Thursday, July 31, 2025

Intervista al regista Gianmaria Aliverta GIANMARIA ALIVERTA

Foto: Gianmaria Aliverta

Renzo Bellardone

Buongiorno maestro Aliverta, come sta?

Molto molto bene grazie, è un bel periodo, sto facendo moltissime cose sia a livello professionale che personale che mi soddisfano molto. Sto tentato di fare solo quello che mi piace e mi dà stimoli, quindi posso dire di essere fortunato e felice

Mi permette alcune domande:

Dalle colline dell‘Alto Vergante a “VoceAllOpera” il passo è stato breve? Insomma era un sogno cullato nel tempo e finalmente realizzato?

VoceAllOpera non è solo un progetto, è una visione nata oltre quindici anni fa. L’ho pensata, creata, forgiata con l’idea precisa di costruire una realtà diversa nel panorama lirico italiano: un luogo d’incontro autentico tra talento, dedizione e umanità. Guardando oggi al percorso compiuto, non posso che riconoscere quanto quella visione iniziale sia stata fertile. È stata una palestra formativa non solo per me, ma per decine di giovani artisti che, grazie a questo spazio, hanno spiccato il volo: penso ai debutti importanti, ai podi internazionali, ai teatri prestigiosi come la Scala, il Teatro Real di Madrid, la Fenice, ma anche al primo esperimento lirico ad Antigua, alle tournée in Cina, Giappone, e perfino agli Oscar della Lirica a Londra. VoceAllOpera è diventata oggi un punto di riferimento per la ricerca di nuovi talenti e, soprattutto, porta il mio “sigillo”: un modo di fare arte non autoreferenziale, capace di coniugare professionalità e calore umano. La parola che più spesso mi viene restituita da chi vi ha partecipato è “famiglia”. E non una famiglia idealizzata o retorica, ma una famiglia vera, fatta di serietà, rigore, condivisione, ascolto e crescita. Per me fare opera significa partire dall’aspetto umano: conoscersi, capirsi, accogliere le fragilità, esaltare i punti di forza, e da lì crescere, evolversi, diventare ciò che si vuole essere. Non credo che si possa parlare di un traguardo raggiunto, perché VoceAllOpera è in continuo movimento. È una realtà che cambia pelle, che ascolta i segni del tempo e si adatta, con la stessa energia di chi sa che l’arte, per essere viva, deve sempre rinnovarsi. E di questo, sì, posso dire di essere profondamente fiero.

La sua scelta di luoghi inusuali e regie non sfarzose, ma concettuali e innovative hanno segnato il suo percorso da regista; come è nata questa idea e passione per la divulgazione dell’opera lirica?

Per me l’opera è vita. Non esiste giorno in cui io non canti, non ascolti o non legga qualcosa che abbia a che fare con il teatro musicale. È una passione viscerale, che sento il dovere – oltre che il piacere – di condividere con chiunque incontri. Quando scopro qualcosa di bello, sento l’urgenza di farlo conoscere a tutti. Con VoceallOpera ho voluto fare proprio questo: rendere l’opera accessibile, senza mai svilirla. L’opera, per natura, è una macchina imponente: teatri, maestranze, orchestre, costumi, scenografie… Ma io ho voluto distillarne l’essenza. Ho voluto evitare quegli allestimenti goffi e dilettanteschi che, pur con grandi numeri, finiscono spesso per sfiorare il ridicolo. Al contrario, ho puntato su pochi elementi, scelti con cura: artisti giovani, motivati, con una reale possibilità di emergere. Credo nella formazione e nella costruzione del talento. Non mi interessa l’usato sicuro, il cantante che arriva il pomeriggio per cantare la sera. Voglio lavorare con chi ha ancora fame, con chi è disposto a mettersi in discussione. Con loro costruiamo spettacoli in cui ogni scelta è pensata, in cui ogni gesto ha un senso. Privando l’opera del superfluo, emerge l’essenziale: la parola, la musica, l’interpretazione. E quando un cantante si trova da solo in scena, senza l’appoggio di grandi scenografie o comparse, non può che vivere davvero ciò che canta. È un ritorno all’opera vera, a quell’ideale che immaginava anche Verdi: essenziale, potente, necessaria. Ed è per questo che ogni produzione Voce allOpera ha almeno tre settimane di prove. È il minimo sindacale, ed è sempre più raro nei teatri. Ma senza tempo, senza lavoro, senza approfondimento, non si crea nulla. In dieci giorni si fa appena in tempo a conoscersi.

Oltre a Voce all’opera lei è un regista che si è espresso in tutto il mondo e si è confrontato con musiche e libretti ben differenti: dall’Incoranazione di Poppea al Festival della Valle d’Itria a La Voix humaine alla Fenice di Venezia...Come sente e come vive la creazione di una messa in scena?

Quando affronto un nuovo titolo, ho due missioni imprescindibili: il rispetto per il pubblico e il rispetto per l’autore. Sono i miei fari, sia che lavori in una cascina della periferia milanese, sia che inauguri il Teatro Real di Madrid, porti l’opera ad Antigua o nei teatri internazionali. Il mio approccio non cambia: il pubblico è sempre pubblico e merita la medesima cura, attenzione, qualità.Non ho mai misurato l’impegno in base al cachet. Che si tratti di una produzione per VoceallOpera o per un grande teatro internazionale, l’energia, la dedizione e il rigore sono gli  stessi. Il pubblico va ascoltato, capito, persino anticipato, senza mai snaturarsi, ma tenendo conto della sensibilità del luogo e del contesto in cui si opera. Allo stesso modo, credo profondamente nella centralità dell’autore. La mia regia parte da un principio che nella musica è scontato, ma nella regia troppo spesso ignorato: la prassi esecutiva. Così come un cantante conosce le convenzioni stilistiche di un’epoca e può decidere se rispettarle o sovvertirle consapevolmente, io mi pongo la stessa domanda nei confronti dell’autore: come rendere oggi viva la sua visione, senza tradirla? Non ho uno stile visivo univoco: ogni opera richiede una chiave diversa, può essere storicizzata o attualizzata. Cerco di capire non solo cosa dice quell’opera, ma anche cosa può dire oggi e in quel preciso contesto. La mia sensibilità – che cambia nel tempo – deve mettersi al servizio del testo, senza sovrastarlo. Il mio compito è essere una guida silenziosa tra il pubblico e l’autore, affinché i temi, le emozioni e le ferite che animavano quell’opera possano ancora parlare, scuotere, interrogare.

Anche quest’anno approda allo Stresa Festival con un’opera impegnativa ‘Don Giovanni’ e porta le note di Mozart all’Isola dei Pescatori

Devo dire che mi sento profondamente onorato. Escludendo i direttori artistici che si sono succeduti nel tempo, credo di essere uno dei pochissimi artisti a essere stato riconfermato per tre edizioni consecutive, segno di una fiducia rara e preziosa. È il terzo anno che porto il mio modo di fare opera nelle terre in cui sono cresciuto, e questo ha un valore affettivo e professionale enorme. Negli scorsi due anni, a Orta – luogo dell’anima – ho potuto realizzare un’esperienza immersiva in cui lo spettatore era davvero il centro: il pubblico attraversava fisicamente luoghi simbolici, dal giardino di Villa Bossi al palazzo comunale, fino a essere traghettato sull’isola per l’atto finale. Non si cambiavano scenografie, ma spazi reali, e questo creava un coinvolgimento totale. Quest’anno, pur senza cambiare location, saremo sospesi sul Lago Maggiore, circondati dalla bellezza dell’Isola Madre e degli hotel storici di Stresa. Portare Mozart in un contesto simile, con pochi strumenti ma con un’idea forte, è un privilegio raro. Allestire in teatro è il nostro mestiere, ma essere invitati a reinventare l’opera in spazi non convenzionali, e farlo per tre anni consecutivi, grazie alla fiducia di Mario Brunello e del festival, è qualcosa che accade a pochi. E mi conferma, forse, come portatore di una visione diversa e necessaria di fare opera oggi.

Per tornare a Voce all’opera vedo che il ‘Concorso lirico internazionale’ Giancarlo Aliverta cresce di anno in anno! Son soddisfazioni?

