Wednesday, September 30, 2015

Beyond the aria - Toronto, Canada


Foto: Trevor Haldenby

Giuliana Dal Piaz

"Beyond the aria", si intitola il concerto, offerto ieri dalla compagnia musicale Soundstreams nella Koerner Hall del Telus Centre di Toronto, diretto dall'entusiasta e bravissimo Leslie Dala.  Il programma ha compreso, nella prima parte, brani tratti dalle composizioni di George Crumb (nato negli USA nel 1929) American SongbookVoices from the Morning of the Earth e Unto de Hills, così come la prima presentazione mondiale di Romance de la luna, luna, di Analía Llugdar (musicista canadese di origine argentina) su un testo di García Lorca, e l'arrangiamento di tre canzoni dei Beatles da parte di Luciano Berio.  La seconda parte del concerto è stata interamente dedicata alla composizione di Crumb del 1970 Ancient Voices of Children. Ormai considerata un classico della musica contemporanea, questa si ispira a una serie di poesie di Lorca (El niño mudoGacela de la huídaDe dónde vienes amor, mi niño? tratto dal testo teatraleYermaGacela del niño muertoBalada de la placeta) di cui recepisce in pieno il ritmo e la musicalità, così come il senso profondo di quel "niño", quel bambino, misterioso solitario o triste o morente, che ricorre di frequente nella poesia del poeta andaluso.

Da trentatré anni, la compagnia Soundstreams presenta opere di autori viventi, sia canadesi che internazionali, dedicando particolare attenzione alla sperimentazione e all'innovazione musicali. Ecco quindi che parlare di Beyond the aria ("molto più che arie"), porta immediatamente il pubblico a riflettere sul ruolo della voce nella musica contemporanea.  Due rinomate, ed entrambe eccellenti, cantanti liriche canadesi (il soprano Adrianne Pieczonka e il mezzosoprano Kristina Szabó) sono in scena insieme nei brani iniziali - in cui George Crumb si ispira a canzoni tradizionali, ninne nanne dei Monti Appalachi, e ripropone il gospel When the Saints Go Marching in -, alternandosi nei ruoli di voce conduttrice e di voce di contrappunto. Impressionante l'esecuzione musicale dei quattro bravissimi percussionisti, che accompagnano e dominano il suono del pianoforte.    

Il brano di Analía Lludgar, ispirato dall'omonimo poema di Federico García Lorca interpretato da Kristina Szabó, delude un poco sia dal punto di vista musicale (l'autrice dichiara di essersi specificamente ispirata ai ritmi del flamenco ma il risultato, vagamente jazzistico, manca di coerenza stilistica) che dal punto di vista tecnico: se ne ricava un senso di dispersione mentre qualche difetto di fonica, soprattutto nella calibratura del microfono del mezzosoprano, fa sì che la voce sia a tratti sopraffatta dal suono degli strumenti. Eccellenti tuttavia i 6 membri dell'ensemble (piano, oboe, arpa e 3 percussioni). L'arrangiamento di Berio delle canzoni dei Beatles (YesterdayMichelle e Ticket to ride) non è entusiasmante: da una parte, non c'è più l'estrema musicalità dell'originale; dall'altra, non vi si percepisce affatto la straordinaria levatura delle composizioni di Luciano Berio. Notevole tuttavia l'esecuzione dell'ensemble, in questo caso composto da tastiera, viola, violino, violoncello, contrabbasso e flauto.
   
Bellissima ed estremamente suggestiva, invece, con un'esecuzione di primissimo ordine sia nelle voci di Adrianne Pieczonka e del giovanissimo "boy soprano"Andrew Lowe, che da parte degli otto membri dell'ensemble, la composizione Ancient Voices of Children: il soprano interpretava il brano per la seconda volta nella sua carriera, dopo decenni dalla prima esecuzione dinanzi allo stesso Crumb. La sua voce ha trasmesso in modo egregio tutte le sfumature e le emozioni dei versi di García Lorca, mentre la strumentazione di pianoforte, oboe, arpa, mandolino, sega musicale e tre percussioni, ha regalato al pubblico non solo e non tanto echi del ritmo flamenco ma anche della musica e della poetica araba che aveva sicuramente ispirato il poeta andaluso.      

Monday, September 28, 2015

« Lieder und Bagatellen » - Werner Güra and Christoph Berner and a singing ringing Beethoven

Suzanne Daumann

As the entire musical world is looking in the direction of Puccini and the new CD of a Munich tenor, another tenor hailing from the same city has quietly released a little gem dedicated to Beethoven. With its intelligent construction that underlines the different periods of the composer’s work, and leaving its fair share also to the solo piano, this CD is a real entity of its own. It begins and ends with two different versions of the same text “An die Hoffnung” by Christoph August Tiedge, the first one is from 1804 or 1805, the second one from 1815. Around “An die ferne Geliebte”, and “Adelaide”, these mainstays of Beethoven’s lied production, the artists present a dramaturgical approach that goes from youthful optimism through all kinds of emotions of love through the joys of melancholy and resignation to hope without hope, a little light in the night of despair. Werner Güra, with his warm and sweet voice, and its timbre that sounds so natural that it’s easy to forget his perfect mastership of technique, as usual enters into the very core of every lied, making it his own. Thus, we hear every piece as if it were for the first time. Be it “An die Hoffnung”, op 32, or “Lied aus der Ferne”, full of youthful optimism, the jubilating “Adelaide” and the tender “Zärtliche Liebe” – that has all the hallmarks of an earworm – or “Der Kuss”, which is a bit on the light or even ironic side, each lied is an event in its own right. In between, Christoph Berner plays the Bagatelles op. 126, in a different order, thus underlining certain songs, n° 1 becoming a postlude to “Zärtliche Liebe” and introduces at the same time “An die ferne Geliebte.” The two artists have chosen the instrument for their composer with their usual care. Christoph Berner plays a pianoforte from 1847 whose sound goes wonderfully with the works. Played with sobriety and joy, the Bagatelles give an extra dimension to this recording. It’s a perfect circle: the last ”Oh Hoffnung… “, incredibly touching and calling to mind another lied about hope by Hugo Wolf, but also an episode in Thomas Mann’s “Dr Faustus”, entices back to the first composition of the same text, and, since we are here, the whole CD. And there’s no getting tired of it.  

