Thursday, October 24, 2019

Giulio Cesare en el Teatro alla Scala Milano


Foto: Brescia& Amisano - Teatro alla Scala

Massimo Viazzo

La ópera de Georg Friedrich Haendel no ha tenido una presencia asidua en el Teatro alla Scala, y el motivo ha sido su rencuentro con el gusto de un público, particularmente sensible a la poética del melodrama italiano del siglo diecinueve y principios del siglo veinte, que ha siempre visto con suspicacia al teatro barroco. Pero en estas últimas temporadas, la ejecución de obras handelianas han sido menos esporádicas y se puede afirmar con certeza que finalmente, y después del clamoroso éxito de este Giulio Cesare, que el teatro musical de “caro Sassone” ha librado completamente la aduana del máximo teatro italiano. La Scala confeccionó un montaje escénico de primer orden, comenzando por el elenco, que fue de nivel absoluto.  Por primera vez en la sala del Piermarini se han podido escuchar cuatro buenos contratenores. Bejun Mehta, que personificó al protagonista, al emperador romano Giulio Cesare, con gran carisma vocal y escénico, mostrando ductilidad, finura e ímpetu, utilizando un timbre matizado y muy sólido. En el papel del pugnaz Sesto, Philippe Jarousski dejo en evidencia un color vocal muy personal de canto audaz; como también Christoph Dumaux que convenció como un Tolomeo traidor, violento y brutal, sin problemas en el canto de agilidad. Danielle De Niese, que siempre ha amado el papel de Cleopatra, estuvo seductora y sensual, y supo mover su precisa y entonada voz con virtuosismo y pasión, así como con fascinante e intimista abandono. Sara Mingardo fue una perfecta Cornelia, afligida y patética, siempre afligida y conmovedora. Completaron el elenco, el áspero Achilla de Christian Senn y los óptimos Renato Dolcini (Curio) y Luigi Schifano (Nireno).  Robert Carsen sabe cómo pocos hacer teatro barroco y en su Giulio Cesare demostró una vez más el haber entendido sus mecanismos y sus engranajes. Una ópera basada completamente en el Aria con Da Capo es un verdadero reto para un director de escena, y Carsen lo ha vencido ampliamente exhibiendo una infinidad de ideas, de originales encuentros muy, como también con divertidas soluciones, dotándolo escénicamente, pero sin saturar los puntos cerrados de esta obra handeliana, con pleno respeto de la trama y de la música. Se escucharon arias transformadas en verdaderos duetos fingidos (claramente con interlocutores mudos que interactuaban con mímica) y también en verdaderos ensambles mediante el uso de exactos y nunca predecibles movimientos de expresión corporal. Carsen ambientó la obra en una época contemporánea sin superponerse nunca al libreto, por el contrario, ampliándole sus implicaciones psicológicas. Fue así casi de manera natural que la ópera concluyó con un acuerdo entre Cesare y Cleopatra para la explotación de pozos petroleros, y aunque esto tiene poca importancia, lo que cuenta es que Carsen captó el espíritu de esta obra maestra restituyéndolo con agudeza, habilidad técnica y maestría en la materia. Finalmente, un aplauso es también para la Orquesta del Teatro alla Scala con ‘instrumentos históricos’ que es ya desde hace algunos años una realidad. Giovanni Antonini la guío con flexibilidad y vigor, captando de la mejor manera cada aspecto rítmico y melódico de la esplendida partitura handeliana.

Rusalka di Dvořák - San Francisco Opera


Foto: Cory Weaver / San Francisco Opera

Ramón Jacques

Rusalka è entrata nel repertorio del teatro di San Francisco nella stagione 1995 con Renée Fleming, che di questo personaggio ne ha fatto uno dei più emblematici della sua carriera. La riproposta di questa prodigiosa creazione di Dvořák, offerta 25 anni dopo, è una delle migliori produzioni sceniche e musicali viste su questo palcoscenico da molto tempo, grazie al meticoloso allestimento curato da David McVicar, con le magnifiche scene e costumi di Leah Hausman, e presentato all’opera di Chicago alcune stagioni fa. Qui, McVicar ha impresso il sigillo del mistero soprannaturale, fantasioso della storia, delineando chiaramente la differenza tra il mondo degli umani e quello delle ninfe che abitano la foresta. In particolare, la scena iniziale della foresta oscura con il lago al centro e la stanza opulenta di un palazzo visto in prospettiva, sono le immagini preconcette che illustrano la storia prima di aprire il sipario. Merito dei costumi di Moritz Junge che mostravano Vodnik e Ježibaba come sono, cioè personaggio tratti dal mondo delle fiabe. La scelta del cast vocale è stata un successo del teatro, a cominciare dal soprano Rachel Willis-Sørensen che ha dato vita a una Rusalka dignitosa, per la presenza e l'eleganza scenica che ha apportato al ruolo, e per un canto fluida con il suo colore timbrico chiaro e amalgamato allo stile musicale dell'opera. La famosa canzone della luna è stata, senza cadere nei cliché, uno dei punti più importanti della sua esibizione sul palco. Brandon Jovanovich, il miglior tenore americano oggi ha mostrato solidità nel suo timbro con una buona proiezione e prestazione infallibile come Principe. La voce del mezzosoprano Jamie Barton, qui come Ježibaba, è cresciuta nel tempo per acquisire una luminosità e un tono drammatico di una interprete sicuro e convincente. Kristinn Sugmundsson, ha avuto un buon disimpegno come Vodnik. Il soprano Sarah Cambridge, è stata una piacevole sorpresa come  Principessa straniera, con la fiducia in se stessa e l'inaspettata facilità scenica con cui è apparsa, e per la sua attraente vocalità Alla direttrice d’orchestra coreana Eun Sun Kim non possono essere rimproverati  l'entusiasmo e la buona mano che ha avuto con l'orchestra per evidenziare l'influenza e il folklore slavo che rivestono la partitura e le sue trame orchestrali, come pure i momenti di forza eccessiva della musica proveniente dalla buca; il che non ha influenzato in alcun modo il risultato di uno spettacolo che ha superato le aspettative, anche per lo spettatore più sospettoso.