Il concorso mi impegna per nove mesi all’anno, in modo totalmente gratuito, ed è forse l’attività più faticosa ma anche la più appagante che porto avanti. Con questa quinta edizione credo di aver davvero alzato l’asticella, introducendo cambiamenti profondi che rispondono a un’esigenza chiara: rinnovare un sistema saturo. Di concorsi lirici in Italia ce ne sono moltissimi, forse troppi. Se unissero le forze, si potrebbero creare iniziative straordinarie. Ma spesso si preferisce coltivare il proprio orticello, a scapito di una visione collettiva. Con piacere noto che molte delle idee introdotte nel nostro concorso vengono replicate altrove: è segno che stiamo tracciando una strada sensata. Quest’anno, per esempio, ho eliminato il limite d’età. Una scelta maturata anche in seguito al vuoto generazionale creato dal Covid, che ha tagliato le gambe a molti giovani artisti oggi esclusi dai circuiti per mere questioni anagrafiche. Dare loro una seconda possibilità mi sembra un atto di giustizia. Ma la vera novità, e forse la più rivoluzionaria, è che il nostro è un concorso “a ruoli”: chi vince debutta davvero, non riceve solo un premio in denaro. E sarà l’opera a essere scelta sulle voci, e non il contrario. Questo rende possibile tutto: da Monteverdi a Mascagni, da Mozart a Nino Rota. È un concorso che si reinventa ogni volta, che richiede una progettazione totale, lontana dalle formule preconfezionate. È certamente complesso, ma restituisce un senso profondo: quello di creare opportunità concrete, vere, che lasciano un segno. E se alla fine sei stremato, lo sei per qualcosa che ha davvero valore. 

Per finire con un po' di ironia le prossime regie saranno “frizzanti con brio” o “frizzanti con botto”?

Mi attende una stagione intensa e variegata, che si apre con il Don Giovanni che presenteremo al Festival di Stresa: una lettura moderna, priva di elementi bucolici o soprannaturali, in cui tutto è estremamente reale – per quanto possa esserlo la resurrezione di un morto che trascina all’inferno un uomo colpevole soltanto di voler essere sé stesso. A settembre volerò in Spagna, alla Coruna, con ‘La finta semplice’, dove l’universo goldoniano delle maschere e dei ruoli sociali si tingerà di rosa: sarà un allestimento interamente ispirato al mondo di Barbie, una chiave ironica ma tagliente per raccontare il patriarcato con leggerezza solo apparente. In autunno sarò poi al Teatro Regio di Torino con Hänsel e Gretel, questa volta in un allestimento storico, fedele all’immaginario visivo romantico e fiabesco, ma senza indulgere nel kitsch: un omaggio a quei disegni da libro “Cuore” che hanno nutrito la nostra infanzia. Infine, a dicembre, una nuova sfida: Il canto di Natale, opera in prima assoluta firmata VoceallOpera, ispirata al capolavoro di Dickens. Non so ancora se sarà “col botto” o “col brio” – forse entrambi – ma sicuramente sarà un progetto gioioso, che guarda al futuro con entusiasmo e con quella leggerezza che solo la musica sa restituire.

Grazie Maestro Aliverta per il tempo dedicato ed in relazione alla territorialità,  ci vedremo a settembre all’Isola dei Pescatori-Stresa nell’ambito dello Stresa Festival 2025 e poi al Regio di Torino!

Grazie ancora per la semplicità, l’esaustività e l’umanità  con cui si è  relazionato in questa intervista...

 

Monday, July 28, 2025

Suite for Lake - Quartetto Noûs - Stresa Festival 2025

Foto: Stresa Festival 2025

Renzo Bellardone

STRESA FESTIVAL 2025 -SUITE FOR A LAKE- 26 LUGLIO Fulvio Sigurtà, tromba Simone Locarni, pianoforte Quartetto Noûs Ekaterina Valiulina, violino Alberto Franchin, violino Sara Dambruoso, viola Riccardo Baldizzi, violoncello D. Šostakovič, Quartetto per archi n. 4 in re magg. op. 83 S. Locarni, Suite for a lake

Quando la contemporaneità si esprime con uno sguardo di continuaità con il classico e con rimandi e citazioni importanti, ne scaturisce un affascinante luogo di incontro e di sogno. L’intimità travolgente di D. Šostakovič che traspare dal quartetto per archi n. 4 in re magg. op. 83, avvolge immediatamente e viene esaltata dall’equilibrio interpretativo del Quartetto Noûs, che all’ultimo movimento sa imprimere particolare  vividezza ai colori , per chiudersi in un percettibile afflato. La Seconda parte del concerto è dedicata alla Prima esecuzione assoluta di “Suite for a lake”, una composizione commissionata dal Festival a Simone Locarni,  artist in residence 2025. Contemporaneità e classicità si fondono con eleganza e raffinatezza, parlando d’acqua, di atmosfere e di comunicazione; si tratta di una composizione/ dedica alla terra d’origine di Locarni e ognuno dei movimenti è dedicato a un paese che si affaccia sul Lago Maggiore: Angera, Cannero, Falsopiano, Meina, Stresa/Isole, Montorfano creando un affascinante dialogo tra jazz e musica classica. A maggior valorizzazione della Suite, la presenza del celebre Fulvio Sigurtà alla tromba che senz’altro entusiasma per la carica interpretativa.La Musica vince sempre

Sunday, July 27, 2025

Passion Galliano - Stresa Festival 2025

Foto: Stresa Festival 2025

Renzo Bellardone

Con alle spalle Palazzo Borromeo, di fronte il lago e le luci della collina...al centro pianoforte e fisarmonica, che dire….certi luoghi da soli parlano di bellezza, di serenità, di condivisione….l’Isola bella a Stresa parla veramente così!

STRESA FESTIVAL 2025  - PASSION GALLIANO- 25 luglio SIMONE LOCARNI PROJECT /// ARTIST IN RESIDENCE. «Era il mio desiderio più caro: dare un giusto spazio a questo strumento, ingiustamente qualificato come il ‘pianoforte dei poveri’, mentre la mia fisarmonica è sempre stata uno ‘Steinway con le cinghie’». Queste parole di Richard Galliano rendono l’idea dell’approccio al suo strumento del quale è uno dei protagonisti indiscussi degli ultimi 50 anni. (dalle note dello Stresa Festival) Apre la serata piano solo del sobrio e virtuoso Simone Locarni, artis in residence allo Stresa Festival 2025. Raffinato interprete, racconta anche che il jaz non è il punto di arrivo, ma il mezzo per arrivare. Colto e misurato Locarni interpreta con eleganza tre brani di Galliano, il quale poi si complimenterà poi con Locarni per la verve interpretativa. Poi viene introdotto Richard Gallliano  che subito trasporta in mondi altri ed in atmosfere sognanti che immergono nella fantasia e nell’immaginazione più fantasticamente evocativa. Galliano esegue brani di diversa ispirazione che la sua maestria trasforma in opere d’arte di suggestione musicale. Compie variazioni ed incursioni (...io cerco la Titina..) evocando brani celebri ed ispirati. A conclusione di concerto Galliano invita Locarni a suonare insieme ‘Les feuilles mortes’ ricreando un momento di incredibile poesia, ma il pubblico non si accontenta e chiede ancora dei bis, che si comcludono con le due voci strumentali lanciate in un avvolgente tango. La Musica vince sempre




 

Saturday, July 26, 2025

Radici - Stresa Festival 2025

Credito fotografico Davide Martignoni

Renzo Bellardone

Un Festival ha nel suo obiettivo non solo quello di presentare persone e  composizioni note, ma ancor più dare voce e spazio ai talenti emergenti che si stanno, a buon titolo, affermando...

