Foto: Pasquale Juzzolino - Lingotto
Massimo Viazzo
Un Daniele Gatti in stato di grazia ha letteralmente trascinato l’Orchestre National de France (una compagine non impeccabile soprattutto nella sezione dei fiati) e, di conseguenza, il pubblico del Lingotto in uno dei concerti mahleriani più emozionanti della recente storia musicale torinese. Si sa che la Decima di Mahler è forse più una sinfonia in potenza che in atto. E alcuni celebri direttori come Leonard Bernstein, Claudio Abbado o Pierre Boulez ne hanno sempre preso le distanze limitando il loro apporto interpretativo al solo movimento iniziale, il solo, con il terzo, pressoché ultimato dal compositore. E’ pur vero che la performing version approntata da Deryck Cooke dopo un lavoro minuzioso durato quasi quindici anni si è ormai affermata come la più accreditata. E qui all’Auditorium del Lingotto tutto suonava talmente mahleriano da far dimenticare a molti che si trattava di un’opera ricostruita. Il merito di Gatti è soprattutto quello di aver saputo dare grande coerenza alla Sinfonia, con scelte agogiche comode, apprezzabili variazioni dinamiche, assoluta finezza di fraseggio, spesso definito per ampie campate, e cura maniacale del dettaglio. Molto riuscita anche la gestione dei punti culminanti, qualità sostanziale della poetica del compositore boemo, pur senza esasperazioni. Una predilezione personale da parte del direttore milanese per lo slancio lirico e per il ripiegamento intimo ha dato i frutti migliori nei movimenti estremi. Ma anche il Purgatorio (terzo movimento), così levigato, quasi senza peso e per certi versi ipnotico, ha lasciato una forte impressione sugli ascoltatori. Alla fine l’applauso più bello: trenta secondi di silenzio assoluto dopo l’ultima impalpabile nota eseguita. Poi... l’ovazione!
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