« Lieder und Bagatellen » - Werner Güra et Christoph Berner font briller Beethoven

Suzanne Daumann

Alors que le monde musical lorgne du côté de Puccini, et du nouveau CD d’un munichois, un autre fils de cette même bonne ville, le ténor Werner Güra, a tranquillement sorti un petit bijou dédié à Beethoven. Intelligemment construit, mettant en relief les différentes époques de l’œuvre du compositeur, et laissant la parole aussi au piano solo, ce CD forme une vraie entité. Cela commence et finit par deux versions d’un même texte, « An die Hoffnung » par Christoph August Tiedge, dont la première date de 1804 ou 1805, et la seconde de 1815.  Passant  par les incontournables du lied beethovenien, « An die ferne Geliebte » et « Adelaide », ainsi que quelques bijoux moins connus, les artistes présentent une dramaturgie qui va de l’espoir juvénile et optimiste par tous les sentiments amoureux et les joies de la mélancolie et la résignation jusqu’à l’espoir malgré soi, comme une petite lumière dans la nuit du désespoir. Werner Güra, avec sa voix chaleureuse et dorée, au timbre tellement naturel qu’on en oublie presque sa parfaite maîtrise de la technique, fait comme toujours sien chaque texte et sa composition. Ainsi nous entendons chaque lied comme pour la première fois. Que ce soit « An die Hoffnung », op 32, ou « Lied aus der Ferne » avec leur optimisme juvénile, le jubilant « Adelaide » et le très tendre « Zärtliche Liebe » - un vrai tube, celui-ci – ou encore « Der Kuss », un peu plus léger voire ironique, chaque morceau est un événement à lui seul. Entre les lieder, Christoph Berner interprète les Bagatelles op. 126, dans le désordre, dans un nouvel ordre en fait, qui lui permet de souligner certains lieder, le n° 1 devient ainsi un postlude à « Zärtliche Liebe » et introduit en même temps « An die ferne Geliebte ». Avec leur soin habituel, les deux artistes ont choisi l’instrument qui convient à leur compositeur : Christoph Berner joue sur un forte-piano de 1847 dont le son correspond à merveille. Jouées avec sobriété, les Bagatelles donnent une dimension supplémentaire à cet enregistrement. Une affaire rondement menée : le dernier « Oh Hoffnung… », infiniment touchant, rappelant de loin un autre lied sur le thème de l’espoir par Hugo Wolf, mais aussi un épisode chez Thomas Mann, donne envie de réentendre la première composition du même texte, et, tant qu’à faire, le CD entier. Si bien qu’on ne s’en lasse pas.  

L'Europa d Beethoven - MITO 2015, Torino

Renzo Bellardone

L’EUROPA di BEETHOVEN – MITO 2015  Teatro Carignano Torino 21 settembre. Canti Popolari ‘delle varie Nazioni d’Europa’ –il primo Progetto Multiculturale. Gemma Bertagnolli – soprano. Open Trios : Giovanni Bietti-pianoforte, Pasquale Laino-sax, Luca Caponi-percussioni. Introduce e presenta Giovanni Bietti.

‘Introduce e presenta Giovanni Bietti’: così  recita il programma di sala, ma in verità Bietti  sostiene una vera e propria lezione di musica, insomma una lezione concerto! Bietti si rivela un affabile narratore che con semplicità e cordialità mette a disposizione del pubblico le sue ampie conoscenze musicali, trasformando la platea di un caldo pomeriggio settembrino in un salotto buono e famigliare. Lo stesso Bietti al pianoforte, interpreta con la medesima discrezione che ha connotato tutto il concerto; Pasquale Laino trae dal suo sax una voce soffusa e poetica e anche le percussioni di Luca Caponi sanno rivelare un volto di dolcezza tintinnante, in particolare  al suono del Glockenspiel. Il programma presenta una serie di canti popolari delle varie nazioni europee rivisitate da un visionario Beethoven che con queste partiture poco frequentate ha anticipato di almeno 100 anni la scrittura musicale: si è trattato di un viaggio in Europa con tappe nella zona slava, al nord, nell’ispanica terra ed a Venezia, con l’ascolto di brani straordinari ed alcuni  paiono composti nell’America anni ’20; le voci della campagna ed i ritmi di ballate si intrecciano in un naturale affresco musicale dalle tinte calde o brillanti dell’avvicendarsi delle stagioni. Il soprano Gemma Bertagnolli si  caratterizza per versatilità e luminosità con la sua voce limpida e ricca di riflessi luminescenti e caleidoscopici; dalla sua interpretazione traspare la solida cultura e la costante dedizione alla ricerca; la salda tecnica in connubio con il dono naturale compiono un miracolo di lucentezza. Abituale interprete di musica antica e barocca spazia agevolmente tra incursioni e contaminazioni dei vari generi musicali, arricchendo l’interpretazione anche attraverso questi. Al Carignano di Torino ha eseguito appunto un Beethoven insolito con la consueta grinta e la consueta reverente umiltà che sempre riserva ai  compositori e che la connota ed avvalora la sua persona e la sua vita artistica. La Musica vince sempre.