“RADICI” - STRESA FESTIVAL 2025 – Stresa Festival Hall- 23 luglio Simone Locarni project Artist in residence Javier Girotto – sax Michele Sannelli – vibrafono Antonio Palmieri – contrabbasso Antonio Marmora – batteria Simone Locarni - pianoforte.onCon “Radici” ha inizio il progetto dell’Artist in residence 2025 allo Stresa Festival, ovvero il giovane capace Simone Locarni, che interpretando lo spirito del festival ed il tema di questa edizione sviluppa il concetto di Lago, incontri condivisioni e gli interpreti di questa sera, pur avendo ‘radici’ diverse, decodificano elegantemente questo proposito ispiratore. Locarni, avvalendosi della collaborazione  di Xavier Girotto,  saxofonista monumento jazz e di altri validissimi concertisti, insieme a loro crea atmosfera avvolgente fatta di cinque suoni sensibilmente rispettosi uno dell’altro, della composizione e  del pubblico. L'ensemble è avvincente e godibile, ed esprimere nuove emozioni su Girotto, un musicista conosciuto e stimato in tutto il mondo, diventa davvero difficile. Abbiamo anche apprezzato l'ascolto di un paio di sue composizioni. Michele Sannelli al vibrafono emette vibrazioni che risuonano nell'aria e colpiscono inevitabilmente i sensi del pubblico; Antonio Palmieri, figura discreta ed espressiva, aggiunge eleganza al concerto con il ritmo del suo contrabbasso. Antonio Marmora, a sua volta, è elogiato per la delicatezza con cui suona la batteria, dedicandosi a un unico assolo... in un concerto jazz! Il tocco puro di Simone Locarni e la partecipazione coinvolgente che dimostra con il suo strumento e la sua musica sono ammirevoli, così come il suo talento compositivo, che si rivela nel finale. La Musica vince sempre.

Thursday, July 24, 2025

La Bohème en Torre del Lago

Foto: Giorgio Andreuccetti

Athos Tromboni

Un público ligeramente menor asistió a La bohème que a Tosca la noche anterior, en el Gran teatro all'aperto del lago Massaciuccoli. Sin embargo, hubo una buena asistencia (¿aproximadamente más de 2000 espectadores?) para el regreso de la dirección "cinematográfica" de Ettore Scola de 2014, repuesta por Marco Scola di Mambro. La noche fue menos calurosa y bochornosa que la anterior, incluso sufrió la interrupción de la función por algunas gotas de lluvia en dos ocasiones, pero luego el cielo se calmó y la velada concluyó triunfalmente para los artistas, el coro y la orquesta, en el segundo título del Festival Puccini 2025. En una reseña crítica del 2014, tras el estreno de esta (entonces nueva) producción, escribí: «...el milagro de Scola surgió de la simplicidad narrativa de los gestos, de las escenas de un París bohemio y fantasmagórico, porque (Scola había anotado en un ensayo del director) 'la humildad y el sentido común deben recordarle al director que la modernidad ya está plenamente presente en esta ópera, en los sentimientos, en el alma que la hizo eterna'». Así que el ático es verdaderamente un ático, el Barrio Latino con el Caffè Momus es un vistazo a la ciudad con su taberna, la Barriere d'Enfer es un puesto de aduanas reconocible. No hay mucho más que añadir a este último reestreno dirigido por Marco Scola Di Mambro. Solo una palabra: eficaz. Para completar la información sobre la aclamada producción de, cabe añadir que las escenografías son de Luciano Ricceri, el vestuario de Cristiana Da Rold y la iluminación de Valerio Alfieri. Cabe destacar que el podio orquestal confiado a Pier Giorgio Morandi enriqueció la velada, ya que el director valorizó cada pasaje de la partitura: del brio  casi carnavalesca de los irónicos litigios de los cuatro bohemios, hasta la jocosidad del vals de Musetta, a las arcadas sinfónicas de las arias y los dúos rebosantes de melodía, hasta los acordes perentorios que separan el momento lúdico de los cuatro amigos del trágico momento de la aparición de Mimì, en el final de su vida. Todo esto fue meticulosamente subrayado por la orquestación, respetuosa con las voces en escena y bien amalgamada dinámicamente en la relación entre canto y música (el escenario, obviamente, contaba con una discreta amplificación: no es ningún escándalo, todo el mundo lo hace hoy en día, incluso en los teatros cerrados...). El personaje del poeta Rodolfo fue interpretado por el ecléctico Vittorio Grigolo  quien no solo se limitó a cantar un papel que conoce bien, sino que también lo interpretó de manera efectiva. Entonces, justo cuando aparece Mimì, llamando a la puerta pidiendo que vuelvan a encender su vela, aparecieron las primeras gotas de lluvia: una llovizna muy ligera, como de nubes a la Fantozzi, y justo allí, sobre el Gran Teatro al aire libre, mientras un cielo estrellado enmarca la nube.  Aquí se dio lo primero que estuvo fuera de programada: Pier Giorgio Morandi miró  de reojo al primer violinista Domenico Pierini, luego se gira hacia el público, levanta los brazos en señal de rendición y se retiró a su camerino. Entonces Grigolo, que permaneció en el escenario, inventó una actuación ingeniosa pero igualmente entretenida (el público no se había movido de sus asientos, no había paraguas y el pronóstico del tiempo no pronosticaba lluvia durante la noche), y él, el tenor, hizo... el tenor. Se puso a ordenar el ático, a quitar el polvo de la mesa, a guardar libros y herramientas, a acercarse al cuadro que Marcello estaba pintando, a coger el pincel y a "corregir" algunos detalles del supuesto paisaje del lienzo, a quitarse la chaqueta y quedarse en mangas de camisa, a echar leña nueva a la estufa... en resumen, interpretó de forma hilarante una parte silenciosa e improvisada ("esta noche improvisamos", como diría Pirandello) y se ganó el aplauso con varias ovaciones. Entonces cesó  la llovizna, regresó el director y la función se reanudó: durante unos diez minutos, hasta que otra traviesa llovizna provocó  la interrupción de la función por segunda vez. Esta vez, nadie permaneció en escena; un déjà vu sin su originalidad resultaba inapropiado: incluso las actuaciones improvisadas si se hubieran repetido, hubieran perdido su fuerza. Debo admitir que la actuación de Vittorio Grigolo, más allá de su bufonería, fue muy apreciada por el público: el color de su voz, la facilidad de sus fiati en las zonas extremas del registro (sus agudos con una corona en la "speranza" de la primera aria fueron hermosos), gustó la seguridad con la que afronta sus papeles, como un temerario valiente e imprudente, es decir, como un artista que antepone su creatividad y perspicacia a la preocupación por lo que pueda suceder... Nino Machaidze también ofreció una óptima actuación, dotando a Mimì de todas las características tan claramente delineadas en la dramaturgia de Luigi Illica y la poesía de Giuseppe Giacosa. Su canto capta la atención porque sabe cómo frasear y es capaz de despertar emociones gracias a la emisión aterciopelada cuando necesita ser suave y a la claridad controlada de su canto spinto cuando necesita ser más potente. En Torre del Lago se sintió gratificada por el éxito personal, espontáneo y sincero del público. El barítono Vittorio Prato también brilló como Marcello, junto con la deslumbrante soprano española Sara Blanch como Musetta. El resto del elenco también ofreció buenas actuaciones, desde Italo Proferisce (Schaunard) hasta Antonio Di Matteo (Colline), y desde el siempre presente Claudio Ottino (Benoit), un notable actor secundario en todos los papeles de Puccini, hasta Matteo Mollica (Alcindoro), así como Francesco Napoleoni (Parpignol), Francesco Auriemma (Sargento de Aduanas) y Simone Simoni (Aduanero). El Coro del Festival Puccini, dirigido por Marco Faelli, y el Coro Infantil, dirigido por Viviana Apicella, tuvieron una actuación sobresaliente. La bohème fue otro éxito del Festival Puccini 2025, tras la representación de Tosca.