Orlando di Haendel - San Francisco Opera


Foto: Cory Weaver / San Francisco Opera

Ramón Jacques

Un ospedale psichiatrico, con letti, un corridoio, una reception con illuminazione brillante, e alcune proiezioni sul fondale con eleganti costumi; collocato in un periodo posteriore alla Seconda Guerra Mondiale, è il contesto nel quale si sviluppa la trama di questa meravigliosa opera handeliana. La produzione proveniente dallOpera di Scozia, ideata e diretta dal regista Harry Fehr con scenografie di Yannis Thavaris, ci introduce al personaggio di Orlando come un ex pilota dellareonautica britannica, delirante e schizofrenico, che vive recluso in questa situazione. Se è certo che la trama contiene un po’ di magia, la direzione scenica ha dilatato le cose al punto di oltrepassare i limiti della coerenza scenica. In scena si vedeva un personaggio, quello di Orlando, tormentato e esageratamente interpretato, circondato da medici e infermieri, in un allestimento che al principio piaceva alla vista ma che nellinsieme e con il trascorrere della recita finiva per essere irritante. In breve si è nuovamente trattato di un allestimento moderno europeo, di quelli in cui si cerca di sminuire la vicenda, imponendo una visione che non apporta molto alla parte recitata dello spettacolo. Orlando, che fu solo portato in scena in teatro nella stagione del 1985 da Marilyn Horne, avrebbe meritato una migliore riproposta; fortunatamente le componenti vocali e musicali sono state pienamente soddisfacenti. Il mezzosoprano Sasha Cooke ha mostrato timbro gradevole che ha usato con interessante flessibilità vocale e virtuosismo con il quale ha emozionato in diversi momenti. Nel suo debutto americano il soprano austriaco Christina Gansch ha dato vita ad una sensibile Dorinda con tonalità brillante e un accento adatto al repertorio. Heidi Stober ha avuto un buon disonpegno vocale come Angelica, il suo canto è stato corretto, non precisamente commovente, e la sua interpretazione del personaggio è stata la più castigata e misurata. Il controtenore Aryeh Nussbaum Cohen ha mostrato una sorprendente sicurezza nel canto, dando dignità al personaggio di Medoro. Da parte sua il basso-baritono Christian von Horn, oltre ad avere una voce potente non sembrava adatto a questo repertorio per carenza di gusto. Sul podio Christopher Moulds, conoscitore sperimentato di Handel, ha fatto suonar bene la rinforzata e compatta orchestra del teatro, per la dinamica dei suoi tempi, lattenzione alle voci e per leleganza e la nobiltà che ha impresso nella sua lettura. 


Giulio Cesare - Teatro alla Scala, Milano


Foto: Brescia&Amisano

Massimo Viazzo

L'opera di Georg Friedrich Haendel non è mai stata una presenza assidua al Teatro alla Scala. Il motivo è da ricercare soprattutto nel gusto di un pubblico che, sensibile soprattutto alla poetica del melodramma italiano dell'800 e del primo 900, ha sempre guardato con sospetto il teatro barocco. Ma in queste ultime stagioni le esecuzioni di lavori haendeliani sono state meno sporadiche e si può affermare con certezza che finalmente, dopo il clamoroso successo di questo Giulio Cesare, il teatro musicale del “caro Sassone” è stato completamente sdoganato anche nel massimo teatro italiano. La Scala ha confezionato un allestimento di prim'ordine a cominciare dal cast, un cast di livello assoluto. Per la prima volta nella sala del Piermarini si sono potuti ascoltare ben quattro controtenori. Bejun Mehta ha impersonato il protagonista, l'imperatore romano Giulio Cesare, con grande carisma vocale e scenico, mostrando duttilità, finezza, impeto e utilizzando una timbrica sfumata, ma solidissima. Philippe Jarousski nei panni del pugnace Sesto ha messo in evidenza un colore vocale molto personale e un canto baldanzoso. Come pure Christoph Dumaux ha convinto come infido Tolomeo, violento e brutale, senza problemi nel canto di agilità. Danielle De Niese che ha sempre amato questa parte, è stata una Cleopatra seducente e sensuale e ha saputo muovere la sua voce, precisa ed intonata, con virtuosismo e passione, e con ripiegamenti intimisti affascinanti. Sara Mingardo è stata una perfetta Cornelia, dolente e patetica, sempre intensa e commovente. Completavano il cast il ruvido Achilla di Christian Senn e gli ottimi Renato Dolcini (Curio) e Luigi Schifano (Nireno).  Robert Carsen sa come pochi fare teatro barocco e in questo suo Giulio Cesare ha dato ancora una volta prova di averne capito i meccanismi e gli ingranaggi. Un'opera basata quasi completamente sull'Aria con Da Capo è una vera sfida per il regista. Carsen l'ha ampiamente vinta esibendo una infinità di idee, di trovate originalissime, di soluzioni anche divertenti, per riempire scenicamente senza saturarlo ogni numero chiuso del lavoro haendeliano, nel pieno rispetto del plot e della musica. Abbiamo assistito ad Arie trasformate in veri e propri finti Duetti (chiaramente con l'interlocutore muto ad interagire solo mimicamente) o anche in veri e propri Ensemble con l'uso di movimenti di espressione corporea azzecatissimi e mai scontati. Carsen ha ambientato la vicenda nella contemporaneità senza mai sovrapporsi al libretto, anzi ampliandone le implicazioni psicologiche. E così è quasi naturale che l'opera si sia conclusa con un'accordo tra Cesare e Cleopatra per lo sfruttamento dei pozzi petroliferi. Ma questo ha poca importanza. Quello che conta è che Carsen ha colto lo spirito di questo capolavoro e lo ha restituito con acume, abilità tecnica e padronanza della materia. Un plauso, infine, anche all'Orchestra del Teatro alla Scala su “strumenti storici”, che è ormai una realtà da qualche anno. Giovanni Antonini l'ha guidata con flessibilità e vigore, cogliendo al meglio ogni aspetto ritmico e melodico della splendida partitura haendeliana.


