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Massimo Crispi
Ci sono alcuni
concerti nella vita che restano impressi nella memoria, già mentre si stanno svolgendo si ha la certezza che resteranno un punto di riferimento per
l’avvenire. È stato il caso di
questa esibizione spettacolare dell’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo,
diretta da Yuri Temirkanov, con la partecipazione della violinista spagnola
Leticia Moreno. Il programma aveva la
struttura di un classico concerto sinfonico: una fantasia sinfonica, un
concerto per strumento solista nella prima parte e un’opera sinfonica nella
seconda, in questo caso un balletto. Ha aperto la serata
la splendida “Francesca da Rimini” di Piotr Ilic Ciaikovskij, dove Temirkanov
ha accentuato il carattere spesso lugubre e amaro, predestinato agli amori
danteschi di Paolo e Francesca, con colori oscuri degli archi e di certi fiati.
Il canto del clarinetto solista, accompagnato da pizzicati impalpabili
dell’intera compagine di archi, emergeva dolente e commovente, e infatti
l’artista ha ricevuto, alla fine, la sua dose di ovazioni. Ciò che ha
caratterizzato quest’esecuzione è stata la nitidezza dei fraseggi di ogni
sezione, che entravano l’uno nell’altro, nel vortice sonoro e quasi
onomatopeico che avvolgeva i due amanti infelici. Magistrale. Leticia Moreno,
violinista giovane e già assai carismatica, si impone fin dall’ingresso: allure
aristocratica e sicura unita all’esilità della figura, quasi una modella
prestata alla musica. Questa violinista di nuova generazione ma al tempo stesso
creatura di un tempo indefinito, elegante e sensuale, ha la fortuna di suonare
su un violino Nicola Gagliano del 1762, il cui suono vellutato rispecchia
perfettamente l’immagine che l’artista dà di sé. I suoni che la Moreno ha
cavato da questo strumento assai pregevole, anche se leggermente flebili
rispetto a uno strumento più moderno, erano caldissimi, avvolgenti, e il suo
virtuosismo evidente ma non ostentato, al contrario, era assolutamente
comunicativo, come se non potesse essere che così, naturale. Era insomma, questo
strumento, quasi una voce umana. L’organico ridotto dell’orchestra, sotto la
leggera ed elegantissima direzione di Temirkanov, nel concerto di Felix
Mendelssohn, ha consentito alla sensazionale musicalità della Moreno di
emergere al suo meglio, senza sosta, alternando una mirabile propensione
all’elegia nei momenti lirici e una virtuosità consumata nei travolgenti
“allegro”. Bis splendido con pianoforte: “Nana” di Manuel de Falla, che si
accordava perfettamente al tono elegiaco della serata. Pubblico adorante,
giustamente. La seconda parte del
concerto era interamente occupata dal balletto “Petroushka” di Igor
Stravinskij, nella versione nel 1947. Non ci sono parole
per la perfezione raggiunta da questo ensemble sinfonico nella difficilissima partitura
stravinskiana, soprattutto per la ritmica, dove si fondono molti brani con
melodie e tempi completamente diversi, creando quel senso di disorientamento
che si prova nei luna park, dove ogni rumore si confonde con quello delle
giostre e dei fenomeni vicini. Temirkanov ha diretto con un chiarissimo gesto e
pochi cenni un’immenso affresco popolare, dominato da burattini e dalle loro
immaginate passioni. Pensato per Diaghilev e i suoi Ballets Russes fu danzato
da Nijinskij, la Karsavina e Orlov… ma sono certo che i loro fantasmi erano lì
presenti, e quasi si vedevano danzare in mezzo a quella perfezione musicale:
un’esecuzione come questa risveglia gli spiriti di tutti i danzatori del
passato. Le melodie popolari intonate dagli strumenti che caratterizzano i
personaggi, eseguite dalle bravissime prime parti dell’orchestra, dalla
boite-à-musique alla tromba, ai flauti, agli oboi, al pianoforte, alle
percussioni, eccetera, erano tanto espressive che il carattere drammatico e
narrativo della partitura veniva fuori spontaneamente raccontandoci la storia
senza le parole e senza l’azione coreografica. Applausi sonori per tutti
e due preziosi bis: Momento musicale n 3 di Franz Schubert, in un’insolita
versione per archi, dalla leggerezza di un velo di seta, e il sontuoso “Pas de
deux” dallo Schiaccianoci, in una travolgente interpretazione di Temirkanov:
Russians do it better, non c’è nulla da fare.
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