Tosca en Torre del Lago

Foto: Giogio Andreuccetti

Athos Tromboni

Tarde calurosa y bochornosa la de la inauguración del Festival Puccini 2025 con Tosca. La afluencia de público, desde las 6 de la tarde, ya presagiaba que el "todo vendido" comunicado por la taquilla marcaria un récord. En los próximos días veremos si fue así. Tosca es un título muy querido por los melómanos y para estimular el favor de quienes aman a Puccini hubieron más elementos: en primer lugar, la dirección escénica, que estuvo a cargo de Alfonso Signorini y su declaración de querer atenerse a una puesta en escena tradicional; luego, el elenco que contaba con voces de primer nivel del panorama lírico internacional como Aleksandra Kurzak para el papel epónimo, Roberto Alagna como Cavaradossi y Luca Salsi como Scarpia; por último, pero no menos importante, la batuta estuvo a cargo de Giorgio Croci, desconocido para la mayoría, por lo que se esperaba para el una prueba de fuego (o de agua, dado que el gran teatro al aire libre se adentra en el Lago de Massaciuccoli...) para un título que, además de ser muy querido, también es interpretativamente conocido por cómo lo han dirigido y grabado los más grandes directores del siglo XX como los de esta parte del tercer milenio.  Así que partiendo desde la puesta escénica: más que tradicional, se podría decir que la puesta en escena de Tosca de este año fue respetuosa de la tradición con alguna hipérbole creativa ideada por Signorini, que también se ocupó de los trajes y vestuarios (hermosos, ¡muy hermosos!). La escenografía fue esencial, con un fondo oscuro, negro y oro, que llevaba la inscripción "Homo praevaricationem morte". El fondo compacto e imponente del primer acto se dividía luego en tres partes para el segundo acto resaltando así la palabra "praevaricationem", mientras que en el tercer acto destacaba la palabra "morte". Uno y trino, sobre todo en sus significados, que fueron también evocadores. La hipérbole más temeraria de la dirección escénica se vio durante el Te Deum que cierra el primer acto: el frente compacto se descomponía, la parte central giraba sobre sí misma y en lugar de la inscripción "praevaricationem" apareció un gran ostensorio al que el cardenal celebrante (vestido con túnica, capa, habito y mitra) le aplicó una hostia luminosa; después de lo cual el ostensorio se elevó más y más. Descripción perfecta del fetichismo que adorna gran parte de la liturgia actual, sobre todo la que es más rica en ostentación. Este es un momento tópico del realismo en el que se inspiró la dirección; otro momento tópico, el del fusilamiento de Cavaradossi, en el tercer acto, mostró la arrogancia y la mala fe de Scarpia cuando promete un "fusilamiento simulado, como para el Conde Palmieri" luego todo se convierte en la simulación de una simulación, de la cual se dio el imprescindible fusilamiento real de Cavaradossi ordenado a Spoletta. Ciertamente, la ostensión subida al cielo de la hostia luminosa fue un golpe de teatro que desencadenó el aplauso del público, pero - por controvertido – también se condimentó con frases ocultas y pronunciamientos susurrados, al calor del momento, de una cierta crítica militante sobre la "pobreza" y el efecto de tal ocurrencia. La ostensión y el fusilamiento fueron narrados así por Signorini y se convirtieron en los momentos simbólicos de toda la obra. ¿Las reacciones de cierta crítica militante? Estamos en lo de siempre, Tosca en minifalda ya no escandaliza, de hecho, nunca más con dos negaciones, una como graznó el cuervo de Edgar Allan Poe, mientras que el recurso simbólico y fáctico al fetichismo de nuestra religión, identificado por la necesaria brevedad y rapidez escénica y pocos minutos de efecto fuera del libreto de Illica y Giacosa pero dentro de la realidad, se convirtió - para alguien más conocedor- en una 'pobreza'. Otra hipérbole: Scarpia, en el segundo acto, se muestra ante Tosca de manera cortes e irónica, pero luego intenta violarla, antes de que ella se entregue a los deseos del "prevaricador", en un intento por salvar de la horca al amado Cavaradossi; la agresión del barón Scarpia hacia la mujer no es solo verbal, sino también física, con sus manos intentó levantar casi hasta las bragas el elegante vestido de Tosca, en una lucha furibunda en el sofá para someterla al coito, bofetadas y desgarros de Tosca como una persona que no se humilla sino que lucha contra el agresor. Scarpia no lograría violarla, aunque lo intentó. Otra hipérbole de la dirección: Cavaradossi no fue ocultado fuera de la escena, sino detrás de la puerta cerrada, durante la tortura; esto ocurre en el escenario: haciendo que  Cavaradossi fuera torturado a la vista.  Pero, en el fondo, lo que  he definido como "hipérbole" no son más que representaciones escénicas de un realismo cotidiano, sucesos de la vida y la muerte testimoniados por la historia y la crónica. Entonces, ¿por qué fruncir la nariz, considerando que precisamente Tosca es la única obra (quizás) verista del señor Giacomo? ¿Desdémona no es estrangulada en escena por Otelo? ¿Carmen no es apuñalada por Don José? y ¿Marie no es acuchillada por Wozzeck? ¿Y la "representación" no puede inspirarse en la realidad, yendo más allá del atributo escolar y catalogador de la obra verista? A la luz de estos razonamientos y de las correspondientes preguntas formuladas anteriormente, "hipérbole" probablemente no es la palabra adecuada, porque induciría a pensar en una elección dramática exagerada, mientras que la representación simplemente se inspiró  en la realidad, y sobre todo en el ambiente de su propio tiempo histórico y (quizás) de todos los tiempos cuando el poder se convierte en abuso. Por esto, la dirección escénica me pareció  muy pertinente con respecto a los personajes y a la historia narrada; como también muy hábil para organizar el movimiento de las masas y de los individuos en escena, apuntando al relato en lugar de a las elucubraciones intelectualistas plagadas de pocos "pros" y muchos "contras." El buen trabajo de Signorini se benefició de la funcional escenografía de Juan Guillermo Nova y de las excelentes luces de Valerio Alfieri. Al final de la función, todos los artistas fueron aplaudidos durante mucho tiempo, aunque el aplauso más cálido fue para Luca Salsi, primus inter pares. Salsi fue decisivamente el mejor, tanto en canto como en actuación, en gesto escénico y en habilidades miméticas: su Barón Scarpia fue realmente un sinvergüenza, demostrado cuán asqueroso es el ejercicio del poder cuando los desfachatados en la alto de los puestos de mando prevalecen sabiendo que son impunes en sus acciones como también en sus manifiestas perversiones. Sobre el canto de Salsi no dudo en decir que nos encontramos ante una de las voces de barítono más bellas de los últimos dos o tres lustros. Pero no solo eso: canta y actúa sin mirar nunca la batuta del director, actuando frente y alrededor de todos los demás que giran a su alrededor, de tal manera que el papel entra verdaderamente en la veracidad dramática del momento y del personaje. De verdad ¡Excelente! También se hizo valer Aleksandra Kurzak como Tosca: excelente actriz, digna acompañante de Salsi en cuanto a gesto escénico y mímica. La disminuyó su acentuación no tan perfecta del italiano, en palabras más declamadas o emitidas con voz natural, pero en el canto, en el fraseo y en la desplegada melodía es una verdadera bordadora tanto por la entonación como en los fiati.  Menos entusiasmo me suscitó Roberto Alagna: seguimos ante un buen tenor que conoce su oficio, pero la impresión cuando canta es que no logra meterse bajo la piel del público, es decir, no logró hacerlo vibrar con las pulsaciones de las emociones y del sentimiento. Cantó sin actuar, eso sí, atento a las notas y a los agudos, y - siempre - a la batuta del director, por lo que, si Tosca estaba detrás de él o a su lado, él miraba hacia la platea, más bien al director, y dirigiéndose a él de una manera extraña, hacía que se desvaneciera el pathos de su interpretación y, por lo tanto, la transferencia de las emociones del personaje al espectador. En el resto del reparto, estuvieron todos bien y capacitados: Luciano Leoni fue César Angelotti, Claudio Ottio fue el Sacristán, Francesco Napoleoni personificó a Spoletta, Paolo Pecchioli a Sciarrone, Omar Cepparolli al Carcelero y Francesca Presepi el Pastorcillo. Un bravo para el coro del Festival Puccini dirigido por Marco Faelli y muy bien estuvo el coro de voces infantiles dirigido por Viviana Apicella.  La orquesta estuvo bien dirigida por Giorgio Croci, quien adoptó ritmos cómodos, nunca apretados, pero su concertación estuvo llena de colores y las breves pausas adoptadas (ciertamente de manera consciente, y no arbitraria) en los momentos de mayor tensión musical y dramática delinearon su muy personal lectura de la partitura, sin duda interiorizada. No hay nada que objetar, Puccini no fue desfigurado ni por la dirección, ni por la concertación. De hecho... el público que pagó su estrada demostró estar contento con esta nueva producción de Tosca. Incluso diría yo ¡Muy contento!