Monday, October 14, 2019

Rusalka en San Francisco


Fotos: Cory Weaver / San Francisco Opera 

Ramón Jacques

Rusalka ingresó al repertorio del teatro de San Francisco en la temporada de 1995 con Renée Fleming, para quien este personaje fue uno de los más emblemáticos en gran parte de su carrera.  La reposición de esta prodigiosa creación musical de Dvořák, ofrecida 25 años después, es una de las mejores puestas escénico-musicales vistas en este escenario en mucho tiempo, gracias a la meticulosa producción del David McVicar, con las destacadas escenografías y decorados de Leah Hausman, estrenadas en la ópera lirica de Chicago hace algunas temporadas. Aquí, Mcvicar imprimió el sello del misterio supernatural, fantasioso de la historia, delineando claramente la diferencia entre el mundo de los humanos y el de las ninfas que habitan en el bosque.  Particularmente, la escena inicial del oscuro bosque con la laguna en el centro y la opulenta sala de un palacio vista en perspectiva, son las imágenes preconcebidas quien conoce la historia antes de abrirse el telón. Una merece los vestuarios de Moritz Junge, que mostraron a Vodnik y a Ježibaba, como lo que son, personajes extraídos de un cuento de hadas.  Le elección del reparto vocal fue un acierto del teatro, comenzando por la soprano Rachel Willis-Sørensen quien dio vida a una digna Rusalka, por la presencia y elegancia escénica que aportó al papel, y por un canto fluido con su colorido timbre claro, amalgamado al estilo musical de la obra. La famosa canción de la luna fue, sin caer en clichés, uno de los puntos más predominantes de su desempeño en escena.  Brandon Jovanovich, el mejor tenor estadounidense en la actualidad mostró solidez en su timbre con buena proyección e infalible actuación como el Príncipe. La voz de la mezzosoprano Jamie Barton, aquí como Ježibaba, ha crecido con el tiempo hasta adquirir un brillo y una tonalidad dramática de interprete segura y convincente. Kristinn Sugmundsson, tuvo buen desempeño como Vodnik. La soprano Sarah Cambridge, sorprendió gratamente como la Princesa Extrajera, con el desparpajo e inesperada soltura escénica con la que se presentó, y por su atractiva vocalidad.  A la directora coreana Eun Sun Kim, no se le puede reprochar el entusiasmo y la buena mano que tuvo con la orquesta para resaltar la influencia y folclor esclavo que revisten la partitura y sus texturas orquestales, como si por los momentos de fuerza desmedida en la música proveniente del foso; que de ninguna manera incidieron en el resultado de un espectáculo que superó expectativas, incluso del espectador más suspicaz.


Ángel de Fuego en Roma


© Opera di Roma / Yasuko KAGEYAMA

Alberto Rosas 

El Ángel de Fuego de Prokofiev es sin dudas una las apuestas más atractivas, y a la vez más atrevidas que se incluyen en la presente temporada en la ópera de Roma. El repertorio no-italiano suele ser una apuesta difícil para los teatros italianos, considerando el amplio y vasto repertorio de sus propios compositores y la reticencia de un público como el italiano que al parecer no termina por aceptar completamente obras en lengua distinta a la suya.  La destacada Emma Dante, ofreció una lectura comprensible de la trama, que mezcla elementos de lo misterioso y la brujería con la pasión e incluso con la locura. El ángel que forma parte de la imaginación del personaje de Renata, qui fue representado por un bailarín, y sin perder hilo conductor de espectáculo, Dante jugó de manera paralela con dos mundos el de la realidad y lo oculto.  Diversos personajes aparecen en escena, con un montaje que es austero, con elementos en escena como unos libros que representan una biblioteca o un salón con un muro al fondo, donde interactúan, entrando y saliendo, diversos personajes.  Nada aquí fue exagerado, solo se trató de ideas con ingenio que no fueron invasivas en una trama que ocurre y se sitúa en la Alemania del siglo 16.  Al frente de la orquesta el director Alejo Pérez, condujo con atención y detalle una partitura que es intensa, y que por momentos suena hosca, belicosa, violenta y ardua para el espectador; pero el director argentino ofreció una lectura donde resaltó matices, y realzó la escena de manera enérgica, cuando le fue requerida.  Ewa Vesin, interpretó al personaje de Renata con convicción, con una voz profunda y de buena proyección.  De Leigh Melrose como Ruprecht, se destaca una actuación aguda y penetrante y un canto  con empuje y vitalidad, no precisamente refinado pero efectivo. El extenso elenco de personajes secundarios, todos cantantes muy competentes, tuvo un desempeño sobresaliente.

Orlando de Handel en San Francisco


Fotos: Cory Weaver / San Francisco Opera

Ramón Jacques

Un hospital psiquiátrico, con camas, un corredor, una recepción con brillante iluminación, y algunas proyecciones al fondo del escenario con elegantes vestuarios; situado en un periodo posterior a la Segunda Guerra Mundial, es el marco dentro del cual se desarrolla la trama de esta maravillosa obra handeliana.  La producción traída de la Opera de Escocia, concebida y dirigida por el director Harry Fehr con escenografías de Yannis Thavaris, nos presenta al personaje de Orlando, como un delirante y esquizofrénico ex piloto de la fuerza aérea británica que vive recluido en esta institución. Si bien es cierto que la trama contiene algo de magia, la dirección escénica estiró las cosas al punto de traspasar los límites de la coherencia escénica. En escena se vio un personaje, el de Orlando, atormentado y exageradamente sobreactuado, rodeado de doctores y enfermeras, en un montaje que en principio agrada a la vista pero que en conjunto y con el transcurso de la función termina siendo irritante.  En suma, se trató nuevamente de un montaje europeo moderno, de los que intenta menospreciar la historia, imponiendo una visión que no aporta mucho a la parte actoral del espectáculo.  Orlando, que solo fue escenificada una vez en este teatro en la temporada de 1985 con Marilyn Horne, merecía una mejor reintroducción; afortunadamente esta obra goza de un componente musical y vocal, que satisfizo plenamente.  La mezzosoprano Sasha Cooke, mostró un grato color de timbre, que matizó con interesante flexibilidad vocal y virtuosísimo con el que emocionó en varias ocasiones. En su debut americano, la soprano austriaca Christina Gansch dio vida a una sensible Dorinda con una brillantez en su tono y un acento muy afines a este repertorio. Heidi Stober tuvo un buen desempeño vocal como Angelica, su canto es correcto, no precisamente conmovedor, y su actuación fue de las más castigadas y desmesuradas. El contratenor Aryeh Nussbaum Cohen, mostró una sorprendente seguridad en su canto, dignificando al personaje de Medoro.  Por su parte el bajo-barítono Christian Van Horn, más allá de una voz potente y correcta, perece no ser un cantante apto para este repertorio por la carencia de gusto que demostró. En el podio, Christopher Moulds, experimentado conocedor de Handel, hizo sonar bien a la reforzada y compacta orquesta del teatro, por la dinámica en sus tiempos, la consideración por las voces y por la elegancia y distinción que le imprimió a su lectura.



