Sunday, September 9, 2018

Alì Babà e i quaranta ladroni di Cherubini - Teatro alla Scala, Milano


Foto: BresciaAmisano - Teatro alla Scala

Massimo Viazzo

Alì Babà e i quaranta ladroni di Cherubini, prima di questa produzione scaligera era stata rappresentata una volta solamente, e solo per tre recite, nella sala del Piermarini. Si trattava del 1963, l’orchestra era diretta da Nino Sanzogno e tra i protagonisti si annoveravano grandi cantanti quali Alfredo Kraus, Teresa Stich-Randall, Wladimiro Ganzarolli e Paolo Montarsolo. E se andiamo a leggere il cast della prima rappresentazione assoluta parigina del 1833 rimaniamo nuovamente colpiti dalla presenza in scena di un trio delle meraviglie che ha fatto la storia dell’opera ottocentesca: il tenore Adolphe Nourrit, il soprano Laura Cinti Damoreau e il basso  Nicolas-Prosper Levasseur. Eppure quest’opera, l’ultima di Luigi Cherubini, non ha mai sfondato, non ha mai conquistato il pubblico, né tantomeno la critica (nota era, ad esempio, l’avversione di Berlioz nei confronti di qeust’opera), o forse non è mai stata ben capita dato il genere misto da cui è caratterizzata, un genere in bilico tra opera buffa e grand-opera. Pochissimi, di conseguenza, sono state le sue riproposte contemporanee. Bene ha fatto, quindi, la Scala a metterla in stagione (nella sua versione in italiano) affidandola ai complessi e ai solisti dell’Accademia, già applauditi negli ultimi anni in Zauberflöte e in Hänsel und GretelIl lavoro cherubiniano, ispirato alla conosciuta novella persiana erroneamente considerata facente parte della raccolta di favole orientali Le Mille e una Notte, è godibile, con bella musica e melodie piacevoli e non scontate. Cherubini recuperò, inoltre, quattro brani da un suo lavoro precedente: Koukourgi
E interessante ricordare anche che l’Ouverture piaceva molto ad Arturo Toscanini che la eseguì diverse volte in concerto. L’allestimento è stato curato da Liliana Cavani, la grande regista teatrale  e cinematografica legatissima al teatro milanese, con l’aiuto di Leila Fteita per le scene, di Irene Monti per i costumi con Marco Filibeck alle luci. Tradizionale nell’impostazione arabeggiante, lo spettacolo è piaciuto per la linearità dello sviluppo della vicenda, e per la cura dei movimenti dei personaggi. Un accenno di “teatro nel teatro” lo abbiamo trovato ad apertura di sipario durante l’ouverture, e in apertura di terzo atto, momenti durante i quali all’interno di una alta biblioteca che tappezzava tutto il fondale, alcuni ragazzi in abiti moderni leggevano la storia raccontata dal libretto, preparandosi a riviverla poi durante l’opera. Ma niente di invasivo. Tutto perfettamente coerente. Paolo Carignani da parte sua ha coordinato i complessi strumentali dell’Accademia con efficienza e dinamismo, mentre i solisti di canto hanno mostrato tutti di aver lavorato con scrupolo ed entusiasmo sia sulla parte musicale che su quella drammaturgica. Da ricordare senz’altro il tenore lirico Riccardo Della Sciucca che ha cantato nel ruolo di Nadir con timbrica fresca e luminosa, Francesca Manzo che ha comunicato espressività all’amata Delia, Alexander Roslavets un Ali Babà ben fraseggiato, il divertente Aboul-Hassan di Eugenio Di Lieto, Maharram Huseynov dalla voce generosa e dalla timbrica rotonda nei panni di Ours-Kan, e la garbata Morgiane di Alice Quintavalla.

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