Foto: Pasquale Juzzolino
Massimo Viazzo
Che l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sia la miglior orchestra italiana è un dato di fatto. Naturale quindi avere molte aspettative sul concerto della stagione del Lingotto che la vedeva impegnata con Antonio Pappano e Mario Brunello, due interpreti che non difettano, certo, in comunicativa. Dico subito che si è trattato di una delle serate più coinvolgenti ed emozionanti della recente storia musicale del capoluogo piemontese. Intanto Brunello ha siglato un’interpretazione di riferimento, robusta, infuocata, del Concerto in si minore per violoncello e orchestra di Antonín Dvořák, che sapeva però sciogliersi in oasi poeticissime e nostalgiche di rara forza evocativa (in particolare nell’Adagio e nell’ultima parte del Finale). La bellezza timbrica del celebre Maggini, strumento appartenuto a Franco Rossi, fatto cantare da Mario Brunello con infinita morbidezza, ha letteralmente stregato il pubblico torinese che alla fine riusciva a strappare al violoncellista di Castelfranco Veneto due bis, un blues e un canto armeno, brani entrati ormai stabilmente nel suo repertorio. Antonio Pappano da parte sua sapeva governare con efficacia sia i momenti più epici che i ripiegamenti lirici della partitura, seguito alla perfezione da una compagine orchestrale impeccabile in ogni settore. Magnifica anche l’esecuzione della Sinfonia n. 1 di Edward Elgar, primo lavoro importante di tal genere nato in terra d’Albione e praticamente misconosciuto dalle nostre parti. Qui Pappano ha saputo evitare pompierismi e pomposità di maniera così nocivi a questa musica cesellando, invece, le frasi con una calorosa genuinità. Così l’Adagio di matrice bruckneriana, cuore emotivo dell’opera, suonava lieve ed etereo, ma mai sdolcinato. Grande successo ed ovazioni interminabili alla fine.
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