La Traviata en Los Ángeles


Fotos: Ken Howard

Ramón Jacques

Con la reposición de La Traviata en el escenario de Los Ángeles el espectador se adentra en el mundo de las demi-mondaines o flappers, como se les conocía a las prostitutas de lujo en los años 20 del siglo pasado en Estados Unidos, que es precisamente el tiempo y el lugar donde se sitúa este montaje escénico, dirigido y concebido por Marta Domingo, y que fuera estrenado en este teatro hace más de diez años.  Es la época del surgimiento del jazz, con decorados art-deco, un Buick en el que hace su entrada violeta, la presencia de una banda de jazz en el tercer acto, con lucidos vestuarios alusivos al periodo y resplandeciente iluminación.  La propuesta cumple su cometido de ofrecer una estimulante visión, pero es imposible eludir que en materia escénica también ha habido un desarrollo, lo que denota que el tiempo pasa y hoy la escena luce desangelada, rígida y austera.  Musicalmente, la presencia de James Conlon en el podio aseguró una vibrante lectura de la partitura, adecuada en los tiempos, matizada y equilibrada como solo un director con experiencia como la suya puede ofrecer. La parte vocal es donde el teatro quedó a deber, con endeble elenco comenzando por el tenor Rame Lahaj como Alfredo, quien demostró ser un artista inexpresivo y tieso en escena con un desempeño vocal irregular, inaudible por momentos y gritado y carente de gusto. Por su parte Vitaliy Bilyy, como Germont lució poco creíble como Germont, su juventud contrasta con la presencia de un personaje mayor, y su voz carece de cuerpo, escuchándose tenue y fuera del estilo que requiere la partitura. En el papel de Violetta, la soprano Adela Zaharia exhibió una radiante presencia y un canto agradable, nítido y brillante, y aunque su desempeño no es memorable si exhibió un nivel digno de este teatro. Correctos estuvieron los demás personajes que conformaron el resto del elenco; y el del coro que en sus intervenciones mostró cohesión y emotividad.



Rodelinda en el Teatro Municipal de Santiago, Chile

Fotos:  Marcela González Guillén

Joel Poblete

Para muchos estaba entre lo más esperado del 2019 en el Municipal de Santiago, y no sólo no defraudó y fue muy aplaudido por el público en cada función, sino además ha sido elogiado por los críticos como uno de los mejores espectáculos operísticos de los últimos años. Como cuarto título de su temporada lírica, el debut en Chile a fines de agosto de Rodelinda, de Händel, superó las expectativas, y puede ser considerado como un verdadero hito. De partida, porque era la primera vez en sus más de 160 años que el Municipal presentaba en su escenario, y como parte de la temporada oficial, una ópera barroca; hace casi una década, en 2010, estaba programado el estreno de otra de las obras más famosas del mismo autor, Alcina, pero por los daños causados en el edificio por el terremoto de ese año las funciones finalmente debieron realizarse en otro teatro, de modo que esta era la segunda ópera barroca que ofrece el Municipal, pero la primera en el teatro mismo. 

En Chile, afortunadamente en especial a lo largo de la última década se han empezado a estrenar óperar barrocas en distintos escenarios -por ejemplo, los elogiados debuts de Orfeo de Monteverdi en 2009 y Platée de Rameau, en 2015-, pero aún faltaba el Municipal, donde al menos sí se habían presentado agrupaciones emblemáticas de esta corriente, como Les Arts Florissants, o solistas como el contratenor francés Philippe Jaroussky en 2017. Casi tres siglos después de su estreno mundial en Londres en 1725, el debut local de Rodelinda se ofreció en una versión con algunos recortes, con sus tres actos originales repartidos acá en dos partes con un intermedio, conformando en total menos de tres horas incluyendo el intervalo. 

La producción que ofreció el Municipal, originalmente estrenada el año pasado en la Ópera de Lille -y que además se puede ver completa en YouTube y precisamente en estos meses será editada internacionalmente en DVD y Blu-ray-, fue un verdadero acierto. El mérito fue de un equipo francés encabezado por el director escénico Jean Bellorini, quien también estuvo a cargo de la sugestiva iluminación y desarrolló la escenografía junto a Véronique Chazal. Bellorini viene originalmente del teatro, y eso se nota, porque su montaje es dinámico, ingenioso y, aunque se trata de un drama, también juguetón, porque el director entiende que estas historias de intrigas palaciegas y vaivenes sentimentales no pueden ser tomadas al pie de la letra, y también tienen elementos que pueden ser mirados con ironía y comedia, siempre que no se traicione su esencia. Se apostó por un marco atemporal, donde hay referencias al pasado histórico gracias a los toques de un lucido vestuario de Macha Makeïeff, pero el minimalismo y los juegos de luces dan a entender que podría suceder en distintas épocas, incluso en tiempos actuales. Bellorini optó por contar la historia al espectador a través del personaje silente del hijo de Rodelinda y Bertarido, Flavio (interpretado acá por la niña María Prudencio), quien aparece en distintos momentos en escena y además con su rostro proyectado en el fondo del escenario. Por lo mismo, hay elementos que se pueden entender como vistos mediante la mirada infantil, como el tren de juguete que atraviesa la escena en algunos instantes, las habitaciones de reducido tamaño que constantemente se mueven de un extremo a otro, los muñecos que representan a los protagonistas, o las medias que en algunos momentos usan cubriendo sus rostros. Una producción digna de aplausos, incluyendo al personal escénico del Municipal que logró llevarla a cabo con precisión en cada función. 

Y si lo visual y teatral fueron resueltos de manera tan memorable, lo musical no fue a la zaga, siendo el complemento perfecto. Con una destacada carrera en la dirección coral en importantes agrupaciones germanas, incluyendo diversas partituras de Händel, el alemán Philipp Ahmann debutó en Chile dirigiendo por primera vez esta obra, y sin embargo dio la impresión de conocerla desde hace mucho tiempo, por la sólida respuesta que consiguió de la Filarmónica de Santiago, en una formación más reducida en su cantidad de integrantes, adecuada al repertorio barroco. Considerando que no es una orquesta especialista en este tipo de música, es muy meritorio lo que se consiguió en términos de armonía y fluidez sonora, y al mismo tiempo Ahmann supo manejar el equilibrio entre el foso y el escenario, siempre atento a los cantantes. Para complementar los magníficos logros musicales, se contó con un prestigioso clavecinista acompañante como invitado, Fernando Aguado, y un excelente reparto vocal, encabezado por dos intérpretes venidos de España. De partida, la soprano Sabina Puértolas, quien debutara en Chile en 2017 como Gilda en Rigoletto, fue una espléndida Rodelinda, por estilo de canto y entrega actoral; generosa en matices y detalles, segura en las agilidades, brilló especialmente en sus ascensos al agudo, donde su voz suena particularmente diáfana y cristalina.

No era la primera vez que un contratenor cantaba en la temporada lírica del Municipal, pues en 2007 ya el coreano David DQ Lee interpretó en El murciélago al príncipe Orlofsky, rol habitualmente cantado por mezzosopranos. Pero en la ópera barroca los contratenores son esenciales, y en Rodelinda no sólo es necesario uno, sino dos: en este montaje en Chile, en el rol de Bertarido, un verdadero lujo, pues se contó con uno de los intérpretes más cotizados en su cuerda a nivel internacional, el catalán Xavier Sabata, en su debut local. Quizás el timbre o el color de la voz sean menos convencionales que los de otros colegas, en particular en la zona aguda, pero el despliegue vocal y escénico de Sabata es en verdad deslumbrante, sutil y refinado en los momentos más introspectivos, lleno de energía y bravura en los pasajes de agilidad. Por su parte, aunque el papel de Unulfo es quizás el más secundario de los seis solistas vocales en esta obra, el sudafricano Christopher Ainslie supo sacarle partido, con voz atractiva, sentido estilístico y desenvuelta y vivaz entrega actoral. 

