Giosetta Guerra
Tutti bravi sia vocalmente che scenicamente gli artisti di Manon Lescaut di Giacomo Puccini al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena, con una punta di eccellenza per i due protagonisti, Amarilli Nizza (Manon) e Walter Fraccaro (De Grieux). Il soprano Amarilli Nizza, dotata di voce importante e duttile, di eccellente tecnica vocale e di grandi doti interpretative, riesce a toccare vertici di indiscussa bellezza in ogni registro e a dare la dimensione della sensualità, della frivolezza, della passione e del dramma nelle differenti situazioni. Nella romanza “In quelle trine morbide” la densità del suono nel registro medio e grave si scioglie in lunghi acuti e in aerei splendidi filati sostenuti. Nello scambio di effusioni con il suo amato, penetrato furtivamente nella casa dell’amante di lei, le voci sono lanciate al massimo come in un grido disperato che la Nizza in parte addolcisce. In “Sola, perduta, abbandonata” lo strazio, la disperazione emergono grazie all’intensità dell’interpretazione.
Il tenore Walter Fraccaro, in possesso di una vocalità sana e robusta, ampia ed estesa, canta di fibra e non conosce ostacoli, ha una canna infuocata e una marea inesauribile di voce e il canto sgorga come un fiume in piena dall’inizio alla fine, per disegnare un De Grieux sanguigno, passionale e determinato, ma anche travolto dalla disperazione nel tragico finale. José Fardilha (Lascaut fratello di Manon) esibisce buona voce di baritono, sonora e ricca di armonici nelle grandi arcate, estesa e di buon peso, bella in zona grave, ampia e corposa in ogni registro.Alessandro Spina gestisce bene in ogni registro una voce di bella pasta scura e recita bene la parte del vecchio e sciancato Geronte (ma in realtà dovrebbe essere proprio un bel giovanotto). Ben timbrato e sonoro il mezzo vocale del basso Stefano Cescatti nel doppio ruolo dell’oste e del comandante di marina. Disinvolto in scena e bravo cantante il tenore Andrea Giovannini nel ruolo di Edmondo. Federica Carnevale (un musico) è un soprano con vibrato. Tutti si esprimono con dizione chiara.
Le scene della Fondazione del Teatro Massimo di Palermo (i nomi dello scenografo e del costumista non sono in locandina) sono datate e costantemente offuscate da un velatino, ma fedeli al libretto (taverna e diligenza nel primo atto, lussuosa camera di Manon nella casa di Geronte, con alcova, toilette, paraventi e una vasca da bagno dalla quale Manon si alza mostrando le sue nudità posteriori nel secondo; un cancello di ferro, una nave in attesa, un carcere nel terzo), tranne quella dell’ultimo quadro, che non è una landa sperduta ma un tetro canyon con fondale ora rosso ora blu ora con immagini del passato da ricca di Manon e totalmente nero con scomparsa della scena alla morte di lei; scene storiche riprese da Maestrini nel 1999 e che hanno fatto il giro del mondo. Belli i ricchi costumi settecenteschi della Sartoria Teatrale Arrigo di Milano, con parrucche di Mario Audello di Torino, naturalmente bianche per gli uomini e boccoli biondi ora raccolti in un’alta acconciatura ora fluenti per Manon. Responsabile degli allestimenti è Gianmaria Inzani e il direttore di scena Marco Galarini.
L’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, che dalla fossa mistica si dilata sui due palchetti di proscenio, esegue attentamente la lettura del direttore Gianluca Martinenghi, dall’espressione melodica dei sentimenti all’impasto sonoro e timbrico della passionalità nel primo atto, dal ricco tessuto orchestrale sotto il duetto di Manon col fratello nel ricordo dell’amante nel secondo atto, che si chiude su un ricamo musicale di assoluta delicatezza, al Preludio del terzo atto, dove la tristezza degli archi è seguita da un’esplosione di solennità che ricorda l’Intermezzo di Cavalleria Rusticana, dal progressivo crescendo di tensione del canto delle prigioniere e dell’implorazione di De Grieux del terzo atto all’introspezione psicologica dei personaggi nel quarto atto, dove domina il senso di solitudine e di disperazione. Possente il Coro Lirico Amadeus della Fondazione del Teatro Comunale di Modena, diretto da Stefano Colò. Funzionali le luci di Bruno Ciulli. Coerente al libretto la regia di Pier Francesco Maestrini, che rispetta la natura dei personaggi e nel secondo atto mette in scena la geriatria, giocando sull’arrugginimento delle articolazioni dei vecchi che circolano nel palazzo di Gerente. Spettacolo soddisfacente, che ha ottenuto il consenso del pubblico.
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