Foto: Rocco Casaluci
Anna Galletti
“Life … is a tale told by an idiot, full of
sound and fury, signifying nothing”. William Shakespeare,
“Macbeth”, Atto IV – Scena V. C’è una incombente oscurità nel Macbeth di Robert Wilson, rappresentato per la prima
volta nel teatro Municipale di San Paolo (Brasile) nel 2012, poi nel 2013 nel
Teatro Comunale di Bologna, che ora lo ha riproposto con grande successo. Affrontando
un’opera di grande intensità, Wilson, poliedrico artista texano, opta per una
regia essenziale, dove la luce e pochi elementi, prevalentemente luminosi, si
inseriscono continuativamente nell’oscurità, senza mai squarciarla. E’ un
allestimento di grande raffinatezza ed equilibrio formale, che dimostra come la
modernità possa essere non meno elegante della classicità, quando sia
espressione di semplicità, di linearità nella composizione delle forme, di una
ricerca di contrasti netti ma mai violenti. La furia è già nell’opera e non ha
bisogno di troppe sottolineature. Nasce dal dramma dei personaggi, quello reale
di chi viene ucciso o vede uccidere i propri cari e quello interiore di chi di
quegli atti efferati si rende responsabile. Nasce dal suono, per il profondo lirismo
di una musica che contrasta con la cupezza delle voci, accentuato dal registro
stilistico scelto dal Direttore d’orchestra. La lettura di Roberto Abbado, infatti, va direttamente al tema centrale dell’opera,
non ne rifugge gli aspetti più foschi e ammanta la tragedia di un denso velo
sonoro che la intesse fino al pregevole trionfo finale. Nasce dal suono anche
per la scelta delle voci. Giuseppe Verdi ha affidato il ruolo di Macbeth a un
baritono e sin dalla prima rappresentazione aveva più volte raccomandato che il
soprano per il ruolo di Lady Macbeth, che comprende anche dei quasi-recitativi,
avesse una voce non pura, cristallina, ma più calda, finanche aspra. Macbeth è qui l’uruguaiano Dario Solari, che convince sin dall’inizio per poi crescere
ulteriormente nelle parti finali. Solari è dotato di una voce piena e di una emissione
quasi (per questo ruolo) troppo limpida, che riesce però a controllare egregiamente
per non allontanarsi dal colore dell’opera. Amarilli Nizza si rivela un’ottima interprete, non solo in termini
vocali, di Lady Macbeth. Le sonorità che sceglie risultano perfettamente
adeguate al personaggio, dall’esaltazione della sua ferocia alla follia che la
conduce alla fine. Ben eseguiti e appropriati i pianissimo e i quasi recitativi, con i quali aggiunge densità a
un’interpretazione che conferma le sue ottime qualità. Il terzo personaggio centrale
di questo melodramma è un personaggio collettivo, il coro delle streghe, con il
quale il compositore introduce un mondo fantastico e profetico; un mondo fatto
anche di apparizioni – quelle delle streghe – e di sparizioni – principalmente
quelle di Macbeth e di Lady Macbeth, che muoiono entrambi fuori scena. Il Coro del Teatro Comunale – diretto da Andrea Faidutti - qui e negli altri
luoghi dell’opera in cui interviene si fa ancora una volta apprezzare e
raccoglie un ampio e meritato consenso del pubblico. Si fa ammirare anche il
basso Riccardo Zanellato, nella
parte di Banco, che con bella sicurezza vocale conferisce al suo personaggio un
giusto insieme di sobrietà e solennità. Lorenzo
Decaro, nel ruolo di Macduff, e Marianna
Vinci in quello della Dama di Lady Macbeth completano adeguatamente il cast
di questo allestimento. Un’ultima menzione va ai bei costumi
dell’italo-francese Jacques Reynaud,
costume designer già più volte
collaboratore di Robert Wilson. L’affiatamento tra i due è evidente: la scelta
di Wilson di far muovere i personaggi con movimenti misurati, geometrici e
prevalentemente su un piano monodimensionale è, infatti, risaltata dalla scelta
stilistica dei costumi.
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