Wednesday, July 23, 2025

Ozzy Osbourne, legendry singer of the British ‘heavy metal, dies at 76

Photo: Ozzy Osbourne AP

The iconic Black Sabbath leader dies less than three weeks after his last farewell concert. Ozzy Osbourne, one of the most influential and controversial figures in rock history, died on Tuesday at 76 years of age. The artist born as John Michael Osbourne in Aston, Birmingham (3 December 1948 – 22 July 2025) ends a trajectory marked by musical innovation, scandal, addictions and an unexpected longevity that led him to the stage to television with the reality show The Osbournes. His death occurs less than three weeks after his retirement concert, Back to the beginning held on July 5 in Birmingham, England. He founded the heavy metal band Black Sabbath with Tony Iommi, Geezer Butler and Bill Ward.  Black Sabbath revolutionized British music with its homonymous debut in 1970 and fundamental works such as Paranoid and Master of reality. Iron Man and War Pigs They became hymns of the metal. After being expelled from Black Sabbath in 1979 for his growing dependence on drugs and alcohol, Osbourne undertook a solo career that began with Blizzard of Ozz album that reached five platinum albums in the United States. Throughout his solo career he released 11 studio albums, including Ordinary man (2020), Diary of a Madman (1981), Bark at the Moon (1983) No more tears (1991), Ozzmosis (1995).  He earned the nickname "Prince of Darkness". He reunited with Black Sabbath in 2013, when the band released its final studio album, “13. Black Sabbath offered his last concert in February 2017 in Birmingham. The album 13 (2013), with the return of Osbourne, reached number one in the United Kingdom and the United States. Osbourne was inducted into the Rock & Roll Hall of Fame with Black Sabbath in 2006 and as a solo artist in 2024. The influence of the band – and of Osbourne as a central figure – remains fundamental for heavy metal as Osbourne is considered an icon of hard rock music, and one of the founders of heavy metal music through his work with Black Sabbath. 

Muere el cantante de heavy metal Ozzy Osbourne, a los 76 años

Foto: Foto AP/Ashley Landis, archivo

Ozzy Osbourne, cantante de heavy metal y vocalista de la banda Black Sabbath, murió el martes 22 de julio del 2025, solo semanas después de su concierto de despedida. Tenía 76 años. En 2020, reveló que tenía la enfermedad de Parkinson después de sufrir una caída. Ya sea vestido de negro o con el torso desnudo, el cantante a menudo era blanco de críticas de grupos de padres por su imagen y una vez causó un escándalo al morder la cabeza de un murciélago. Más tarde, se haría la serie de television “The Osbournes”. El álbum debut homónimo de Black Sabbath de 1969 ha sido comparado con el Big Bang del heavy metal. El segundo álbum de la banda, “Paranoid”, incluyó clásicos del metal como “War Pigs”, “Iron Man” y “Fairies Wear Boots”. La canción “Paranoid” solo alcanzó el número 61 en la lista Hot 100 de Billboard, pero se convirtió en muchos aspectos en la canción emblemática de la banda. Ambos álbumes fueron votados entre los diez mejores de heavy metal de todos los tiempos por los lectores de la revista Rolling Stone. Sabbath despidió a Osbourne en 1979 por sus legendarios excesos, como llegar tarde a los ensayos y faltar a los conciertos.  Osbourne resurgió al año siguiente como artista en solitario con “Blizzard of Ozz” y el siguiente año con “Diary of a Madman”, ambos clásicos del hard rock que fueron multiplatino y generaron favoritos perdurables como “Crazy Train”, “Goodbye to Romance”, “Flying High Again” y “You Can’t Kill Rock and Roll”. Osbourne fue dos veces incorporado en el Salón de la Fama del Rock & Roll, una vez con Sabbath en 2006 y nuevamente en 2024 como artista en solitario. La formación original de Sabbath se reunió por primera vez en 20 años en julio de 2025 en el Reino Unido. Metallica, Guns N Roses, Slayer, Tool, Pantera, Gojira, Alice in Chains, Lamb of God, Halestorm, Anthrax, Rival Sons y Mastodon hicieron presentaciones. Tom Morello, Steven Tyler de Aerosmith, Billy Corgan, Ronnie Wood, Travis Barker, Sammy Hagar, Andrew Watt, Yungblud, Jonathan Davis de Korn, Nuno Bettencourt, Chad Smith y Vernon Reid hicieron apariciones. Osbourne encarnó los excesos del metal. Sus extravagantes hazañas incluyeron orinar en el Álamo, inhalar una línea de hormigas de una acera y, más memorablemente, morder la cabeza de un murciélago vivo que un fan arrojó al escenario durante un concierto en 1981. (Dijo que pensó que era de goma). El aspecto de Osbourne cambió poco a lo largo de su vida. Llevaba su largo cabello liso, un pesado maquillaje negro en los ojos y gafas redondas, a menudo con una cruz alrededor del cuello. 

Tosca en Trieste

Foto: Fabio Parenzan / Teatro Verdi Trieste

Rossana Poletti

El Castillo de San Giusto. no es la Arena de Verona ni mucho menos el Castillo de Sant'Ángel, pero las gradas de San Giusto, las piedras antiguas que rodean la gran plaza de las Milicias suscitan en la Tosca de Giacomo Puccini, en escena en Trieste, el sentido de inminencia del peligro, de la muerte que la música del gran compositor regala al público, que acudió numeroso en una noche abrasada por el gran calor y por la ausencia de un mínimo soplo de viento. Las escenografías estuvieron necesariamente contenidas en el gran escenario construido en la esquina más despojada de la gran plaza, edificada en el siglo XVI para la defensa militar de la ciudad. En el fondo, dos telas aparecen entre el primer y el segundo acto: la Madonna que Cavaradossi está pintando y luego un detalle de los frescos presentes en el Palacio Farnese. La dirección escénica de Stefania Panighini, lleva el arte de los Carracci a San Giusto como clave para interpretar la poderosa feminidad de la protagonista. El director imagina el lienzo y las figuras frente a él imitando a los protagonistas, luego en el primer acto las mujeres se muestran como en la pintura a los pies de la Virgen María, en particular el parecido de la marquesa Attavanti, que producirá en Floria Tosca los celos desenfrenados, y que es la base de la ruina de los dos amantes.  En el segundo acto, la noticia de la victoria de Napoleón en Marengo está representada por la imagen gloriosa y las figuras se visten como los antiguos romanos. A decir verdad, en la escena del "duelo" verbal y físico entre Tosca y Scarpia, estas coreografías parecen superfluas, incluso negativas. El paño negro del tercer acto recuerda las telas moradas en las iglesias durante la cuaresma. La orquesta del Teatro Verdi, situada debajo del escenario y dirigida por Enrico Calesso, subrayó  con maestría los momentos casi silentes y realzó  con el correcto énfasis los pasajes tumultuosos de la ópera, las inquietudes y las pasiones. Los celos, la maldad, el amor perseguido le interesaban evidentemente a Puccini más que el gran fresco histórico de la novela de Victorien Sardou de 1887 (de la cual Giuseppe Giacosa y Luigi Illica tomaron el libreto), que estaba empapada de crímenes y de sangre, con abundantes detalles del marco histórico realista y repleto de personajes secundarios. Tosca debutó el 14 de enero de 1900 en el Teatro Costanzi de Roma, recibiendo críticas no muy positivas, pero en poco tiempo entró en el repertorio de todos los teatros líricos del mundo. Los protagonistas dejaron al público satisfecho: Tosca, fue interpretada por Elena Pankratova, quien se destacó por la buena identificación con el papel y por sus capacidades vocales, mostrando volumen y un notable temperamento, sobre todo en la escena en la que asesina a Scarpia. En “Vissi d’arte” se mostró enamorada y sufriente por su funesta suerte y no decepcionó en las expectativas. El Mario Cavaradossi de Fabio Sartori fue fuerte, potente y vigoroso, también en la figura lo es. Esperado el final en la famosa romanza “E lucevan le stelle”, desgarrador grito de dolor por la vida que se va agotando trágicamente, Sartori se expresó con sincera emotividad, de la que quizás careció un poco en el primer acto. El sádico Barón Scarpia es el personaje que encarna el mal absoluto, la hipocresía y la falsedad más brutales, usa el poder solo y exclusivamente para su propio beneficio; verlo autoflagelarse en escena, para ahuyentar los demonios de su maldad, dejó cierta perplejidad. La voz de Ambrogio Maestri, que lo interpretó, sigue siendo potente, y superó  con facilidad el estruendo de la orquesta, aunque quizás le faltó resaltar  un poco la perversidad de Scarpia en ese segundo acto, centrado en la evolución del drama que más tarde se representaría: el asesinato de Cavaradossi y el suicidio de Tosca. El reparto lo completaron el joven bajo-barítono William Corrò, que interpretó al fugitivo Angelotti, el convincente bajo Abramo Rosalen (el sacristán), el tenor Andrea Schifaudo (Spoletta), el bajo Francesco Auriemma (Sciarrone), Damiano Locatelli (el carcelero) y Sophie Emilie Bernstein (el pastor). En el primer acto el coro del Teatro Verdi, dirigido por Paolo Longo, y el coro infantil: Piccoli Cantori della Città di Trieste dirigidos por Cristina Semeraro llenaron el escenario y fueron los fieles que poblaron la iglesia cantando el "Te Deum" para celebrar la derrota de Napoleón, mientras Scarpia ya imagina con feroz alegría el ahorcamiento de Cavaradossi y soñaba tener entre sus brazos a Tosca, Los decorados fueron de Nicolò Cristiano, el vestuario de Chiara Barichello, las luces de Emanuele Agliati, los efectos sonoros de Luca Bimbi. Al final, hubo un éxito descontado por la participación y cálida aprobación público.