El tenor argentino Santiago Bürgi, presente en todas las últimas temporadas del Municipal desde 2015 con un ecléctico repertorio -La carrera de un libertinoLa condenación de FaustoLa cenerentolaDon Giovanni y hace dos meses con Così fan tutte-, fue ahora Grimoaldo, quien tiene el arco dramático más amplio de la obra; aunque no es totalmente rotundo en algunas notas o ciertas soluciones vocales, el intérprete trasandino cantó con resolución, sorteó con inteligencia las exigencias musicales y es un actor eficaz que logró el muy particular tono del personaje. 

El secuaz de Grimoaldo, Garibaldo, fue el barítono Javier Arrey, intérprete chileno cada vez mejor posicionado a nivel internacional, tras sus debuts en escenarios tan cotizados como la Ópera de Viena y el MET de Nueva York. No cantaba una ópera en el Municipal desde la Madama Butterfly de 2015, y aunque el personaje suele ser abordado por voces más graves que la suya, esto no fue un problema para él, quien se lució con un canto firme y buena proyección, conformando además a un villano elegante y de tonos irónicos. Completando el sexteto de protagonistas, la mezzosoprano italiana Gaia Petrone, de cálida voz especialmente rica en sus tonos medios, fue una intensa y aguerrida Eduige. 



Considerando los difíciles momentos que ha estado atravesando el Municipal en los últimos meses por sus problemas financieros, fue casi un verdadero milagro poder asistir a una Rodelinda como esta. Ampliando el repertorio para ofrecer títulos que sean una novedad para los operáticos locales, con altísimo nivel artístico, una puesta en escena de indiscutible calidad, cantantes de prestigio internacional que pueden ser un aporte para la escena local, e incluyendo a al menos un artista chileno en su reparto en un rol principal, es una demostración de cómo podrían y deberían ser siempre las cosas en el principal escenario lírico de Chile. 

Prism de Ellen Reid en el Teatro Municipal de São Paulo, Brasil


Fotos: Teatro Municipal de São Paulo 

Fabiana Crepaldi

El 4 de septiembre, el Teatro Municipal de São Paulo fue el escenario del estreno internacional de la ópera Prism, ganadora de la edición 2019 del Premio Pulitzer de Composición Musical. Compuesta por Ellen Reid, con libreto de Roxie Perkins. Prism se estrenó en Los Ángeles a fines del 2018. Al abordar las marcas dejadas por la violencia sexual contra las mujeres, la obra se estrenó en Estados Unidos en tiempos de #MeToo y en Brasil en el año en que un congresista que pronunció la frase "Simplemente que no te violen porque no lo mereces" fue ascendido a presidente de la república. En el libreto, la cantidad de descripciones excede la de los diálogos. En consecuencia, en Prism, la representación teatral, las sensaciones creadas musicalmente y el uso de los colores juegan un papel fundamental en la construcción de la narrativa. El primer acto ocurre en el lugar donde Bibi (soprano), de años, vive con su madre Lumee (mezzo-soprano), quince años mayor. Usando colores y una serie de rituales que crea, Lumee manipula la memoria de Bibi y la abraza física y psicológicamente, convenciéndola de que ya no puede caminar. Pero Bibi comienza a sentirse obligada a explorar recuerdos pasados. En el segundo acto, con la ayuda de Chroma, una especie de voz interior, "doblada" por el coro oculto y representada físicamente por bailarines, Bibi reconoce el trauma que sufrió hace ocho años. Sin embargo, no es un simple recuerdo: el presente y el pasado se mezclan. Vemos a través de la memoria de Bibi, quien gradualmente recuerda el abuso sufrido cuando su madre la dejó sola en una discoteca decadente. Luego, en el tercer acto, Bibi puede ver cuán degradado es el entorno en el que vive con su madre. Finalmente se libera y se aleja. Prism puede ser enfrentado por varios prismas. Prism ha sido un gran desafío: una ópera producida por mujeres, otra, Beth Morrison, que ganó un raro reconocimiento en el teatro lírico contemporáneo. En San Pablo, fue la segunda ópera compuesta por una mujer que se interpreta en los 108 años del Teatro Municipal. Sin embargo, no logró romper la barrera de la dirección: en Los Ángeles y Sao Paulo debutó bajo conductores masculinos. Es un consenso acusar al género de misoginia. Como observa Charlotte Higgins en su artículo "¿Es la forma de arte más misógina?" Las mujeres que transgreden son ejecutadas por su apetito sexual ". En el caso de Prism, fue gracias al apetito sexual que Lumee dejó a su hija sola a merced del abusador, y Lumee es castigada. No con la muerte como Salomé, Violetta o Carmen, sino con la violación y la culpa de su propia hija. En cuanto a Bibi, ella también es castigada por 'pecado original', aunque al final puede liberarse. Pero ¿quién se atreve a acusar el trabajo de dos mujeres como misógino e inspirado por sus experiencias personales? Para citar nuevamente a Higgins, “la ópera es la forma por excelencia, no de argumentación como teatro, no de historia como película, no de personaje como TV, sino de emoción. La ópera es la forma de arte de la catástrofe humana, el heredero del manto de los aspectos más oscuros de la tragedia griega”. Esto es lo que hace Prism al tratar profundamente la angustia de dos mujeres. El terreno explorado por la obra es mucho más profundo que un castigo moralista. La trama tiene lugar en el campo de las emociones. La producción de nuevas óperas. En su libro "A History of the Opera", Carolyn Abbate y Roger Parker, señalando el creciente número de transmisiones en vivo, señalan que "en cierto sentido, la ópera está floreciendo". Pero con "una abrumadora mayoría de trabajos pasados". Para ellos, existe un "pesimismo cultural ... que hace que la escena operística sea tan diferente de sus formas afines, como el romance, el cine o las artes visuales, en la que lo nuevo compite constantemente y con los viejos. " Es encomiable que la dirección del Teatro Municipal, en un año sin buenas producciones en casa, tuviera la voluntad de identificar una buena obra contemporánea.
No es de extrañar que Ellen Reid haya sobresalido como compositora. En Prism se puede identificar el lenguaje de Reid, el coro entre lo sagrado y lo etéreo, el uso de glissando, varios tonos y líneas melódicas fragmentadas donde el lirismo se mezcla con frases disonantes. La amplificación y la mezcla del sonido son parte de su composición. El Teatro Municipal presentó la producción original de James Darrah y el mismo elenco que el estreno de Los Ángeles. Funcional, el diseño del set de Adam Rigg no ha perdido su sentido de la estética, incluso al retratar entornos degradados. Como podría esperarse en una obra cuyo título menciona la descomposición de la luz, la poderosa iluminación de Pablo Santiago jugó un papel clave. Las actuaciones de los dos grandes solistas fueron completas y radicales: vocal y escénica: la soprano Anna Schubert, que vivía en Bibi, y la mezzosoprano Rebecca Jo Loeb, Lumee. Perteneciente a diferentes tradiciones de canto, Jo Loeb tiene una expresión vocal más estrechamente vinculada al repertorio de ópera tradicional, mientras que Schubert revela una mayor proximidad a la sonoridad del repertorio estadounidense del siglo XX. Esta sutil diferencia de estilo se suma a la diferencia natural en su timbre y tono, destacando no solo la distinción entre las edades de los personajes, sino también personalidades dispares con aspiraciones conflictivas. Los participantes de la casa también lo hicieron bien. Fue conmovedor para Chroma del Coral Paulistano, dirigido por Naomi Munakata. Bajo la dirección de Roberto Minczuk, los catorce músicos de la Orquesta Sinfónica Municipal que participaron en la producción tuvieron una interpretación en la que destacaron varios solos.

