Monday, May 7, 2018

Rossini raro e spassoso, al Civico di Vercelli - Italia

Foto Copyright:Stefania Piccoli

Attilio Piovano 

Davvero un bel modo, inconsueto e intrigante, quello prescelto da Camerata Ducale per rendere hommage a Rossini nel 150° della morte: affidare l’appuntamento dello scorso sabato 5 maggio, al Civico di Vercelli per Viotti Festival, alla voce di lusso e alle non comuni doti di performer del mezzosoprano Manuela Custer, ottimamente assecondata al pianoforte dal raffinato e colto Massimo Viazzo. Ai due versatili interpreti, entrambi dalla vasta esperienza e dal ricco palmarès artistico, il merito di aver ideato e confezionato ‘ad hoc’ un programma  singolare: non già pagine estrapolate dalle più celebri partiture teatrali (salvo un’unica eccezione), non un recital di evergreen operistici dunque, bensì un itinerario articolato in una sequela di brani vocali, tanto accattivanti quanto eterogenei. In abbinamento a gustose celie pianistiche dai cosiddetti Péchés de vieillesseNon basta: i due artisti non si sono ‘limitati’ ad interpretare egregiamente un programma che già da solo suscitava curiosità, bensì hanno saputo dar vita ad una soirée variegata, in bilico tra recital e vero e  proprio teatro musicale: grazie allo spiccato talento attoriale della Custer che ha intrattenuto il pubblico, ‘cucendo’ i brani l’uno all’altro, con spassosi aneddoti, argute interpunture, amabili riflessioni, spaziando entro un ragguardevole range di corde di recitazione (sa piegare la sua voce duttile ad accenti i più diversi, giocando su inflessioni dialettali, ora veneziane ora bolognesi, con irresistibile spasso). Viazzo, da par suo, le ha ben tenuto bordone introducendo con humour i brani pianistici (per lo più di rara esecuzione) che ha poi interpretato con tecnica impeccabile e bel tocco: brani che talora - ad onta di quanto sosteneva Rossini auto definendosi, con snobistico understatement, pianista di terz’ordine - richiedono invece doti di vero e proprio virtuoso. E allora, quanto a pagine vocali, ecco in apertura i toni fiabeschi e un po’ melanconici della Légende de Marguerite, in realtà il remake di Una volta c’era un re dalla popolarissima Cenerentola che la Custer ha reso al meglio, bamboleggiando poi nelle pagine di ispirazione infantile (Le Dodo des Enfants e La Chanson du Bébé) con mimica impagabile e la pantomima dello starnuto. Poi la spumeggiante Se il vuol la Molinara, frutto di un Rossini di appena nove anni, e svariate edizioni del metastasiano Mi lagnerò tacendo che hanno permesso alla Custer di mostrare il suo trasformismo vocale, dal tragico al semiserio e oltre, gli accenti iberici della Canzonetta spagnuola e dell’aitante À Grenade, il garbato pastiche dell’Arietta all’antica, e non è mancato nemmeno un ideale viaggio dall’Oriente (L’amour à Pekin) alla Venezia dell’Anzoleta avanti la regata, sulle orme a ritroso di Marco Polo. Sul versante pianistico Viazzo ha saputo spaziare con nonchalance e aristocratica sicurezza dalla dolce Caresse à ma femme ai toni lisztiani dell’impegnativo Memento Homo, dalla bizzarra (e invero modernissima) Marche et Réminiscences pour mon dernier voyage che richiede al pianista anche capacità di fine dicitore, nel citare le varie emersioni di temi operistici, giù giù sino al brillante Caprice Style Offenbach, ibridando altresì con tocco raffinato le mille armonie della geniale Ave Maria su due note. Il clou nel bis, il celeberrimo e sempre gradito Duetto buffo dei gatti dove i due interpreti, entrambi alla tastiera, si sono idealmente scambiate le parti suonando e cantando in un tripudio di comici e inverecondi miao che hanno oltremodo divertito il pubblico. Successo pieno.



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