Foto: Edoardo Piva
Renzo Bellardone
Quando un titolo d’opera ricorre troppo spesso nei
cartelloni delle varie stagioni, il mio immaginario artistico li decodifica
come ‘abusati’ e di conseguenza talvolta
mi approccio con il senso del dejà vu; grazie a Dio però le mie dubbiose
attese vengono sovente smentite in
meglio, come è successo al Rigoletto di cui vado a raccontare le mie emozioni! Buio in sala e sul palcoscenico…solo la
luce di una lanterna squarcia il buio assoluto al suo ingresso in scena alle
prime vigorose note dell’ouverture e fin da queste si intende la vivacità
passionale dell’interpretazione direzionale che imprime Renato Palumbo, importante direttore, alla superba orchestra del
Teatro Regio di Torino. La scena realizzata con elegante
sobrietà da Francesco Frigeri, ha i colori dei dipinti di qualche secolo fa, ma
riadattati con soffuse tonalità
contemporanee. L’ambientazione voluta da John
Turturro, alla sua prima regia operistica, è cupa, come è cupamente atroce la vicenda,
che lascia spazio ai soli sentimenti di Rigoletto, ma che il fuoco dell’assenza
di scrupoli li annienta negli altri personaggi. Registicamente è interessante
per i movimenti molto curati e non banali, grazie anche a Cecilia Ligorio, regista collaboratore e già apprezzata in regie
anche ardue. L’unica mia perplessità è al finale quando si evidenzia il sacco che Rigoletto scopre realmente vuoto
e l’apparizione di Gilda che da sola, in preda agli ultimi affanni, si farà
avvolgere dal sacco funebre. Ottima la scena sempre avviluppata dai fumi
nebbiosi che ottenebrano Mantova e
veramente apprezzate le luci di Alessandro
Carletti, riprese da Ludovico Gobbi, con la scelta di tagli quasi geometrici per non intaccare con
alcuna morbidezza la cruda vicenda e suggestiva l’inquietante ed atroce alba con nudi alberi che si
stagliano alla luce angosciante di un nuovo, ultimo giorno. La casa di Gilda è semplice, ma traspare
una sorta di benessere dal letto ‘a barca’ probabilmente un Carlo x°; per
contro l’abitazione di Sparafucile è inclinata su un lato, ovvero storta, così
come non è lineare la vita che si
consuma all’interno: un uccisore prezzolato di professione e dalla sorella che
concupisce le vittime per offrirle alla lama della spada del fratello.
I momenti di divertimento scomposto a
palazzo ducale sono davvero ben congeniati anche con le coreografie misurate
ed efficaci di Giuseppe Bonanno, assistente Sara
Marcucci, esaltate dai costumi eleganti ed arditi di Marco Piemontese che molto donano all’insieme. Amartuvshin Enkhbat ,
recentemente scoperto prima al Coccia di Novara e poi in Arena a Verona nei
panni di Nabucco, lo ritroviamo qui in quelli del buffone di corte interpretato
con buona compenetrazione del personaggio vendicativo ed inasprito dalla
cattiva sorte; la voce è ben timbrata con ombreggiature tenebrose e scure.
Gilda, la figlia inutilmente tutelata e protetta incontra il soprano Gilda Fiume, che se la memoria non mi
tradisce, ascolto per la prima volta e che mi piace! Ha un bel colore dai
riflessi argentei e brillanti; non lesina le agilità senza perdere mai la
pulizia d’emissione e l’accoratezza narrativa. Iván
Ayón Rivas interpreta
adeguatamente il lussurioso duca di Mantova che fa del libertinaggio il suo
dissoluto modus vivendi, calpestando ogni sentimento proprio ed altrui per
qualche momento di fugace piacere: la voce è di volta in volta più calda ed il
tono si arrotonda man mano, raggiungendo bei momento di canto. Carmen Topciu è il mezzosoprano che interpreta Maddalena,
l’accalappiatrice di uomini per il piacere suo e per una manciata di soldi
spartiti con il fratello carnefice: piglio sicuro e voce ben timbrata calibra
gli atteggiamenti con sapiente incisività. Altra gradevole scoperta nel cast è Romano dal Zovo il quale interrompe improvvisamente la sua vita di
tecnico programmatore per seguire i consigli ricevuti e dedicarsi al canto, con
veloci gratificazioni che lo portano in breve a cantare in teatri prestigiosi a
fianco di mostri sacri della lirica; qui interpreta il perverso Sparafucile con
voce profonda e penetrante che incide l’animo; in sala ho sentito un commento
che ben caratterizza la sua interpretazione: “bello e dannato” . Per concisione
e sobrietà mi fermerei qui, con un unico generico plauso a tutti gli
interpreti i quali nei loro ruoli sono
stati apprezzati ed efficaci, senza alcuna nota di non apprezzamento e non gradimento. Sempre un risalto particolare va
assegnato al Coro del Teatro Regio
che con la direzione di Andrea Secchi, dona sempre interpretazioni di tutta
eccellenza. La Musica vince sempre.
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