Don Pasquale en el Teatro Colón de Buenos Aires



Fotos: Prensa Teatro Colón /Máximo ParpagnoliPrensa Teatro Colón / Arnaldo Colombaroli.

Gustavo Gabriel Otero
Twitter: @GazetaLyrica

Buenos Aires, 24/09/2019. Teatro Colón. Gaetano Donizetti: Don Pasquale. Ópera en tres actos. Libreto de Giovanni Ruffini. Fabio Sparvoli, dirección escénica. Enrique Bordolini, escenografía e iluminación. Imme Möller, vestuario. Nicola Ulivieri (Don Pasquale), Jaquelina Livieri (Norina), Santiago Ballerini (Ernesto), Darío Solari (Doctor Malatesta), Mario de Salvo (Un Notario). Orquesta y Coro Estable del Teatro Colón. Director del Coro: Miguel Fabián Martínez. Dirección Musical: Srba Dinić.

El Teatro Colón presentó, en nueva puesta en escena, Don Pasquale de Donizetti con adecuado nivel de calidad. La Orquesta Estable bajo la conducción de Srba Dinić fue segura y ajustada. Nicola Ulivieri como Don Pasquale no logró dar al personaje todo el realce y la comicidad que requiere, quizás su registro de bajo-barítono no sea el mejor para poder encarnar con justicia al anciano protagonista. Darío Solari compuso un doctor Malatesta adecuado pero sin ningún rasgo para destacar. Jaquelina Livieri se aseguró un nuevo triunfo artístico con esta Norina cantada con seguridad, estilo y adecuada resolución de las coloraturas. Santiago Ballerini demostró su perfecta línea belcantística, su refinamiento expresivo y su bello color vocal a la par de su impecable llegada al agudo. Correcto resultó Mario de Salvo en su breve papel del Notario, así como el Coro Estable que dirige Miguel Martínez. La puesta de Fabio Sparvoli sólo subraya lo esencial de la trama y no profundiza en la comicidad. La caracterización de Don Pasquale no como un anciano de casi 70 años sino sólo un poco más grande que Norina y Ernesto no ayuda a la obra, hace perder comicidad y descarta un punto fundamental: la seducción que genera una joven en un anciano. El vestuario de Imme Moller es de una modernidad vaga e irreal y sin un anclaje temporal preciso. Enrique Bordolini plasma una escenografía demasiado esquemática. Es una estructura de madera, sin paredes, sin interiores ni exteriores, prácticamente sin adornos que delimita las acciones y que con muy pocos cambios da marco a todas las escenas; finalmente causa monotonía en conjunción con una iluminación correcta pero sin nada para destacar.



Friday, October 4, 2019

Plácido Domingo ¿el ocaso de una estrella?

Crédito fotográfico: ATTILA KISBENEDEK/AFP/Getty Images

Este articulo de reproduce con la amable autorización de la agencia de noticias NOTIMEX 

Por José Noé Mercado


[Uno de los más reconocidos críticos del entorno de la música clásica en México, a petición de esta zona cultural de Notimex, nos entrega el reporte completo, hasta el día de hoy, del arduo caso Plácido Domingo que sólo en dos meses ha movido ?sacudido, resquebrajado, zarandeado? el piso de los escenarios de la ópera en el mundo.]


1. Preludio
El abrupto y penoso final de la legendaria carrera lírica de Plácido Domingo en la Metropolitan Opera de Nueva York (51 años de presencia consecutivos: 706 funciones como cantante, 169 como director musical) se anunció el martes 24 de septiembre de 2019 y resulta muy significativo porque se trata de uno de los escenarios artísticos más emblemáticos del planeta y, sin duda, la referencia norteamericana para cualquier teatro o artista de ópera en el mundo: el mensaje y su simbolismo han sido enviados.

Ése es el más reciente capítulo, aunque de seguro no el último, de un escándalo triste, doloroso, inconcebible para muchas personas, en el que el cantante, concertador y director artístico madrileño de 78 años de edad ha sido señalado por presuntos acosos sexuales, y que está logrando lo que no pudieron las décadas de trayectoria escénica y reto vocal, los más demandantes y diversos repertorios, públicos y teatros mundiales, así como ciertos momentos de enfermedad y flaqueza de algunos de los géneros musicales que abandera: precipitar el ocaso de una estrella de incuantificable talento, de probada rentabilidad comercial, de ostentoso cariño y admiración de la gente.


2. Acto primero
La mañana del pasado 13 de agosto la agencia estadounidense de noticias Associated Press (AP) publicó un reportaje firmado por la periodista Jocelyn Gecker en el que nueve mujeres, ocho de ellas cantantes y la otra bailarina, señalaron a la leyenda operística Plácido Domingo por presunto acoso sexual.

De los nueve testimonios sólo uno, el de la mezzosoprano retirada Patricia Wulf, se publica con nombre y apellido. Los otros ocho, sin ser anónimos, prefirieron mantenerse al amparo de la confidencialidad periodística por temor al escarnio público, represalias o porque todavía se mantienen activas en el mundo lírico.

En conjunto, los relatos configuran una presunta conducta recurrente de Plácido Domingo que se remite hasta 30 años atrás: toqueteos y besos indeseados a las supuestas víctimas, insistentes llamadas personales incluso en horas de la madrugada, frases acosadoras, la presión de índole sexual para obtener beneficios en sus carreras o, bien, el bloqueo o la afectación de las mismas. Una forma de actuar calificada en los testimonios como “un secreto a voces”.

