Tuesday, May 21, 2024

L'Olandese Volante - Teatro Regio di Torino

Foto:© Daniele Ratti

Massimo Viazzo

L’Olandese Volante di WIlly Decker (ripreso per l’occasione da Riccardo Fracchia) è un allestimento ben conosciuto andato in scena per la prima volta a Parigi un quarto di secolo fa e già visto al Teatro Regio di Torino nel 2012. Si tratta di un Olandese Volante non descrittivo e non calligrafico, che non si basa su una narrazione scontata e risaputa. Mare e vascello si intuiscono appena, essendo il regista tedesco più interessato al sottotesto psicologico del libretto wagneriano. Decker imposta così il suo spettacolo sull’evocazione dei due mondi, quello reale, materiale e quello fantastico, onirico, immaginario, che vengono posti in comunicazione tramite una gigantesca porta bianca posta sul lato destro del palcoscenico, senza bisogno di elementi scenici particolarmente significativi. Ci sono solo tavoli, sedie, funi e poco altro per un allestimento davvero minimalista ma estremamente suggestivo in cui è la musica ad essere la vera protagonista. D’altronde è proprio con quest’opera, eseguita per la prima volta a Dresda nel 1843, che Richard Wagner inizia ad utilizzare in modo sempre più consapevole la tecnica del Leitmotiv, una tecnica che affinerà in seguito consentendogli di trasformare a poco a poco l’orchestra nella voce interiore dei suoi personaggi con uno scavo psicologico senza precedenti. Si sarebbe potuto optare per la prima e più rara versione dell’opera, quella andata in scena al Königliches Hoftheater di Dresda il 2 gennaio 1843 sotto la direzione del compositore stesso, il quale in seguito rielaborò la partitura alleggerendo la strumentazione e aggiungendo il Leitmotiv della redenzione sia alla fine dell’Ouverture che alla fine dell’opera, per arrivare a quell’esecuzione in un atto unico (senza intervalli) tanto desiderata e predisposta infine da Cosima Wagner nel 1901. Scrivevo che sarebbe stata forse più adatta la versione di Dresda perché nello spettacolo di Decker non c’è redenzione.  Senta lotta fin dall’inizio con le sue nevrosi. È il suo subconscio malato che genera illusioni, fantasmi e che alla fine la porterà al delirio e al suicidio. Tutto ciò che si riferisce alla leggenda dell’olandese volante non è nient'altro che la proiezione mentale della sua psiche instabile. Senta resta così la vera protagonista ed infatti è subito in scena all’inizio dell’opera. Nathalie Stutzmann, ben nota anche per la sua carriera di contralto nel repertorio antico e che nelle vesti di direttrice d’orchestra ha già lavorato a Bayreuth, imposta una direzione impulsiva, incalzante, ma a tratti un po’ pesante.E l’equilibrio tra fiati e archi non è stato raggiunto in modo ottimale, forse anche per la mancanza di consuetudine dell’orchestra con questo repertorio. L’ultimo titolo wagneriano al Regio, Tristan und Isolde, risale infatti al 2017. Brian Mulligan ha impersonato con piglio e carattere un Olandese credibile. Dalla voce ben impostata e solido nella conduzione della linea musicale, il baritono americano ha convinto anche per presenza scenica. Forse gli è mancata solo una maggior finezza di fraseggio. Ottima anche la Senta di Johanni Van Oostrum, soprano lirico che ha mostrato una certa facilità a salire nel registro acuto. La sua è stata una Senta intensa, di bell’accento, ma un po’ debole nei centri. Robert Watson ha dato voce ad un Erik vigoroso ma di timbrica un po’ legnosa e dalla linea di canto un po’ monocorde. Purtroppo Gidon Saks (Daland) era indisposto e nonostante questo ha partecipato alla recita ma la sua prova non è giudicabile pur intuendo le sue indubbie qualità. Adeguato l’apporto di Annely Peebo nei panni di Mary, mentre Matthew Swensen ha cantato in modo esemplare la parte del Timoniere con la sua voce di tenore lirico e con una dizione limpida. Straordinaria, infine, la prova del Coro del Teatro Regio rinforzato per l’occasione dal Coro Maghini, entrambi sotto la direzione attenta e precisa di Ulisse Trabacchin.



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