Giosetta Guerra
L’elemento che tiene costante la godibilità visiva di questa opera di Händel allestita al Teatro Comunale di Ferrara è il sorprendente contrasto tra la pulizia e semplicità delle scene e l’originalità e ridondanza dei costumi, il tutto valorizzato da un gioco di luci capillarmente studiato e reso piacevolmente eccentrico da una regia di gran lusso, estatica e raffinatissima, che crea figure d’arte con una staticità decorativa. In linea di massima, quando si fa il barocco si tende a scegliere tra due opportunità: se ci sono i soldi si creano bellissimi allestimenti d’epoca con ambienti e costumi ricchi, bianchi e oro, (vedi Pizzi, Gasparon…), se si deve fare economia si modernizza tutto e di barocco resta solo la musica.
Giuseppe Frigeni (regia, scene e luci) e Regina Martino (costumi) si sono accordati su una via di mezzo ed hanno fatto centro, perché i bellissimi, elaboratissimi, coloratissimi, barocchissini, esageratissimi costumi risaltano sulla bellissima, chiarissima, leggerissima scenografia, lineare, asettica ed evanescente (perfino le colonne non erano massicce, ma trasparenti), aggiungiamoci una regia che meccanizza e rende artificiosa la gestualità e dispone in forma prospettica nello spazio figure d’insieme statiche, anche con la tecnica sempre efficace del controluce, e ciò che ne esce è una favola (nella duplice accezione).
Giuseppe Frigeni (regia, scene e luci) e Regina Martino (costumi) si sono accordati su una via di mezzo ed hanno fatto centro, perché i bellissimi, elaboratissimi, coloratissimi, barocchissini, esageratissimi costumi risaltano sulla bellissima, chiarissima, leggerissima scenografia, lineare, asettica ed evanescente (perfino le colonne non erano massicce, ma trasparenti), aggiungiamoci una regia che meccanizza e rende artificiosa la gestualità e dispone in forma prospettica nello spazio figure d’insieme statiche, anche con la tecnica sempre efficace del controluce, e ciò che ne esce è una favola (nella duplice accezione).
I protagonisti, truccati come quelle bellissime bambole di coccio di un tempo, nelle posture statiche ed assolutamente immobili (come i manichini nelle vetrine) si atteggiano col garbo delle statuine di Capodimonte di cui ripetono anche la posizione eccentrica delle mani, nei movimenti d’espressione che accompagnano il canto si muovono con la gestualità dei pupi o delle marionette (immagine ancor più evidente quando si posizionano davanti alle colonne trasparenti, formate di filamenti longitudinali disposti a forma di pilastro, che sembrano i fili delle marionette). Sia i maschi che le femmine indossano una gonna a campana di media lunghezza, rigida, tipo lampadario, finemente lavorata o arricchita da un gonfio sottogonna visibile, un corpetto in tinta con maniche per lo più a sbuffo, calzamaglia e stivali lavoratissimi in tinta, turbanti architettonici sopra una parrucca lunga sempre dello stesso colore del vestito. Nell’insieme si vuol dare ai protagonisti un aspetto caricaturale, ma con quanta finezza e con quanta arte decorativa! Si discosta un poco l’abito da gran dama di Partenope, lungo fino ai piedi, di un azzurro oltremare, con una sopragonna a fianchi larghissimi, lavorata a scaglie cangianti dal blu al viola, un ramo di coralli in testa incornicia un’acconciatura alta ed elaborata, celeste come i capelli della Fata Turchina di Pinocchio. Bisogna proprio vederli.
Qualche elemento simbolico differenzia gli ambienti: colonne evanescenti per il palazzo reale nel primo atto, barchette pendenti a figurar la guerra, di cui una viene incendiata e due grate d’acciaio per la prigione nel secondo, un tenero alberello con fiori rosa per il giardino del terzo.
L'interpretazione musicale, affidata all'Accademia Bizantina di Ravenna diretta dal bravo ed esperto Ottavio Dantone, maestro al primo clavicembalo, è risultata molto variegata secondo il dictat della partitura, quindi, oltre l’andamento lento dell’ouverture del primo atto, la vivacità strumentale del brano introduttivo del secondo e la piacevolissima introduzione del terzo, proprio per seguire la poetica degli affetti, l’abbiamo sentita scorrevole, raffinata, vivace, brillante, garbata, morbida, agitata, dolente, trionfale, patetica, furiosa, perché ogni aria ha un’introduzione strumentale, che ne rispecchia l’atmosfera.
Gli artisti sono stati tutti bravissimi attori e bravissimi interpreti e nel cantare hanno seguito la prassi esecutiva barocca con i dovuti abbellimenti e agilità virtuosistiche. Certo lo spessore vocale e la spericolatezza del canto non erano quelli di una Horne o di un Blake!!!