Sunday, September 27, 2015

Recital de Natalie Dessay en Río de Janeiro: de diva de la ópera a diva de la ‘chanson’

Foto: Natalie Dessay, Natalie Dessay e Michel Legrand - Simon Fowler photography

Gustavo Gabriel Otero
Twitter: @GazetaLyrica

Hace algún tiempo que la gran soprano francesa Natalie Dessay intenta dar un giro a su carrera. Según declaró reiteradas veces se cansó de tener una agenda cubierta por cinco años, cree que ya dio todo lo que tenía que dar en el campo de la lírica y no quiere repetirse, e intenta nuevos rumbos tanto en lo teatral como en lo musical. Desde finales de 2013 no se encuentran actuaciones de la diva en ópera completa. Su agenda en la actualidad está poblada de recitales líricos y de canciones de cámara. Pero, además, incursiona con éxito en las canciones más populares y de la música de películas. Precisamente el espectáculo denominado ‘Entre elle et lui’, ya ofrecido en Europa y grabado comercialmente, se integra con la conjunción de una figura mítica de la canción francesa y de la música de películas como Michel Legrand con la voz y la actuación de Natalie DessayEn exclusiva para América Latina el espectáculo se ofreció en 14 de septiembre en Lima (Perú) y en dos oportunidades (18 y 19 de septiembre) en el nuevo auditorio denominado ‘Cidade das Artes‘, de Río de Janeiro. El complejo es de una arquitectura un poco fría pero monumental en sus dimensiones, la sala es acogedora y se respira modernidad a cada paso. El programa se integró con diversas composiciones de Michel Legrand, autor de famosas bandas sonoras que son parte de la historia musical del cine, que dan cuenta de su amplia carrera de más de sesenta años. Se alternaron bloques musicales con un trío formado por el propio Legrand en piano, Pierre Boussaguet en contrabajo y François Laizeau en batería, con momentos cantados por la Dessay, algunas canciones propias interpretadas por el mismo Legrand y dos composiciones a dúo. Así pasaron Chanson de Delphine, Nous sommes des soeurs jumelles y Chanson de Delphine à lancien (de la película Las señoritas de Rochefort), Le cinéma, 
La Chanson, Papa can you hear me (de la película Yentl), Cake d’amour y Conseil de la fée lilas (de la película Piel de asno), La valse des lilas, Les moulins de mon coeur (de la película El caso de Thomas Crown), L’âme soeur à l’hameçon, What are you doing the rest of your life? (de la película Happy ending), Le rouge et le noir, con magníficos solos del baterista y el contrabajista, La chanson de Louba, The summer knows (de la película Verano del ’42) y Paris Violon, para finalizar con el Dúo de Guy y Geneviève (de la película Los paraguas de Cherburgo), en un momento electrizante. Michel Legrand fue seguro y perfecto como pianista, tanto solista como acompañante. Mientras que fue simpático y bastante entonado, para una persona que superó los ochenta años, cuando cantó. De gran calidad tanto Pierre Boussaguet en contrabajo y como François Laizeau en batería, con algún mérito en más de este último. Pero evidentemente para los amantes de la lírica y el canto la atención estaba centrada en Natalie Dessay, y no defraudó. Así como supo brillar en los escenarios líricos y hoy brilla en los de concierto tanto en la canción de cámara como en el recital, la soprano francesa adapta su arte al canto no impostado de la música de películas y la canción popular. Utiliza micrófono y en ningún momento se encuentran los clásicos desbordes de los cantantes de ópera cuando acometen otros géneros a los cuales desnaturalizan. Todo sale de su voz naturalmente y logra cautivar con su perfecta dicción, su compenetración en el decir, su línea de canto y sus exquisiteces interpretativas tanto sean filados, pianísimos o su fraseo exquisito. Una verdadera lección de canto popular para los cantantes de ópera que no pueden o no quieren adaptarse a otros géneros. Ante el aplauso del público los artistas ofrecieron como bis ‘Mon dernier concert’, con texto de Claude Nougaro y música de Michel Legrand.


I Due Foscari en el Teatro Municipal de Santiago de Chile

Foto: Patricio Melo

Joel Poblete

Aunque en las funciones de estreno de cada uno de los dos repartos con los que se programó uno de sus protagonistas cantó enfermo, el regreso al Teatro Municipal de Santiago de la ópera I due Foscari de Verdi, luego de más de tres décadas de su última presentación en ese escenario (en 1982, cuando fue protagonizada por Renato Bruson y Vicente Sardinero en las que además fueron sus únicas funciones en Chile en el siglo XX), ha sido muy bien recibido por el público. 

Esta buena recepción se debe, de partida y en buena medida, por supuesto gracias a su música. Estrenada en 1844, injustamente subvalorada y escasamente representada durante buena parte del siglo XX, la sexta ópera del compositor italiano ha vuelto a ser considerada por los teatros en las últimas décadas, y aún más en los años recientes, desde que Plácido Domingo incluyera el rol protagónico en su discutible nueva faceta como "barítono". En el elenco internacional, el director titular de la Orquesta Filarmónica de Santiago, el ruso Konstantin Chudovsky, se mostró mucho más sutil y acertado que en sus otras dos incursiones líricas de este año -Rusalka Madama Butterfly-, en especial en el equilibrio entre las voces solistas y la orquesta; y en el segundo reparto, el llamado elenco estelar, el maestro chileno Pedro-Pablo Prudencio fue incluso más incisivo en su acercamiento a la música verdiana, transitando sólidamente entre los vigorosos, enérgicos y contagiosos ritmos de algunos momentos con los pasajes más líricos y dramáticos de otros. 

Además de la maestría de las melodías verdianas a las que es difícil resistirse, este regreso de I due Foscari también brilló gracias a su estupenda puesta en escena, a cargo de talentosos artistas argentinos. El director teatral Pablo Maritano, quien ya había destacado en ese escenario con sus propuestas para El trovador en 2013 y el año pasado en Otello, ofreció otro buen acercamiento a Verdi con una propuesta fluida, sutil y atenta a las situaciones dramáticas; su decisión de trasladar la acción desde mediados del siglo XV hasta la década del 30 en el siglo XX, funcionó muy bien y se hizo más coherente gracias a la bella y sobria escenografía de Nicolás Boni, de cuidada recreación de la arquitectura veneciana, y el lucido vestuario de Sofía Di Nunzio. La iluminación, a cargo del chileno Ricardo Castro, ayudó a reforzar los matices dramáticos y subrayar los claroscuros en los decorados y el argumento mismo. 