Tuesday, July 22, 2025

Intervista Simone Locarni - Stresa Festival 2025

Foto: Simone Locarni / Stresa Festival  

Renzo Bellardone

Maestro Locarni buongiorno, come sta? Mi permette alcune domande sul suo coinvolgimento allo Stresa Festival, con il Trittico da lei pensato e che culmina con “Suite for a Lake”? Se ho ben inteso dalla presentazione che ha fatto diciamo che il lago, l’acqua hanno sensibilmente influenzato la sua vena artistica.

Buongiorno Renzo, felice di risentirci! Sì senz’altro, il lago e l’acqua sono parte integranti della mia vita ancor prima che della mia musica, sono nato e cresciuto a Mergozzo a pochi passi dal lago omonimo e per me è sempre stato uno specchio, uno spazio che non significa soltanto estate o vacanze ma uno spazio vero, concreto, che è parte della vita di tutti i giorni per tutto l’anno. Per me è stato quindi naturale pensare questa mia collaborazione con Stresa Festival in forte connessione con il lago, inteso sia come tematica che come spazio, tant’è che due dei tre concerti che mi vedranno impegnato si svolgeranno proprio sull’Isola Bella e non sulla terraferma.

Il lago che ospita questo Festival importante, intendo che lo vive come ponte di comunicazione, dialogo, incontro e scambio…

Per me il lago è sempre stato uno spazio di frontiera e non di confine, una sorta di elemento “terzo” che è lì per unire e non per dividere: proprio per questo in Suite for a Lake ho voluto dare una visione totalizzante del lago, in cui trova spazio non soltanto la sponda piemontese ma anche quella lombarda e persino le montagne, spesso viste come opposte al lago e che io ho sempre visto invece come fortemente complementari. I concerti sull’isola con Girotto e Galliano vogliono per l’appunto sottolineare i concetti di incontro e di scambio, in entrambi i casi uno scambio tra culture, età e influenze diverse ma che insieme possono dare vita a qualcosa di davvero affascinante e inedito.

Dal Conservatorio G. Verdi di Milano con ‘pianoforte classico’ al jazz: è stato amore a prima vista o le emozioni hanno gradualmente creato l’innamoramento?

Il percorso classico e quello jazz per me in realtà sono sempre stati complementari dai 13 anni in avanti, quando ho iniziato parallelamente al conservatorio a studiare jazz prima con Lorenzo Erra e poi con Ramberto Ciammarughi. L’innamoramento è stato senz’altro graduale ed è stato indirizzato più verso l’improvvisazione che per una forma di jazz in particolare, nel senso che gli amori veri e propri – come quelli per Paul Bley o per Keith Jarrett – sono arrivati più con l’adolescenza, prima ricordo solo una fascinazione totale verso l’improvvisazione in sé, verso l’idea che la musica potesse manifestarsi non solo necessariamente solo dentro il pentagramma e nei libri ma anche al di fuori, in uno spazio libero.

Per chiudere in allegria e pensando ai progetti futuri, magari già in cantiere, nelle prossime composizioni ci sarà più “dolce o più salato”, oppure….

In questo momento della mia carriera mi sento decisamente in un periodo d’acqua “dolce”, ricco di sperimentazioni e di colori a me nuovi come infatti questa Suite, che attinge quasi più dal linguaggio e dalla composizione classica che da quella jazzistica. Nel futuro c’è sicuramente la volontà di portare avanti questo progetto dal vivo e chissà magari anche in studio, mentre nel futuro più prossimo è in uscita nella prossima primavera un disco in duo con il grande trombettista inglese Tom Arthurs, prodotto da Mario Caccia per Abeat Records. Per il resto, sono sempre alla ricerca di nuovi stimoli e nuova musica!

Grazie per il tempo concesso con un arrivederci allo Stresa Festival   il 23 luglio con Radici , Il 25 con Richard Galliano e il 26 con “Suite for a Lake”.