Il contralto Sonia Prina (Rosmira, fidanzata di Arsace, travestita da principe Eurimene), dotata di bel colore vocale e di gesto deciso, esegue l’aria di furore molto agitata “Un’altra volta ancor” con precisa tecnica e giusta presa scenica, chiude brillantemente il primo atto con la lunghissima aria sbalzata “Io seguo sol fiero”, accompagnata da un’orchestra trionfale, da cui emerge la voce ammaliante del corno barocco ed esegue alla perfezione la lunga e difficile aria di furore “Furie son dell’alma mia”, ma è anche perfetta interprete del canto patetico ed esterna un gran temperamento nei tempi vivaci di “Quel volto mi piace” del terzo atto.
Qualche elemento simbolico differenzia gli ambienti: colonne evanescenti per il palazzo reale nel primo atto, barchette pendenti a figurar la guerra, di cui una viene incendiata e due grate d’acciaio per la prigione nel secondo, un tenero alberello con fiori rosa per il giardino del terzo.
L'interpretazione musicale, affidata all'Accademia Bizantina di Ravenna diretta dal bravo ed esperto Ottavio Dantone, maestro al primo clavicembalo, è risultata molto variegata secondo il dictat della partitura, quindi, oltre l’andamento lento dell’ouverture del primo atto, la vivacità strumentale del brano introduttivo del secondo e la piacevolissima introduzione del terzo, proprio per seguire la poetica degli affetti, l’abbiamo sentita scorrevole, raffinata, vivace, brillante, garbata, morbida, agitata, dolente, trionfale, patetica, furiosa, perché ogni aria ha un’introduzione strumentale, che ne rispecchia l’atmosfera.
Gli artisti sono stati tutti bravissimi attori e bravissimi interpreti e nel cantare hanno seguito la prassi esecutiva barocca con i dovuti abbellimenti e agilità virtuosistiche. Certo lo spessore vocale e la spericolatezza del canto non erano quelli di una Horne o di un Blake!!!
Il contralto Sonia Prina (Rosmira, fidanzata di Arsace, travestita da principe Eurimene), dotata di bel colore vocale e di gesto deciso, esegue l’aria di furore molto agitata “Un’altra volta ancor” con precisa tecnica e giusta presa scenica, chiude brillantemente il primo atto con la lunghissima aria sbalzata “Io seguo sol fiero”, accompagnata da un’orchestra trionfale, da cui emerge la voce ammaliante del corno barocco ed esegue alla perfezione la lunga e difficile aria di furore “Furie son dell’alma mia”, ma è anche perfetta interprete del canto patetico ed esterna un gran temperamento nei tempi vivaci di “Quel volto mi piace” del terzo atto.
Il mezzosoprano Marina De Liso en travesti (l'avido Arsace, principe di Corinto, attratto dalla bellezza e dalla ricchezza di Partenope) ha voce abbastanza densa e poco sonora all’inizio, morbida nel canto accorato che esprime con buoni filati, luminosa nei suoni acuti e medi quasi sopranili ma flebile in zona grave nell’aria di dolore “Non chiedo, oh miei tormenti…Ma quai note di mesti lamenti” . Ma il meglio della sua performance arriva alla fine del secondo atto con la nota e terribile ed infuocata aria di furore “Furibondo spira il vento”, con introduzione orchestrale agitata, che oltre ai fittissimi sbalzi ha anche dei possenti affondi in zona grave.
Il soprano Elena Monti (Partenope, regina guerriera e dama deliziosa) possiede un buon mezzo vocale con zona grave corposa, canta con voce pastosa e bei suoni fissi finali l’aria sbalzatissima “L’amor ed il destin” e con voce piccola il brillante pezzo di bravura “Io ti levo l’impero dell’armi” (atto I), il timbro si fa brillante nell’aria d’amore del secondo atto “Voglio amare insin ch’io moro” rivolta ad Arsace.
Valentina Varriale en travesti (il fedele e perseverante principe Armindo che sposerà Partenope) è un soprano corretto, che nell’aria di dolore del primo atto “E dir voglio ch’il mio core” esibisce un bel filato in acuto con messa di voce.
Cyril Auvity (il signorotto e tiranno locale Emilio di Capua che propone di far cessare l'assedio in cambio della mano di Partenope) è un tenore leggero, forse contraltino, ma con suoni acuti piccoli e senza funambolismo vocale, canta bene, ma i suoni sono a volte ingolati (“Anch’io pugnar saprò”- atto I, “La speme ti consoli”-atto III). Esegue bene il canto di sbalzo (“Barbaro fato, sì”, aria agitata in orchestra-atto II, “La gloria in nobil alma”, aria molto sbalzata nel registro medio-atto III), ma ha poco spessore.
Gianpiero Ruggeri (il tutore Ormonte che manovra con accortezza la positiva trasformazione morale di tutti i personaggi insegnando loro ad essere sinceri l'un l'altro), ha solo un’aria morbida con agilità nel primo atto “T’appresta forse amore”, cantata con bel timbro baritonale, fraseggio morbido, dizione chiara. Belli e ben eseguiti i duetti e i pochi ensembles.
