Foto: Pasquale Juzzolino - Lingotto
Massimo Viazzo
Nella prima parte del concerto che costituiva il quinto appuntamento della stagione del Lingotto Valery Gergiev e l’Orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo hanno giocato in casa. Le due trasposizioni musicali del Romeo e Giulietta shakespeariano, l’ouverture-fantasia di Ĉajkovskij e una selezione dal balletto di Sergej Prokof’ev approntata dallo stesso Gergiev, non potevano trovare un’interpretazione migliore per forza espressiva e drammaticità. Dopo un’Introduzione evocativa e giustamente sospesa il brano čajkovskijano prendeva quota con un primo tema fortemente sbalzato che conduceva l’ascoltatore al vertice emotivo della composizione, l’ampia e calda melodia legata all’amore dei due teneri amanti (secondo tema). Qui Gergiev riusciva a plasmare un fraseggio di nobile libertà in cui un rubato costante, ma non ostentato agiva sulla pulsazione stessa della musica. Il Romeo e Giulietta di Prokof’ev, invece, così brutale, quasi primitivo (nel celebre episodio di apertura della Suite intitolato Montecchi e Capuleti, ad esempio), con sonorità taglienti e vetrose, ma anche ammiccante (Maschere) e fin bonario (Frate Lorenzo) sembrava fatto apposta per mettere in evidenza il virtuosismo scintillante della compagine russa. Interessantissima anche l’esecuzione della Symphonie fantastique di Hector Berlioz, di una teatralità scoperta, impulsiva, visionaria, a tratti allucinata e diabolica (mai il Dies Irae finale aveva evocato così da vicino i fantasmi notturni della Notte sul Monte Calvo). Memorabili anche certe alchimie timbriche ascoltate all’inizio di Un bal e la sfolgorante grandiosità della Marche au supplice. Bis in tema, con la rutilante Marcia Rákóczy da La Damnation de Faust ancora di Berlioz.
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