Thursday, July 10, 2025

Norma de Bellini en Milán

Foto: Brescia & Amisano

Massimo Viazzo

Fueron nueve funciones en 1952 con Gino Penno, Ebe Stignani, Nicola Rossi Lemeni bajo la conducción de Franco Ghione y la dirección escénica de Mario Frigerio, y nueve funciones más entre diciembre de 1955 (inauguración de la temporada) y enero de 1956 con Mario Del Monaco, Giulietta, Nicola Zaccaria, bajo la baqueta de Antonino Votto y la dirección escénica de Martherita Wallmann: las fechas y los elencos cuando inició  el legendario binomio María Callas-Norma en el Teatro alla Scala de Milán.  Desde entonces, solo se había presentado en el temible papel Leyla Gencer en 1965 con Bruno Prevedi, Giulietta Simionato, Nicola Zaccaria, bajo la conducción  de Gianandrea Gavazzeni, también en la producción y de Wallmann, y sobre todo Montserrat Caballé en más reposiciones entre 1972 y 1977 con colegas del calibre de Gianni Raimondi, Fiorenza Cossotto, Tatiana Troyanos e Ivo Vinco con la conducción musical compartida entre Gianandrea Gavazzeni y Francesco Molinari Pradelli, en un espectáculo curado por Mauro Bolognini. ¡Desde aquellas funciones ha transcurrido casi medio siglo antes de que la Scala volviera a programar Norma!  He incluido un poco de historia para dar a entender el motivo que ha mantenido alejado a este título fundamental del melodrama italiano en el teatro milanés, durante todos estos años, y que son los fantasmas de una época de la lírica que evidentemente hasta hoy eran poderosos. Además, el Teatro alla Scala tiene un vínculo muy estrecho con la obra maestra de Vincenzo Bellini (1801-1835), porque justo en este escenario milanés se montó por primera vez en escena en 1831, con un elenco estelar compuesto por: Giuditta Pasta, Domenico Donzelli, Giulia Grisi, Vincenzo Negrini con la conducción de Alessandro Rolla.  En definitiva, Norma ha representado desde hace años para la Scala, un título que debe ser afrontado con cautela.  Es innegable que las legendarias interpretaciones de María Callas en los años 50, como también las de Montserrat Caballé en los años 70 influyeron, se quiera o no, en las elecciones de los directores artísticos del teatro a lo largo de los años.  Además, hasta hace poco tiempo, en el loggione, del célebre loggione scaligero era posible encontrar entre el público a espectadores que personalmente habían asistido a aquellas representaciones memorables. Los llamados “vedovi Callas” (viudos de Callas) quienes ¿Habrían aceptado con agrado una nueva Norma? ¿Simplemente la habrían tolerado o la habrían desaprobado de antemano con silbidos y abucheos? Bueno, todo esto  sirve para afirmar que esta Norma era muy esperada, y era probablemente el título más anhelado de la entera temporada. Y ¿Cómo le fue el espectáculo?  Diría a doble velocidad: que convincente en la parte musical, en cambio, un poco más problemática en la parte escénica. Olivier Py sitúo el espectáculo en el período previo al risorgimento italiano, que también es el periodo de composición de la ópera, y buscó relaciones e interconexiones con el personaje ancestral y afín de Medea, que no por casualidad es otro papel-ícono ligado al nombre de Maria Callas; pero a diferencia de Medea, que asesina a sus propios hijos, Norma los perdona, entrando ella misma, junto a Pollione, a la hoguera. En la transposición temporal prevista por el director de escena francés, los galos del libreto eran los propios italianos (los milaneses para precisar) mientras que los opresores romanos, se convirtieron en los austriacos. “Se puede imaginar”– explicaba Py en las notas del programa de mano – “que la situación de esta Medea (italiana), enamorada de un oficial romano (o austriaco, dependiendo de si se revela o no el juego de las transposiciones), que retrasa la revolución nacional para salvar a su amante, haya conmovido a un libretista y a un músico, ambos, en el centro de la revolución nacional italiana. Norma debe elegir entre su corazón de mujer y su corazón político, y sus dudas dan lugar a un conflicto muy musical. No puede matar al padre de sus hijos, ni puede perdonarle la infidelidad y el cinismo con el que la ha inducido a traicionar su causa revolucionaria, y no puede quitarle la vida a sus hijos, porque es profundamente moral, y no le queda otra opción que sacrificarse por la revolución” En esta producción, Norma, artista de mediados del siglo XIX, se prepara para interpretar el papel de Medea, pero, sacrificándose en nombre de la revolución, trastocando el final de la tragedia de Eurípides y la ópera homónima de Cherubini, viviendo en primera persona, la catástrofe final, pasándole el testimonio a aquella especie de su alter ego que es Adalgisa. Cabe destacar la elegante y esencial escenografía, situada sobre una plataforma giratoria, curada por Pierre-André Weitz (responsable también de los apropiados vestuarios), y que evocaba precisamente a la sala del Piermarini.  Nos encontramos claramente en los territorios del metateatro, con una propuesta indudablemente inteligente e interesante, pero no siempre de fácil lectura. La Scala se convierte así en el templo de Irminsul, y las dos sacerdotisas del templo no son otra cosa que sacerdotesse dell’arte (sacerdotisas del arte). Py ha exigido quizás demasiado: cuando el espectador se ve obligado a concentrarse para comprender a fondo los eventos escénicos, ocasionando que la música corriera el riesgo de pasar a un segundo plano. Pero los diferentes niveles de lectura, que se entrelazan y se superponen, con las protagonistas-artistas que, mientras viven la historia de Norma, interpretan la de Medea con los movimientos revolucionarios italianos de mediados del siglo XIX de fondo, la hicieron ser una propuesta indudablemente estimulante. Sin embargo, los estímulos a veces parecieron excesivos, como la constante y un poco perturbadora presencia de mimos en escena, la teatralización un poco predecible de la sinfonía de la ópera y ciertos bailes convencionales (creó, deliberadamente), coreografiados por Ivo Bauchiero. La dirección de la orquesta le fue confiada a Fabio Luisi, quien eligió la edición crítica preparada por Roger Parker para Casa Ricordi. Luisi propuso una lectura de estilo neoclásico, caracterizada por atención y sensibilidad en el acompañamiento de los cantantes (que filológicamente realizaron las variaciones en los da capo). También fue notable el trabajo sobre la dinámica, dosificada con precisión de orfebre, y sobre la elección de los tiempos. Particularmente efectivo, por ejemplo, fue la ralentización  del tiempo en la sección del dúo entre Pollione y Adalgisa del primer acto (Ciel! Così parlar l’ascolto), un verdadero oasis lírico de íntima poesía. Una tensión narrativa constante caracterizó su lectura, que nunca resultó efectista o demasiado ruidosa. Norma fue interpretada por Marina Rebeka, la soprano letona que es una de las intérpretes de referencia de este papel en la actualidad. La cantante demostró dominio de la parte, facilidad para resolver las dificultades técnicas más complejas y las ascensiones en la zona aguda, aunque por momentos la realidad es que fueron demasiados sonoras.  Todo fue cantado con precisión, escrúpulo y seguridad. Una buena proyección vocal (tampoco la dicción pareció ser impecable) y total dedicación le permitieron imponer su visión de una Norma efectivamente cuidada, refinada, íntima (como ejemplo, inicio a flor de piel con Casta Diva), pero a la cual le faltó un poco ese acento dramático que ha hecho de Norma un personaje que trasciende el mero papel operístico.  Muy aplaudida estuvo Vasilisa Berzhanskaya cuya Adalgisa pareció estar centrada desde el punto vocal como desde el teatral. Berzhanskaya mostró un timbre seductor, conciencia escénica y sobre todo un estilo dramático inusual para este papel. La mezzosoprano rusa puso en evidencia un instrumento vocal expresivo, con el que fue capaz de matizar y conmover. En los memorables dúos con Norma, le hizo frente a su colega, superándola, por momentos en intensidad.  Antonio Poli, quien sustituyó de último momento al indispuesto Freddie De Tommaso, interpretó a Pollione con una voz fresca de tenor lírico, generosa y expansiva, por momentos palpitante, si bien, en otros pasajes,tuvo alguno que otro sonido ligeramente aperto. Su expresiva y bastante refinada ejecución, se mantuvo justamente alejada de transformar al personaje en el macho verista alla Turiddu, que se suele escuchar con frecuencia. Por lo demás, Poli omitió el do agudo escrito en la partitura de Bellini en la cavatina Meco all’altar di VenereMichele Pertusi ofreció una sólida personificación de Oroveso, a pesar de que su timbre vocal resultó ser un poco delgado. Óptimo fue el desempeño de Paolo Antognetti (Flavio), un tenor técnicamente preparado, con dicción clara y agradable timbre.  Correcta y apropiada estuvo la Clotilde de Laura Lolita Perešivana, alumna de la  Accademia della Scala. Finalmente, un elogio especial va para el Coro del Teatro alla Scala, que dirige magistralmente Alberto Malazzi.