Y el elemento decisivo que terminó de entusiasmar en este montaje fueron los cantantes. Y eso que como ya se dijo, en ambos repartos hubo notorios problemas con alguno de los solistas. Originalmente cuando se anunció la temporada lírica de este año, el elenco internacional estaría encabezado por el barítono ucraniano Vitaliy Bilyy, quien ya ha destacado anteriormente en actuaciones en roles de Verdi en el Municipal, pero posteriormente se anunció que quien vendría sería el polaco Andrzej Dobber (quien protagonizara Rigoletto en ese teatro en 2010), y finalmente el dux Foscari fue cantado por el rumano Sebastian Catana, quien debutaba en Chile. En el estreno del elenco internacional, el lunes 21 de septiembre, Catana tosió no muy disimuladamente durante buena parte de la función, y aunque de todos modos cantó con buen volumen, su voz demostró no estar en las condiciones ideales, lo que de seguro incidió en una entrega teatral discreta e incluso distraída, lo que restó fuerza y dramatismo a la conmovedora escena final; una lástima, considerando su buen curriculum como cantante verdiano. 

Afortunadamente, a pesar del regular desempeño de Catana, el elenco internacional salió adelante y cosechó aplausos, en especial gracias a una de las sopranos que están destacando más a nivel internacional en el repertorio verdiano, la estadounidense Tamara Wilson, quien brilló especialmente en su regreso al Municipal, donde debutó en 2011 protagonizando Aida; merecidamente ovacionada por el público, su Lucrezia fue adecuadamente intensa y dramática, y en lo vocal lució un material poderoso y atractivo, de contundente volumen y cómodo en los distintos registros, capaz de sutilezas en sus momentos elegíacos, pero también de aportar la fiereza de los episodios más enérgicos. ¡Un gran acierto! A su lado, el tenor coreano Alfred Kim, quien ya ha interpretado en el Municipal El trovadorCavalleria rusticanaTosca y Carmen, cantó por primera vez en su carrera el rol de Jacopo y volvió a causar una sólida impresión por su potente voz y comprometida interpretación, destacando especialmente en el aria y cabaletta de su primera aparición, pero también en el dramatismo de las escenas posteriores.    

Y en el elenco estelar también uno de los dos Foscari estuvo enfermo. En el estreno de este segundo reparto, el martes 22, interpretando a Jacopo el tenor chileno Gonzalo Tomckowiack partió menos cómodo y seguro que en otras presentaciones suyas, situación que se fue acentuando durante la función y afectando notoriamente todo su desempeño, aunque de manera profesional intentó cantar hasta el final; a su favor hay que decir que por lo que se pudo apreciar en la transmisión por televisión abierta de este elenco en el marco de la gala presidencial de Chile el 18 de septiembre, el tenor había cantado bien y en mejores condiciones de salud. Lo bueno es que a pesar de esta notoria falencia, el reparto logró salir adelante gracias a dos artistas argentinos que ya han dejado buena impresión cantando previamente Verdi en el Municipal: el barítono Omar Carrión fue un buen dux Foscari, noble, convincente y sereno en lo actoral, y de competente entrega vocal, en especial en la última escena, y la soprano Mónica Ferracani actuó creíblemente y resolvió bien las arduas exigencias vocales del rol de Lucrezia, aunque en algunas notas o ciertos pasajes su emisión tuviera ocasionales deslices. 

En ambos repartos estuvieron muy bien los intérpretes de los roles secundarios, cantados por los chilenos Patricio Sabaté y Sergio Gallardo en el papel del implacable villano Loredano, las sopranos Paola Rodríguez y Yeanethe Münzenmayer como Pisana, los tenores Luis Rivas y Claudio Fernández como Barbarigo, el bajo Augusto de la Maza como un sirviente y el tenor Claudio Esteban Cerda como un oficial. Y el Coro del teatro, dirigido por el uruguayo Jorge Klastornik, volvió a lucirse, en particular en las impactantes escenas de conjunto. 


Oberto con la Compañía Lírica “G: Verdi en Buenos Aires Argentina

Foto: Compañía Lírica “G: Verdi!

Dr. Alberto Leal

Compañía Lírica “G: Verdi” – Teatro Avenida. Dirección General y Regie: Adriana Segal Asesora de escena: Lizzie Waisee. Dirección Musical: Ramiro Soto Monllor. Vestuario. Mariela Daga Coro Estable de la Compañía Lírica “G.Verdi” Oberto, Juan Font – Leonora, Sabrina Cirera – Riccardo, Carlos Ullán – Cuniza, Laura Dominguez – Imelda, Clara Pinto. 

