Attilio Piovano
Davvero un bel modo, inconsueto e intrigante,
quello prescelto da Camerata Ducale per rendere hommage a Rossini nel 150° della morte: affidare l’appuntamento
dello scorso sabato 5 maggio, al Civico di Vercelli per Viotti Festival, alla
voce di lusso e alle non comuni doti di performer
del mezzosoprano Manuela Custer, ottimamente assecondata al pianoforte dal
raffinato e colto Massimo Viazzo. Ai due versatili interpreti, entrambi dalla
vasta esperienza e dal ricco palmarès
artistico, il merito di aver ideato e confezionato ‘ad hoc’ un programma singolare: non già pagine estrapolate dalle
più celebri partiture teatrali (salvo un’unica eccezione), non un recital di evergreen operistici dunque, bensì un itinerario articolato in una
sequela di brani vocali, tanto accattivanti quanto eterogenei. In abbinamento a
gustose celie pianistiche dai cosiddetti Péchés
de vieillesse. Non
basta: i due artisti non si sono ‘limitati’ ad interpretare egregiamente un
programma che già da solo suscitava curiosità, bensì hanno saputo dar vita ad
una soirée variegata, in bilico tra recital e vero e proprio teatro musicale: grazie allo spiccato
talento attoriale della Custer che ha intrattenuto il pubblico, ‘cucendo’ i
brani l’uno all’altro, con spassosi aneddoti, argute interpunture, amabili
riflessioni, spaziando entro un ragguardevole range di corde di recitazione (sa piegare la sua voce duttile ad
accenti i più diversi, giocando su inflessioni dialettali, ora veneziane ora
bolognesi, con irresistibile spasso). Viazzo, da par suo, le ha ben tenuto
bordone introducendo con humour i
brani pianistici (per lo più di rara esecuzione) che ha poi interpretato con
tecnica impeccabile e bel tocco: brani che talora - ad onta di quanto sosteneva
Rossini auto definendosi, con snobistico understatement,
pianista di terz’ordine - richiedono invece doti di vero e proprio virtuoso. E
allora, quanto a pagine vocali, ecco in apertura i toni fiabeschi e un po’
melanconici della Légende de Marguerite,
in realtà il remake di Una volta c’era un re dalla
popolarissima Cenerentola che la
Custer ha reso al meglio, bamboleggiando poi nelle pagine di ispirazione
infantile (Le Dodo des Enfants e La Chanson du Bébé) con mimica
impagabile e la pantomima dello starnuto. Poi la spumeggiante Se il vuol la Molinara, frutto di un
Rossini di appena nove anni, e svariate edizioni del metastasiano Mi lagnerò tacendo che hanno permesso
alla Custer di mostrare il suo trasformismo vocale, dal tragico al semiserio e
oltre, gli accenti iberici della Canzonetta
spagnuola e dell’aitante À Grenade,
il garbato pastiche dell’Arietta all’antica, e non è mancato
nemmeno un ideale viaggio dall’Oriente (L’amour
à Pekin) alla Venezia dell’Anzoleta
avanti la regata, sulle orme a ritroso di Marco Polo. Sul
versante pianistico Viazzo ha saputo spaziare con nonchalance e aristocratica sicurezza dalla dolce Caresse à ma femme ai toni lisztiani
dell’impegnativo Memento Homo, dalla
bizzarra (e invero modernissima) Marche
et Réminiscences pour mon dernier voyage che richiede al pianista anche
capacità di fine dicitore, nel citare le varie emersioni di temi operistici,
giù giù sino al brillante Caprice Style
Offenbach, ibridando altresì con tocco raffinato le mille armonie della
geniale Ave Maria su due note. Il clou nel bis, il celeberrimo e sempre
gradito Duetto buffo dei gatti dove i
due interpreti, entrambi alla tastiera, si sono idealmente scambiate le parti
suonando e cantando in un tripudio di comici e inverecondi miao che hanno oltremodo divertito il pubblico. Successo pieno.
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