El reportaje de AP también incluye una respuesta general de Domingo, quien declinó referirse a cada uno de los casos de manera específica, inquirido por la agencia a fin de ofrecer su testimonio sobre los señalamientos.

“Las acusaciones de estas personas anónimas que se remontan hasta tres décadas atrás son profundamente preocupantes y, tal como se presentan, imprecisas. Aun así, es doloroso oír que he podido molestar a alguien o hacerles sentir incómodos, da igual cuánto tiempo haga de ello y a pesar de mis mejores intenciones”, respondió el artista antes de puntualizar: “Creía que todas mis interacciones y relaciones siempre eran bienvenidas y consensuadas. Las personas que me conocen o que han trabajado conmigo saben que no soy alguien que intencionalmente dañaría, ofendería o avergonzaría a nadie. Sin embargo, reconozco que las reglas y estándares por los cuales somos y debemos ser medidos hoy son muy diferentes de lo que eran en el pasado. Tengo la suerte y el privilegio de haber tenido una carrera de más de 50 años en la ópera y me mantendré en los más altos estándares”.

Según consigna AP, media docena de mujeres más relataron a la agencia proposiciones incómodas de parte de Plácido Domingo y otras tres docenas de testimonios de gente del medio operístico, desde cantantes a tramoyistas, aseguraron haber sido testigos del comportamiento sexual inapropiado del español y de la manera en que perseguía a jóvenes cantantes de manera recurrente e impune.


3. Acto segundo
Las reacciones a este huracán informativo en torno a una de las figuras más icónicas y poderosas de la ópera contemporánea no se hicieron esperar y aún se vislumbra lejano el punto final.

El mediodía de ese mismo 13 de agosto, la Asociación de Orquestas de Filadelfia hizo pública su decisión de retirar la invitación a Plácido Domingo para que participara en su concierto inaugural del 18 de septiembre por los testimonios de acoso sexual en su contra publicados por AP. “Estamos comprometidos para proporcionar un entorno seguro, solidario, respetuoso y apropiado para la Orquesta y el personal, para artistas y compositores, colaboradores, y para nuestro público y nuestra comunidad”, expresó la asociación en un comunicado difundido a través de su cuenta de Twitter.

Casi de manera simultánea, la Ópera de San Francisco (SFO) anunció la cancelación de un concierto con Plácido Domingo previsto para el 6 de septiembre, que celebraría los 50 años del cantante en esa casa lírica. “La decisión de cancelar el concierto se ha tomado tras las informaciones recientes sobre múltiples acusaciones de acoso sexual”, informó la SFO en un comunicado donde explicaba: “Aunque los supuestos incidentes no tuvieron lugar en la Ópera de San Francisco, la compañía no puede presentar al artista por su compromiso con los estándares más altos de conducta profesional”.

La Ópera de Los Ángeles (LAO), de la cual Domingo dimitió hace dos días y en donde fungía como director artístico desde 2003, fue en donde habrían ocurrido la mayor parte de los hechos señalados por los testimonios publicados por AP, anunció una investigación interna a Plácido Domingo por las acusaciones de presunto acoso sexual en su contra. “La Ópera de Los Ángeles tiene robustas políticas de recursos humanos y procedimientos en vigor. De acuerdo con esas políticas, la Ópera de los Ángeles contratará asesoramiento externo para investigar las preocupantes acusaciones sobre Plácido Domingo”, expresó en un comunicado.


4. Acto tercero
El resto de la agenda artística de Plácido Domingo se mantuvo sin cambios, siendo ratificadas sus actuaciones en el Festival de Salzburgo el 25 y 31 de agosto en la ópera Luisa Miller de Giuseppe Verdi. Helga Rabl-Stadler, presidenta del festival, declaró que para ella siempre rige el principio de in dubio pro reo, locución latina que expresa el principio de que ante la falta de pruebas se debe favorecer al acusado. “Considero objetivamente incorrecto y humanamente irresponsable tomar un juicio definitivo en este momento y adoptar decisiones sobre esa base”, subrayó la directiva.

Otros teatros europeos, como el Real de Madrid, el Liceo de Barcelona, la Royal Opera House de Londres o la Ópera Estatal de Viena, mostraron su apoyo al artista español, y otros más, entre ellos el Met de Nueva York en ese momento, sentaron su postura en el sentido de esperar el resultado de la investigación de LAO antes de tomar cualquier decisión.

Diferentes voces del ámbito operístico, principalmente directivos o cantantes que han surgido o trabajado al lado de Plácido Domingo a lo largo de los años como Anna Netrebko, Ainhoa Arteta, María José Montiel, Marian Peller, Virginia Tola, María Katzarava, Adriana González, Javier Camarena, Arturo Chacón o Fernando de la Mora, salieron en su defensa argumentando la caballerosidad, el respeto, la generosidad y el profesionalismo artístico que el madrileño ha tenido con ellos.

Numerosas opiniones, de la más disímil seriedad y responsabilidad, a favor o en contra de Plácido Domingo, con y sin fanatismo, acreditando o desacreditando los testimonios de denuncia y a las mujeres a las que pertenecen, se han expresado no sólo en redes sociales sino de igual forma en medios de comunicación formales. Para el escritor español Javier Marías, por ejemplo, la cobertura del caso ha sido exagerada y su paisano, en todo caso, sería sólo “un ligón”, tal vez un “pelmazo”, como lo escribió en su columna del 14 de septiembre en “El País Semanal”, mientras que quienes denuncian sin revelar su nombre serían “delatores” alentados por la prensa, los Estados y la policía, instancias que pueden convertir a los ciudadanos en “soplones anónimos y arbitrarios”.

Algunos análisis, desde luego menos atrabiliarios, han reparado en la naturaleza informativa del reportaje de AP, en su transparente metodología y en las medidas protocolarias con las que los grandes medios de comunicación de Estados Unidos como The New York TimesThe New YorkerThe Washington Post y la propia AP (que cuenta con 53 Premios Pulitzer en su historia) han cubierto con profesionalismo casos similares donde se involucran personajes con fama, poder y dinero. Incluso, antes que el de Plácido Domingo, han cubierto importantes casos de presunto acoso, abuso sexual o violación en el ámbito musical clásico: James Levine, Philip Pickett o David Daniels. Ahora se suma el caso del tenor italiano Vittorio Grigolo, suspendido de inmediato por la Royal Opera House de Londres (y cancelado en consecuencia para actuar en el Met de Nueva York) por un presunto tocamiento sexual ocurrido en contra de una corista el 18 de septiembre en pleno escenario, a telón bajado y frente a testigos de la producción, durante una gira de la compañía inglesa en Japón.