Mi crítica del año pasado, cuando se estrenó esta versión de OBERTO fue: Oberto, fue la primera opera del Maestro Verdi, estrenada en Teatro alla Scala, Milán, el 17 de noviembre de 1839. La obra tuvo un éxito notable en su estreno, pero poca repercusión a futuro. Es increíble debido porque es una obra totalmente representativa del primer Verdi, con los méritos y argumentos objetables de ese período. Recién fue estrenada en N.Y en 1978 por la Opera Amato y son contadas las presentaciones que ha tenido en el mundo durante todos estos años. Solamente existen 3 grabaciones comerciales de la misma, la primera en 1977, la segunda (que es la que poseo) en 1984 – Dimitrova- Bergonzi – Gardelli y una más actual con Samuel Ramey- María Guleghina- Marriner. Fue un gran acierto por parte de la Compañía Lírica “G.Verdi“ ponerla en escena, un logro que debe ser sumamente valorado y además brindando una muy buena versión. Bravo! En esta reposición debo doblar los adjetivos. Luego de asistir el miércoles al “Don Carlo” del Teatro Colón, con una portentosa y onerosa puesta, pero sin nivel dramático y muy poco vocal, esta versión de Oberto fue realmente todo lo contrario. Pocos recursos muy bien aplicados, el logro de un gran nivel dramático y y cantantes que dejan su corazón en el escenario. La puesta, ya comentada el año anterior, se presentó sin cambios. Preciso movimiento escénico, agradable escenografía minimalista y un vestuario en estilo, con una muy acertada gama de colores. Todo sobrio y de buen gusto. El Maestro Ramiro Soto Monllor volvió a reiterar su valioso trabajo del año anterior, con gran estilo, recreando las inspiradas melodías del joven Verdi, buenos tiempos y con notable respuesta de la orquesta, más allá de pequeños problemas de afinación. Mantuvo constantemente un perfecto equilibrio entre el foso y el escenario.  Tres grandes artistas dieron vida y alma a las criaturas de Solera, Sabrina Cirera, Carlos Ullán  Juan Font. Formidable prestación de Sabrina Cirera, mejorando aún su excelente creación del año anterior. En el plano vocal no tuvo ningún problema con la endiablada escritura de este primer Verdi, aún fuertemente influenciado por Donizetti. Su centro adquirió una densidad que no presentaba en la versión anterior. Ni las coloraturas, ni la demoledora extensión exigida por Verdi fueron obstáculo alguno para ella. Siempre afinada, siempre con notable volumen. Excelente, muy expresiva como actriz, abrió su corazón en el aria del segundo acto – donde se concentra lo mejor de esta ópera – conmoviendo y conmoviéndose hasta el límite posible para un cantante. Cuesta entender como el Teatro Colón o el Argentino de La Plata no la han llamado todavía. Magnífico trabajo. Carlos Ullán era a priori otra de las atracciones de esta versión. El tenor, de gran carrera como tenor ligero con notables interpretaciones en Mozart o Rossini, abordaba por primera vez un papel considerablemente mas pesado, por lo menos para un tenor lírico. Aunque su voz se ha oscurecido en el último tiempo, seguramente no fue fácil tomar esta decisión. Pero la misma no pudo ser más acertada. Con un timbre mas oscuro y volumen suficiente, pero manteniendo todas las facilidades de un tenor ligero, su desempeño fue brillante. Perfecta línea de canto, matizado, con poco frecuentes planísimos y una enorme entrega que culminó en el aria del último acto donde cantó conmovedóramente, con los sentimientos a flor de piel. Un gran trabajo que abre un futuro para un repertorio donde no abundan tenores con estas posibilidades. Seguramente tendrá que seguir internalizando este cambio, pero por lo brindado en la función de ayer – donde su aria final fue una clase magistral de canto e interpretación – su decisión no ha sido errada. Bravo. El barítono Juan Font cantó sin problema alguno un rol escrito para bajo. Mostró un hermoso timbre, en voz pareja en todo el registro y no presentó ningún problema de extensión. Afinado, con buena línea verdiana, complementó su trabajo con una actuación de gran nivel dramático. Correcto el resto del elenco y muy buen desempeño del Coro. Quedan dos funciones más. No pierdan la oportunidad de ver un título muy poco frecuentado con tres memorables trabajos vocales y un notable logro de todo la Compañía. IMPRESCINDIBLE para los amantes de la ópera! Felicitaciones Compañía Lírica “G: Verdi!

Salon 21 - Music and Poetry, Toronto

Giuliana Dal Piaz

Mientras su importante Festival del Cine casi llega a conclusión y se reanuda la temporada musical, en estos días Toronto es un bullicio de citas culturales. También SOUNDSTREAMS, una organización dedicada a la música de compositores canadienses e internacionales vivientes, reanudó anoche, en el Gardiner Museum, los encuentros mensuales de SALON 21, una especie de salón literario y artístico. Tema del encuentro ‘Música y Poesía’ del 18 de Septiembre era el inicio de una Gacela de García Lorca, “Gacela del niño muerto”, que dice: Todas las tardes en Granada / todas las tardes se muere un niño. Estas dos líneas fueron sometidas a tres jóvenes compositores canadienses que los pusieron en música, siendo el resultado interpretado (de manera por cierto excelente) por la mezzosoprano húngaro-canadiense Kristina Szabó. Las tres versiones fueron presentadas al público de Salon 21 tras una introducción de la poetisa y traductora Beatriz Hausner. Condujo la velada Kyle Brenders, que colabora con SOUNDSTREAMS en calidad de compositor y socio artístico. La elección de los versos de García Lorca fue claramente motivada por la obra de 1970 del músico vanguardista estadounidense George Crumb, “Ancient voices of children”: pareció evidente, en efecto, que ni Brenders, ni los jóvenes compositores invitados ni la propia poetisa Beatriz Hausner (que en los diez minutos abundantes de su introducción no logró enfocar el tema ni transmitir el marco de referencia de las líneas escogidas) tenían una idea clara de la poética de Lorca en general y del particular poema que empieza con los dos versos mencionados. Los compositores se limitaron a recibir la traducción inglesa (every afternoon in Granada, every afternoon a child dies) para crear una pieza musical de dos minutos inspirada por ella. Juliet Palmer, Anna Atkinson e Chris Thornborrow fueron los compositores invitados y la mejor versión musical fue la de Juliet Palmer, que acompañó las palabras con un lento latido cardiaco, que recuerda vagamente también el ritmo del flamenco. Anna Atkinson dio una versión musical mucho más lírica, confesando luego de haber sido influenciada sólo por la idea de la recurrente muerte infantil, mientras Chris Thornborrow compuso un intermedio musical sin verdadera relación con el tema, sólo notando la doble repetición de las palabras “todas las tardes” y por lo tanto creando un motivo musical “circular”. La velada reunió a unas sesenta personas, y fue un éxito desde el punto de vista del evento social (evento por cierto casi gratuito: el costo de la entrada al Museo es el 50 % del costo de boleto de ingreso). Resultó sin embargo un ejercicio inútil: para contribuir realmente a la aculturación de una comunidad, sobre todo de sus miembros más jóvenes – parece ser éste el objetivo de la performance – sería necesaria una “información” básica mucho más sólida y documentada: ¿cómo pueden unos jóvenes compositores que desconocen totalmente la obra, el marco de referencia histórica y la poética de un autor como García Lorca, captar el espíritu de dos de sus versos, además separados del resto del poema?

