Foto: Agathe Poupeney
Alceste,
di Christoph Willibald Gluck, è andato in scena al mitico Palais
Garnier, come omaggio al suo compositore nella celebrazione dei trecento anni
dalla nascita. L'incaricato della realizzazione scenica è stato il regista francese Olivier
Py che si è ispirato alle origini della tragedia greca e all'essenza
del teatro stesso per raccontare la storia, con molta drammatizzazione
nell'azione scenica, con contrastanti costumi moderni in bianco e nero e con un
unico elemento scenico, un'enorme lavagna fissa in fondo al palcoscenico,
creata da Pierre-André Weitz, con ponteggi mobili. Su questi
ponteggi vari pittori disegnavano con matite ogni tipo di figura, da fiori alla
stessa facciata del teatro, cancellandoli immediatamente appena terminati,
simboleggiando così la fragilità, la metamorfosi e la scomparsa delle cose e
degli esseri. Un'innovativa ma controversa messa in scena che però nel corso
della rappresentazione si è rivelata noiosa, distraendo l'attenzione dalla
parte veramente interessante, ossia la parte musicale. Marc Minkovski,
a capo del coro e dell'orchestra Les Musiciens du Louvre, ha dimostrato la
conoscenza e l'affinità nei confronti delle opere di questo compositore. Il suo
gruppo ha suonato omogeneamente, pieno di sentimento e musicalità, e la sua
lettura è stata sicura ed emozionante in molti passi. Il mezzosoprano Sophie
Koch si è esibita in un compenetrato personaggio di Alceste,
disegnandola in maniera drammatica e commovente, senza mais perdere l'eleganza
della voce dal tono scuro e profondo, facendo risaltare le esigenze
belcantistiche del ruolo. Anche il tenore Yann
Beuron ha fornito una prestazione impeccabile, con una voce molto duttile
dal gradevole timbro bronzeo. Correto il resto del cast, con una nota per i
baritoni Jean-François Lapointe come sommo sacerdote
e Franck Ferrari, nel ruolo di Hercules, qui rappresentato come un
mago. RJ
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