El 20 de agosto la Ópera de Los Ángeles anunció que la abogada Debra Wong Yang, de la firma Gibson, Dunn & Crutcher, se haría cargo de la investigación anunciada en el caso de Plácido Domingo de forma inmediata.


5. Acto cuarto
Cuando después del vendaval parecía que llegaba cierta calma, el pasado 4 de septiembre AP publicó once nuevos testimonios de mujeres que se sumaron a las denuncias de comportamiento indebido y acoso sexual de parte de Plácido Domingo. Nuevamente, la agencia resguardó el nombre de las supuestas víctimas, excepto el de la soprano Angela Turner, quien trabajó con Domingo en Le Cid de Jules Massenet en la temporada 1999-2000 de la Ópera de Washington, de la que el madrileño era director artístico.

De nueva cuenta, en los testimonios salieron a relucir manoseos no deseados de parte de Domingo, insistencia en acordar citas no profesionales, persistentes llamadas telefónicas nocturnas, repentinos besos o caricias indeseadas y hasta dolorosas. De igual manera se consignan relatos de diversos trabajadores de la industria lírica, entre ellos el de Melinda McLain, coordinadora de producción a finales de los ochenta en LAO, quien asegura haber hecho un esfuerzo por no poner a mujeres jóvenes a ensayar a solas con Plácido Domingo, incluso si él lo pedía. El testimonio afirma que ponían en marcha estrategias para mantener alejado al tenor de ciertas cantantes, de evitar que fueran a su camerino o, bien, invitar a su esposa, Marta Ornelas, a las diversas reuniones ya que supuestamente así el cantante se comportaba.

La portavoz del artista, Nancy Seltzer, expresó: “Debido a la investigación en marcha, no vamos a comentar en detalle, pero rechazamos enérgicamente la imagen engañosa que AP está intentando dar del señor Domingo”, y subrayó que los últimos señalamientos “están llenos de incongruencias y, al igual que el reportaje inicial, en muchos aspectos simplemente equivocados”.

El pasado 6 de septiembre la Ópera de Dallas (TDO) anunció a través de un comunicado difundido en sus redes sociales la cancelación de una gala con el astro lírico español: “A la luz del desarrollo con respecto a las acusaciones hechas contra Plácido Domingo, TDO ha decidido cancelar la gala del 11 de marzo de 2020 en la que estaba programado para presentarse”.

Días después, el 9 de septiembre, el American Guild of Musical Artists (AGMA), sindicato que representa a cantantes y otros trabajadores de la industria musical estadounidense, anunció su propia investigación, ya que dijo no confiar en que las compañías de ópera indaguen lo suficiente o que den a conocer el resultado puntual de sus pesquisas. Esta investigación, expresó AGMA en su comunicado, no se limitará a un teatro o momento específico, sino examinará las fallas sistemáticas de la industria que hayan permitido los abusos, y será encabezada por el abogado, ex fiscal federal, J. Bruce Maffeo de la firma Cozen O’Connor.


6. Acto quinto
La salida de Plácido Domingo de la producción de la ópera Macbeth de Giuseppe Verdi (título que acarrea la fama de tener jettatura; es decir, mala suerte), que presentó de cualquier manera el Met de Nueva York con el barítono serbio ?eljko Lu?i? como sustituto del cantante español y la soprano rusa Anna Netrebko (sonriente en una fotografía compartida en sus redes sociales con el director artístico del coso neoyorquino, Peter Gelb, como antes posara con Domingo al apoyarlo), resulta un punto climático en el caso, no sólo por la relevancia del recinto sino por la normalidad con la que el programa parece que va a continuar pese a que una de las grandes estrellas operísticas de la historia ha tenido que irse por la puerta de atrás.

En Europa no ha habido cancelaciones. En México se tenía previsto que Plácido Domingo recibiera el Premio Batuta 2019 a la excelencia musical, que mañana, 5 de octubre, sería entregado al madrileño (y a los directores de orquesta Enrique Bátiz, Lizzi Ceniceros y Carlos Esteva; los compositores Michael Nyman, Leo Brouwer, Edesio Alejandro, Venus Rey Jr. y Sergio Berlioz; la soprano Irasema Terrazas, la mezzosoprano María Luisa Tamez, el pianista David Rodríguez de la Peña, el violinista Jorge Saade-Scaff y el flautista Horacio Franco) en la Sala Roberto Cantoral, de la Ciudad de México, bajo la organización del Premio Batuta de Coros de México Orquesta Sinfónica que encabeza el director René Platiní Godínez Castro. Dentro del contexto de dicho galardón, durante el día de ayer se anunció la ausencia de Domingo en la ceremonia de premiación.

En todo caso, se llegue o no a instancias judiciales que es el baremo que algunas personas piden para tener certezas, aunque es claro que no todo lo cierto o falso de la vida pasa por un tribunal de justicia, es deseable que el asunto se esclarezca lo más pronto posible; no sólo porque es verdad que el prestigio de uno de los grandes artistas de nuestro tiempo ha sido expuesto a todo tipo de linchamientos, sino porque, al mismo tiempo, como expresó Brad Hoylman, senador demócrata por el Distrito 27 de Nueva York, palabras que en conjunto con el rechazo de los grupos artísticos del teatro motivaron la separación de Domingo de la Metropolitan Opera: “Deberían estar pensando no sólo en su celebridad y poder de estrella, sino en las 20 mujeres que supuestamente han presentado quejas. El Met tiene la obligación de garantizar la seguridad y el bienestar de sus empleados y me preocupa que, si no se toman medidas al respecto, este asunto podría disuadir a futuros empleados de presentarse”.

Y es claro que un asunto como éste no concierne a un solo teatro, país o artista. Casos de esta naturaleza son relevantes, y para el periodismo serio también deberían serlo, porque como escribió la periodista María Ramírez en un artículo publicado el 16 de agosto en el periódico digital eldiario.es: investigar tan a conciencia es importante “por las consecuencias que tiene una forma de abuso de poder especialmente habitual e invisible en sectores donde se mueven fama, fortuna y a veces dinero público. Esto no es un debate de costumbres: estamos hablando del efecto de acosadores (o autores de delitos más graves) en las vidas y las carreras de personas en sectores con impacto en nuestra sociedad. No se trata de ‘babosos’, en la versión eufemística más suave, o de unos acosadores cualquiera. Se trata de personas que controlan los recursos y la atención de un sector y que con su ejemplo ayudan a dar forma a una cultura. Cada caso es único y no todos se investigan igual, pero el patrón se repite y refleja una cultura de disculpa, protección o incluso aliento de los abusos de poder. Una cultura que empieza a estar superada en algunos lugares y que en otros en cambio se resiste a morir”.