The Human Passion con la orquesta barroca Tafelmusik en Toronto

Foto: Mireille Lebel
Giuliana Dal Piaz
Un concierto seguramente lleno de pasión, el que abre la temporada lírico-musical de la orquesta barroca Tafelmusik en Toronto, en el Trinity-St.Paul’s Centre.Dirigido por el director y violinista huésped Rodolfo Richter, el  concierto – que se presentará hasta el domingo 20 de Septiembre – alterna piezas para orquesta y árias de ópera barroca interpretadas por la extraordinaria mezzosoprano canadiense Mireille LebelAbre la primera parte del concierto la “Ouverture n.6 en G Menor” del compositor italiano Francesco María Veracini (1690-1768), considerado en sus tiempos el mejor violinista viviente; desafortunadamente, sus composiciones son poco ejecutadas y su fama fue opacada por la de otros autores barrocos. A continuación Mireille Lebel interpreta, con gran intensidad e impecable pronunciación italiana, el ária de Antonio Vivaldi, “Gelido in ogni vena” desde la ópera Il Farnace. En el “Concierto para Fagot en F Mayor RV 485” de Antonio Vivaldi (óptimo fagotista solista Dominic Teresi) resulta fascinante el contrapunto entre el sonido bajo, cupo, casi amenazador, del fagot y el fraseo ligero y chispeante de las cuerdas. Un contraste que Vivaldi debió amar, puesto que escribió 39 conciertos para fagot. El aria “L’angue offeso mai riposa” desde el Giulio Cesare de George Frederic Haendel cierra la primera parte del concierto. La segunda parte presenta la reconstrucción que el mismo director Richter hizo de la versión para clavecín del “Concierto en D Minor BWV 1052R” de Johann Sebastian Bach; una versión, la de Rodolfo Richter, a la que, después del evento inaugural, el autor se refirió como a “la reconstrucción de una reconstrucción”, comentando la costumbre que Bach tenía de reutilizar pasos de obras, o a veces hasta obras completas, en circunstancias y modos diferentes. En este caso, se trataba de una versión para clavecín muy virtuosista y desapasionada; la reconstrucción de Richter la vuelve otra: en el Allegro del primer movimiento, el violín es especialmente energético y vitalista, dominando la orquestación con el contrapunto de los óboes (que Bach había eliminado en la versión para clavecín); en el Adagio del segundo movimiento, en cambio, el violín parece replegarse melancólico sobre si mismo, mientras los óboes callan; en el Allegro del tercer movimiento, el violín ya no suena tan impetuoso, parece más bien despertar de un sueño con una veta de tristeza. Cierran el concierto dos árias más, “Scherza infida”, desde la ópera de Haendel Ariodante, y el ária de Vivaldi “Agitata infido flatu” desde la ópera Judita Triumphans. Muy apreciada ya en su reciente interpretación de Orfeo, en “Orfeo y Eurídice” de Gluck, Mireille Lebel se confirma en este concierto como una cantante de grandísimo talento musical, su voz – reductivamente enmarcada en el rango de mezzosoprano – tiene una ductilidad y una amplitud de rango que va mucho más allá de la interpretación de óperas barrocas. En todo momento, la Baroque Orchestra Tafelmusik proporciona una orquestación de altísimo nivel, apreciable incluso desde el punto de vista visual, pues resulta estéticamente armonioso el gemelo movimiento del brazo de violonchelista y bajista en el pizzicato che acompaña a Mireille que canta “Scherza infida”.

Saturday, September 5, 2015

Entrevista a la soprano Annick Massis

Foto: Gianni Ugolini, Le Comte Ory - Christian Dresse, Lucia Met - Ken Howard, 

Ramón Jacques

Simpática, amable, inteligente y elegante son los adjetivos con los que se puede describir a Annick Massis.  La talentosa soprano francesa es una de las más destacadas intérpretes de papeles de operas belcantistas.  Después de obtener dos títulos universitarios Annick realizó su debut profesional en 1991 en el teatro Capitole de Toulouse, y a partir de ahí ha comenzó una prolífica carrera que la ha llevado a presentarse en los teatros y festivales y salas de concierto mas importantes del mundo, donde ha sido dirigida por importantes directores de orquesta y escena, y ha alternado con los mejores cantantes.  Como una estrella que brilla por luz propia y toda una dama, Annick aceptó amablemente realizar la siguiente entrevista donde nos habla de su carrera y nos ofrece interesantes puntos de vista sobre la profesión de cantante.

Annick eres una destacada soprano coloratura ¿podrías hablarnos un poco de lo que significa para ti tu voz?

Una voz para mí es lo más humano de una persona.  Generalmente se habla mucho de la voz de tenor, pero la voz de una soprano coloratura es una de las más difíciles de manejar.  Quien escucha a una soprano tiene ya ciertas prejuicios, que son a  menudo dictados por un gusto personal, porque ha tenido experiencias asistiendo a espectáculos o porque ha escuchado discos, lo cual no es necesariamente el mejor punto de referencia, más aun cuando el disco es un testimonio o es una foto tomada en un momento determinado que no demuestra siempre la verdadera capacidad de un cantante en vivo.  Esto hace que la exigencia sea mayor para todas las voces, pero mas aún para la de soprano que se considera en ocasiones una tesitura muy diferente, porque se requiere que la voz sea pura, fácil, flexible, colorida, plena, virtuosa, y que tenga agudos y graves. ¡A una soprano se le exige todo!  Porque también se espera que tenga buena apariencia física y soltura en escena.  Pero se necesita tiempo para hacer surgir una voz, para consolidarla a lo largo del tiempo y evolucionar con ella. Yo se que mi voz  se ha personificado mas y mas con los años teniendo en cuenta las exigencias de la profesión y del publico,  y en la medida que pasa el tiempo la voz se ha enriquecido en color y en plenitud y es emocionante ver como con años de diferencia una aria se canta de una manera diferente y como puede uno ser sorprendido en ocasiones por la propia voz.  He aprendido a conocer mi voz, reconociendo sus límites y saber ir hacia delante y ser conciente lo más posible de mi estado de ánimo y físico para permitir que mi voz salga con control y libertad.  Es un proceso que permite abrir la boca y emitir un sonido que encuentro que es muy difícil pero a la vez es mágico. Yo pase de ser una lírica muy ligera a una lírica con cuerpo, pero jamás he forzado y me he preocupado por respetar la música y servirla de la mejor manera.  Tanbien me he dado cuenta del placer que tengo por lo que hago y esto es indispensable para cantar.