Idomeneo de Mozart en San Francisco

Foto: Cory Weaver / San Francisco Opera

Ramón Jacques 

Aunque Idomeneo, la ópera seria en tres actos de Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) tuvo su estreno estadounidense el 4 de agosto de 1947, en el festival Berkshire Music at Tanglewood en Massachusetts (hoy sede de verano de la Orquesta Sinfónica de Boston) fue en realidad la Ópera de San Francisco quien catapultó e introdujo esta obra al repertorio de los importantes escenarios de este país donde ha sido vista, por ejemplo, los teatros de: Chicago, Nueva York, Los Ángeles, Houston; y es a la compañía de San Francisco a la que se le atribuye la relación más cercana con el título, desde que fue estrenada aquí el 10 de septiembre de 1977, con la producción del director y diseñador francés Jean Pierre Ponelle -que aún sigue vigente-, y la conducción musical del maestro inglés Sir John Pritchard, oficialmente, primer director musical de la orquesta del teatro y un ferviente y devoto defensor no solo de Idomeneo, sino también  reconocido por su cualidad para conducir las óperas del compositor austriaco.  El elenco de ese estreno en la ciudad junto a la bahía (City by the Bay), contó con la presencia del tenor suizo Éric Tappy en el papel principal (quien curiosamente falleció el 11 de junio del año pasado, casi coincidiendo con esta noche de estreno), de la mezzosoprano Maria Ewing como Idamante, la soprano francesa Christiane Edda Pierre como Ilia, y la soprano Carol Neblett quien interpretó el papel de Elettra.  Posteriormente en la temporada 1989, Pritchard repuso Idomeneo, en esta ocasión con la revisión hecha por Mozart, en la que el papel de Idamante debía ser cantado por un tenor (cuyo intérprete fue el tenor alemán Hans Peter Blochwitz).  Como anécdota y curiosa casualidad a propósito de aquellas funciones, pocas horas antes de la función del 17 de octubre ocurrió el tremendo terremoto en la zona de la bahía (conocido como Loma Prieta, por su epicentro) que causó daños en diversas estructuras de la ciudad, por lo que la función tuvo que ser cancelada y días después se hizo en versión semi escénica en el teatro Masonic Auditorium de la ciudad. Inmediatamente después de la última función de  Idomeneo, y de vuelta en el War Memorial Opera House, el maestro Pritchard inesperadamente falleció; por lo que en la última producción de la temporada (Die Frau ohne Schatten) la orquesta tocó en su honor la “marcha de los sacerdotes” de propio Idomeneo.  Por último, cabría mencionar el elenco de la producción de 1999 en este teatro, en funciones que aún son muy recordadas, como lo serán en la posteridad (la compañía utilizó fragmentos grabados en esas funciones para promocionar el espectáculo) que tuvo al tenor sueco Gösta Winbergh (Idomeneo), a Vesselina Kasarova (Idamante), Barbara Bonney y Anna Netrebko alternándose como (Ilia) y  a Carol Vaness (Elettra), bajo la conducción musical de Donald Runnicles.  La trama de la ópera inicia durante una terrible tormenta en la que Idomeneo, le promete al dios Neptuno que sacrificará a la primera persona con quien se encuentre, si él y su tripulación sobreviven a las aguas tempestuosas. Al llegar a la costa, su alivio se transforma en horror al ver encontrarse con su propio hijo, Idamante. Idomeneo agoniza por la adversidad que debe enfrentar, mientras Idamante corteja a la princesa Ilia, y a la vez es perseguido por la celosa y voluble Elettra; por lo que en la trama destaca la tensión entre los personajes y su entorno, y sobre todo con las fuerzas de la naturaleza, que son cada vez insostenibles, cuanto más tiempo demora Idomeneo en cumplir su promesa.  Así, la historia y la parte escénica del espectáculo de esta sublime ópera mozarteana llena de intensidad y vividas caracterizaciones, se llevó a cabo dentro de una novedosa idea escénica de la directora australiana Lindy Hume, quien situó la historia y la escena en la era actual en Tasmania, Australia, donde reside. Las escenografías diseñadas por Michael Yeargan, que fueron estrenadas en la Ópera de Australia en Melbourne en el 2023 y repuestas en Sydney en el 2024, son sencillas y austeras, porque encuadran el escenario dentro de una enorme habitación con muros blancos, y vistosas puertas estilo dórico al fondo y a los lados, aunque los muros eran en realidad pantallas donde se proyectaron imágenes visuales de las turbias aguas del mar,  la fauna, la vegetación y las rocosas costas, litorales y playas de esa isla australiana, así como intensas y estrelladas noches; y brillantes y sofocantes tonalidades azules y rojas, que acrecentaban las tensiones dramáticas de la historia, representando la furia de la naturaleza, creando además escenas de sosiego y quietud, en un buen trabajo realizado y curado por David Bergman y por la directora de fotografía Catherine Pettman fundadora de la compañía cinematográfica australiana Sheoak Films. La iluminación que aquí fue fundamental fue ideada por Verity Hampson, y correctos estuvieron los modernos vestuarios de Anna Cordingley, que tuvieron algunos inspirados en honor de los Pelawa Pakana, que fueron los primeros pobladores y custodios  de Lutruwita Tasmania (donde se realizaron las grabaciones vista aquí) con detalles como el plumaje en los hombros del abrigo negro que utiliza Idomeneo, y que al final le coloca en Idamante, como signo de majestad y grandiosidad, y en los oscuros vestuarios de los coristas, que en la escena final sostienen ramas de eucalipto. El trabajo de Hume fue interesante, y con conmovedora elocuencia excavó profundamente hasta llegar al alma de cada personaje a través de sus penas y alegrías, donde la constante era la música casi celestial de la brillante partitura de Mozart.  La única desventaja escénica, que empaño un poco el trabajo de Hume, fue la incesante y continua proyección de imágenes que, llegó a convertirse en una distracción y en una contrariedad para la visión y la concentración del espectador.  Además, la escena se cargó innecesariamente con la inexplicable adición de sillas que durante parte de la función las reacomodaban los coristas a los lados de la escena o en el centro, como en auditorio, sobre un escenario que giraba contantemente en manera circular.  Detalles, aparentemente innecesarios, y que iban en sentido opuesto a la historia, a la que no servían mucho, ni al cuidadoso trabajo de la directora de escena. El elenco vocal, con buenos cantantes, tuvo ciertos altibajo e irregulares cometidos, comenzando con el tenor Matthew Polenzani, quien demostró indudable presencia y dominio del personaje de Idomeneo, papel que ha interpretado en incontables ocasiones en importantes escenarios, y para el cual posee la voz y la densidad necesaria, sin embargo, a lo largo de la función se fue evidenciando cierta perdida en la elasticidad y el color, especialmente en el registro agudo, que su importante aria Fuor del Mar -en su versión más extensa y sin cortes- se escuchó estrangulada y poco refinada. Polenzani es un cantante notable, pero parecería estar frente a un papel que podría estar ya fuera de sus posibilidades.  La mezzosoprano Daniela Mack, a pesar de una indisposición anunciada por el teatro, sacó adelante el papel con intensidad, elasticidad y agradables colores en su oscuro instrumento, en lo único que se vio penalizado su desempeño fue en la proyección de su voz.  El tenor Alek Shrader personificó a un creíble Arbace, con apariencia de filosofo más que de confidente, con un timbre claro, elegante a pesar de que la emisión de sus notas agudas no fue muy pulida o pulcra, especialmente en su aria Se il tuo duol, normalmente eliminada, pero incluida en esta versión.  En su debut local, la soprano china Ying Fang, estuvo asombrosa actuando y cantando al personaje de Ilia.  Conmovedora, apasionante y enternecedora en escena, dándole el carácter amoroso y delicado con el que se asocia el papel.  Vocalmente estuvo notable por la dulzura y la musicalidad que imprimió a su canto, con su ligera pero sutil y distinguida coloración en su timbre, como por dicción y expresión. Intensa, penetrante, perspicaz, pero convincente estuvo la Elettra que caracterizó la soprano Elza van der Heever, quien infundió a su canto el dramatismo, la emoción y la fuerza necesarias, con su voz uniforme, lustrosa y dotada de belleza.  El elenco fue completado con las intervenciones de cantantes pertenecientes al estudio del teatro, como el bajo barítono Jongwon Han, imponente como la voz del oráculo, las sopranos Georgiana Adams y Mary Hoskins como las mujeres cretenses; el tenor lirico Samuel White como el Sumo sacerdote y de Neptuno y un troyano, y el barítono Olivier Zerouali como otro troyano.  Muy activo y participativo estuvo en escena el coro del teatro, dirigido por el maestro John Keene, demostrando ser una agrupación homogénea, profesional y competente en sus relevantes intervenciones en esta obra. Por su parte la orquesta sonó bien bajo la conducción de su titular la maestra Eun Sun Kim quien logró encontrar cohesión con los instrumentistas, para resaltar la musicalidad característicamente mozarteana, con pausa, seguridad, libertad y ligereza; y radiante se escuchó  el clavecín del continuo.  A pesar de que se eliminaron prácticamente todos los recitativos y la música de ballet, la maratónica función superó las tres horas y media de duración; aun así, el público presente premio el espectáculo y a sus actores con entusiasmo. Después de una pausa, la San Francisco Opera retomará sus actividades en septiembre, con una nueva temporada en la que destaca la reposición, a 25 años de su estreno mundial en este escenario, de la ópera Dead Man Walking de Jake Heggie y Terrence McNally, Parsifal de Wagner, y el estreno mundial de la ópera The Monkey King, del compositor chino Huang Ruo.