia del
melodramma dando risonanza probabilmente per la prima volta a quel genere
western che tanti successi negli anni seguenti donò al cinema americano. Ed è
proprio al cinema che si ispira questa produzione. La regista argentina
Valentina Carrasco utilizza un approccio metateatrale mettendo in scena accanto
ai personaggi del libretto una vera e propria troupe di figuranti (regista,
attrezzisti e addetti alla cinepresa) che durante la rappresentazione
dell’opera girano live un vero e proprio film western, e in particolare di uno
spaghetti western all’italiana, il genere legato al noto cineasta Sergio Leone
che secondo la Carrasco con i suoi lavori diede nuova linfa al western
tradizionale che ormai stava decadendo. Le scene curate da Carles Berga e Peter
van Praet (quest’ultimo anche alle luci) e i costumi di Silvia Aymonimo, sono
parsi in stile e appropriati contribuendo con gusto all’ambientazione. In
particolare i punti salienti della partitura trovavano una definizione più
netta con riprese video effettuate direttamente in palco e proiettate su un
fondale che scendeva dall’alto. Il rischio in produzioni come queste è che la
visione registica seppur interessante alla lunga possa annoiare. Niente di
tutto questo: la Carrasco non perde mai il filo della narrazione con idee,
trovate a volta ironiche, a volta di forte impatto, il tutto sempre svolto con
estrema coerenza e tensione. La bacchetta era affidata a Francesco Ivan Ciampa
che ha guidato l’ottima Orchestra del Teatro Regio con impeto e buon passo
teatrale, ma con poche finezze e con una gamma dinamica ridotta e tendente al
forte. La protagonista Jennifer Rowley ha impersonato una Minnie lirica,
convincente soprattutto nel canto di conversazione così importante in Puccini,
meno nei momenti più appassionati quando l’orchestra si faceva più massiccia
coprendole la voce. Anche in zona acuta il soprano americano non pareva sempre
a fuoco. Roberto Aronica ha donato la sua voce robusta a Dick Johnson/ Ramerrez
mostrando una sana proiezione vocale e una invidiabile facilità in zona acuta,
mentre Gabriele Viviani era uno sceriffo (Jack Rance) virile e tormentato, buon
fraseggiatore dalla timbrica calda e seducente. In quest’opera sono moltissime
le parti di fianco e, in particolare, i minatori diventano un vero e proprio
protagonista a più voci. In questa produzione sono tutti da lodare a cominciare
da Francesco Pittari (Nick), Filippo Morace (Sonora), Paolo Battaglia (Ahsby)
ma anche Cristiano Olivieri, Alessio Verna, Enzo Peroni, Giuseppe Esposito,
Gustavo Castillo, Adriano Gramigni, Alejandro Escobar, e Eduardo Martínez,
Enrico Maria Piazza, Tyler Zimmerman, Ksenia Chubunova artisti del Regio
Ensemble. Anche il Coro del Teatro Regio diretto da Ulisse Trabacchin si è
distino per previsione e espressività.
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