¿Existen cantantes que consideres como modelos vocales?

Si,  he tenido modelos de voces que me han conmovido y me han despertado, por su emoción, drama y alegría; y que han provocado vibraciones en mi cuerpo como Birgitt Nilson que tenia un poder increíble, como también  a Caballé, Callas y Sutherland, y a quien tuve el placer de conocer porque me dirigió Richard Bonynge. Pienso que las grandes cantantes que todo el mundo admira no son indiferentes ni para el oído ni para la vista.  Una construcción vocal es demasiado abstracta y debe hacerse concreta y arraigada al cuerpo y escuchar voces que nos gustan y que hablan son una guía hacia una técnica, un color y una vibración.


Se dice que la voz femenina refleja el estado del alma de la cantante ¿estas de acuerdo?

Si estoy de acuerdo y diría también que en ocasiones, en lo que a mi respecta, es un reflejo de cómo me encuentro emocional y físicamente. Pero esto no es perceptible para todo el público. Ya que por ejemplo una cantante que recibe una mala noticia antes de cantar, debe soportar la impresión sin afectar su expresión.  Una cantante que ha perdido un ser querido no cantaría igual que otra que a la que le han propuesto matrimonio.  Existe un estado emocional más o menos manejable con el cual uno debe siempre comportarse.  Corresponde a la cantante no dejar que la debilidad de la emoción interfiera con la emisión vocal.  Las numerosas situaciones emocionales de la vida hacen que la voz de transforme de alguna manera. Se puede trascender mucho profesionalmente cuando se controla el impacto de los golpes de la vida, cuando se canta se enriquece la personalidad artística de la voz, pero creo que también puede hacer daño cuando el limite del control que se impone un cantante para proteger su expresión artística se viene abajo y no hay un filtro, mas que el control, en ese caso el cantante puede perder la voz.  Esto le puede suceder a cualquiera, porque al final la solidez de un cantante tiene pocas cosas. No debe ser permeable al entorno, y debe uno saberse proteger lo mas posible, cosa que no hacia en mis inicios. Un cantante puede parecer frío y duro pero hay razones para ello, ya que se requiere de una gran fuerza mental para cantar y un cantante siempre esta sujeto a grandes presiones y exigencias.

¿Cómo fue que descubriste la opera?

Yo descubrí la opera porque mi madre cantaba operetas y porque mi padre fue un barítono en Radio France, después de haber ejercido como ingeniero. Aunque mis padres intentaron disuadirme del aprendizaje instrumental o musical en mi casa siempre hubo acceso a la música como Ravel, los grandes conciertos para violín y orquesta de Strauss, música rusa, melodías francesas, Verdi, y otros géneros como el pop y todos me gustaban mucho. Cuando escuché una voz clásica mis oídos se alertaron inmediatamente y fue una alegría para mí reconocer que esto se debía gracias al timbre, y me pareció que yo debía cantar así. Después tuve la fascinación del violín, y su color me hacia cantar, porque creía que el violín también lo hacia pero me parecía injusto que podía extender las frases de la manera que no lo podía hacer un cantante. Intente imitar las largas frases sin éxito.  Así fue como descubrí el mundo de la opera de pequeña, solamente con mis ojos y oídos bien abiertos.  Observe y absorbí todo como una esponja: los colores, las emociones, los vestuarios, les decoraciones, los movimientos del coro y los artistas. Estaba fascinada por este mundo, y aunque no tuve acceso a un instrumento cantaba todo el tiempo.

En la actualidad ¿Por qué amas tanto el canto?

Porque cantar es poder decir completamente de otra manera lo que no se permite decir, o porque no se desconocía o no se conseguía hacerlo.  Es una manera de expresar lo que uno mismo es, las emociones, comprenderse uno mismo y a los demás. La música es un mundo que me ha permitido acercarme a otras culturas, lenguas y países y de descubrirme a mi misma.

¿Cómo te sientes física y espiritualmente después de haber cantado?

Eso depende del papel, del reto y de la presión.  Yo me siento mejor durante y después de un espectáculo, pero nada bien antes, porque me pongo nerviosa y esto se debe en parte a que soy muy autocrítica, aunque soy menos auto destructiva que durante el tiempo cuando mi estado de animo era mas variable. Después de una Traviata o una Lucia, me siento muy cansada aunque no en el momento si no dos o tres horas mas tarde.  La implicación emocional es tan fuerte que soy Massis durante algunos días, pero cuando se da una proximidad con el público y su respuesta es totalmente buena, Annick se recarga de vida.   A veces  uno se siente mejor después de un espectáculo en la medida que uno se olvida de todo para poder estar completamente concentrado, entonces parece que se cambia de mundo o de estado de conciencia por llamarlo así. Cuando esto sucede es magia y yo siento una gran fatiga a la mañana siguiente pero muy bien después. A veces, por los nervios requiero cargar mi energía como una computadora a la que se le agotó la batería.

¿Son Mozart, Donizetti, Bellini, Rossini y Berlioz los compositores que más te han atraído durante tu carrera?

Ellos han sido compañeros de vida y aun lo son. Pero si evidentemente se debe a que el repertorio de estos compositores se ha adaptado a mi voz y me ha permitido interpretarlo. Pero la seducción es infinita y no hay un límite de lo que puede ofrecer la música a través de sus diferentes épocas. La música me ha ayudado en muchas situaciones, me envuelve y hace vivir, me enriquece, me da mucho. Estos compositores que mencionas son maravillosos pero además agregaría a Verdi, Bizet, Massenet, Ravel. Es verdad que este año me he involucrado literalmente en la Traviata, pero me siento animada a estudiar también ciertas arias de las operas de juventud de Verdi, que son muy bellas.  Pero con gusto retomé recientemente Mozart, La Sonnambula así como Les pécheurs de Perles de Bizet que volví a cantar en Estrasburgo hace poco.

De todos los personajes y operas que has interpretado ¿cuales son lo que mas han dejado huella en ti?

Sin duda alguna Le Comte Ory, Lucia di Lammermoor, La Sonnambula, Donna Anna de Don Giovanni, La Traviata, Les Pecheurs de Perles que son las operas que mas he cantado, sus papeles me han hecho avanzar enormemente y me han dado satisfacciones.  Los papeles de Lucia y de Traviata fueron difíciles al principio porque me faltó tiempo para conocerlos bien e involucrarme en ellos.  Hice mi debut internacional con Le Comte Ory en Glyndebourne y esto me abrió las puertas de Italia y del bel canto, después volví a Mozart. Creo que el bel canto me permitió comprender a Mozart mejor, y después me sirvió para abordar a Verdi y a otros.

¿Cómo haces para combinar sobre el escenario elementos difícilmente conciliables como el canto, los movimientos, la gestualidad, la expresión y hacerlo siempre con gracia?

Yo no se si sea siempre con gracia como tu dices, pero es sin duda una cuestión de movimiento y energía. Yo tengo una cierta concepción de la belleza y a eso trato de acercarme, y aunque a veces no hay momentos buenos se debe tener siempre dignidad, no caer en la vulgaridad y tener presente siempre el conocimiento vocal para servir a la música. A mi me han inspirado  y ayudado muchas cosas como la danza, el teatro y la gimnasia artística. Para cantar sobre un escenario se debe estar en buena forma física y ser honesto con uno mismo, como me gusta ser a mí. Además, uno no esta solo, porque cuando se llega a una producción esta un director de orquesta y escena, colegas y en ocasiones bailarines y figurantes, y son todas esas interacciones humanas las que hacen que emerja el personaje operístico. Ese es el enriquecimiento en cada producción, que es como un rompecabezas que se debe construir cada vez para crear la enorme maquina que es una puesta en escena de opera.  Es justamente el trabajo de diferentes oficios que unidos y funcionando provocan la magia que permite que la voz del cantante de opera emerja y transporte al espectador a otro mundo. Pero yo creo que la respuesta a tu pregunta esta en la fe en la música, en la pasión y el amor al canto que es lo que creo que yo hago. No estoy diciendo que lo puedo hacer siempre pero siempre estoy maravillada por lo que una vibración emitida por las cuerdas vocales puede provocar.

¿Es difícil poder armonizar la carrera de cantante con la vida personal?

Hacer este tipo de carrera no es fácil como no lo ha sido para mí. Uno de mis pocos profesores me dijo un día que la música es un amante muy celoso y yo estoy de acuerdo. Hay muchas ausencias, viajes, es una vida irregular y llena de imprevistos, de mucho estrés, de viajes, cambios de horario, de alimentación, de ritmos frenéticos. Detrás de este trabajo hay mucha soledad, y la remota posibilidad de encontrar una pareja que acepte seguirnos o que nos ame por quienes somos y por lo que representamos públicamente; uno que pueda ofrecernos por ejemplo tranquilidad mental, que nos apoye para reforzar nuestra confianza. Pero no a todos pueden encontrar a esa persona. La gente desde el exterior nos dice lo hermoso que es nuestro trabajo, y eso es verdad.

¿En que lugar o situación es donde te sientas más a gusto y relajada?

Es buena pregunta, podría ser que en el mar bretón o en el mar azul de las Maldivas o en un escenario donde surgieran momentos mágicos de gran libertad y expresión en el que estuviera en estado de gracia. Cuando camino por Paris y la recorro a pie para ir de un punto a otro de la ciudad, sobretodo entre árboles y la naturaleza.

¿Cuáles consideras como los mejores recuerdos de tu carrera?

Son muchos pero mencionaría mis presentaciones de Lucia di Lammermoor en el Metropolitan con James Levine, La Traviata con Acocella, La Sonnambula con Oren, Il Viaggio a Reims en la Scala con Ottavio Dantone, Platée en la Opera Garnier con Minkowski, y la Juive en la Bastilla de Paris con Oren.

Además del canto ¿Qué talento te gustaría tener?

Me gustaría poder pintar en silencio, poder hacer una danza balinesa o hindú con el lenguaje de las manos y el cuerpo de acuerdo a sus tradiciones y poder volar.

¿Qué situaciones que ocurren en el mundo actual te preocupan?

Muchas cosas me vienen a la mente como las guerras y las personas que mueren cada día.  La triste confirmación de que las relaciones humanas pueden ser tan agudas que llegan a la destrucción y a la muerte de tantos seres humanos. Una cosa que me sorprende cada vez mas es el agonizante estado de nuestro medio ambiente, esto unido a la idea que tengo del egoísmo del ser humano que parece encaminado a destruir la tierra y la naturaleza. Estoy asustada de la dirección a la que se dirigen nuestras sociedades y nosotros mismos, destruyendo todo por el placer y el egoísmo de algunos. Es una triste realidad.

Finalmente ¿Tienes aun pendientes en tu carrera, papeles que quisieras cantar o te sientes satisfecha a donde has llegado?

Seguro que si, hay cosas que aun me gustaría cantar.  Siempre hay curiosidades por satisfacer, nuevas músicas por descubrir y nuevos personajes por interpretar,   Quisiera poder avanzar aun más en Verdi y Bellini o cantar cosas que nunca he hecho antes. Quisiera volver a cantar una Juliette, una Manon, continuar con Traviata, hacer una Maria Stuarda y una Anna Bolena.  Estoy satisfecha con mi carrera, pero soy  muy curiosa.

Te agradezco la entrevista Annick.

Gracias a ti.