Partenope, opera in tre atti su libretto di Silvio Stampiglia, fu rappresentata per la prima volta al King’s Theatre di Londra il 24 Febbraio 1730. Pare che lo stesso Händel - o forse un suo “osservatore” - avesse assistito a Venezia nel 1724 alla rappresentazione dell’omonimo titolo di Vinci, composto sullo stesso libretto di Stampiglia. L’opera piacque così tanto al compositore tedesco che ne trasse in seguito un pastiche dal titolo Elpidia e di lì a pochi anni decise di scrivere un’opera sullo stesso libretto. L’opera, che ha già conosciuto illustri produzioni all’estero (fra cui quella del festival di Glimmerglass, del festival di Göttingen e del New York City Opera), è il primo titolo händeliano esterno ai canoni dell’opera seria: racconta la storia della regina e fondatrice di Napoli, Partenope appunto, che deve scegliere fra tre nobili pretendenti, ai quali si aggiunge un quarto che in realtà è la fidanzata di uno dei corteggiatori, travestita da uomo per controllare la situazione. Per le varie peripezie dei personaggi in dubbio fino al lieto fine (Partenope sceglie il leale Armindo e Rosmira si riprende Arsace), quest’opera può essere vista come anticipatrice del genere semiserio che diventerà poi una forma importante nell’era romantica. Delle due versioni presenti nell’iconografia di Partenope - vergine-sirena e vergine-guerriera, quest’ultima è quella a cui fa riferimento il libretto di Stampiglia.
L'opera è una produzione del Teatro Comunale di Ferrara, in coproduzione con il Teatro Comunale di Modena, il Teatro San Carlo di Napoli e l’Opéra National de Montpellier Languedoc-Roussillon.
Il soprano Elena Monti (Partenope, regina guerriera e dama deliziosa) possiede un buon mezzo vocale con zona grave corposa, canta con voce pastosa e bei suoni fissi finali l’aria sbalzatissima “L’amor ed il destin” e con voce piccola il brillante pezzo di bravura “Io ti levo l’impero dell’armi” (atto I), il timbro si fa brillante nell’aria d’amore del secondo atto “Voglio amare insin ch’io moro” rivolta ad Arsace.
Valentina Varriale en travesti (il fedele e perseverante principe Armindo che sposerà Partenope) è un soprano corretto, che nell’aria di dolore del primo atto “E dir voglio ch’il mio core” esibisce un bel filato in acuto con messa di voce.
Cyril Auvity (il signorotto e tiranno locale Emilio di Capua che propone di far cessare l'assedio in cambio della mano di Partenope) è un tenore leggero, forse contraltino, ma con suoni acuti piccoli e senza funambolismo vocale, canta bene, ma i suoni sono a volte ingolati (“Anch’io pugnar saprò”- atto I, “La speme ti consoli”-atto III). Esegue bene il canto di sbalzo (“Barbaro fato, sì”, aria agitata in orchestra-atto II, “La gloria in nobil alma”, aria molto sbalzata nel registro medio-atto III), ma ha poco spessore.
Gianpiero Ruggeri (il tutore Ormonte che manovra con accortezza la positiva trasformazione morale di tutti i personaggi insegnando loro ad essere sinceri l'un l'altro), ha solo un’aria morbida con agilità nel primo atto “T’appresta forse amore”, cantata con bel timbro baritonale, fraseggio morbido, dizione chiara. Belli e ben eseguiti i duetti e i pochi ensembles.
Partenope, opera in tre atti su libretto di Silvio Stampiglia, fu rappresentata per la prima volta al King’s Theatre di Londra il 24 Febbraio 1730. Pare che lo stesso Händel - o forse un suo “osservatore” - avesse assistito a Venezia nel 1724 alla rappresentazione dell’omonimo titolo di Vinci, composto sullo stesso libretto di Stampiglia. L’opera piacque così tanto al compositore tedesco che ne trasse in seguito un pastiche dal titolo Elpidia e di lì a pochi anni decise di scrivere un’opera sullo stesso libretto. L’opera, che ha già conosciuto illustri produzioni all’estero (fra cui quella del festival di Glimmerglass, del festival di Göttingen e del New York City Opera), è il primo titolo händeliano esterno ai canoni dell’opera seria: racconta la storia della regina e fondatrice di Napoli, Partenope appunto, che deve scegliere fra tre nobili pretendenti, ai quali si aggiunge un quarto che in realtà è la fidanzata di uno dei corteggiatori, travestita da uomo per controllare la situazione. Per le varie peripezie dei personaggi in dubbio fino al lieto fine (Partenope sceglie il leale Armindo e Rosmira si riprende Arsace), quest’opera può essere vista come anticipatrice del genere semiserio che diventerà poi una forma importante nell’era romantica. Delle due versioni presenti nell’iconografia di Partenope - vergine-sirena e vergine-guerriera, quest’ultima è quella a cui fa riferimento il libretto di Stampiglia.
L'opera è una produzione del Teatro Comunale di Ferrara, in coproduzione con il Teatro Comunale di Modena, il Teatro San Carlo di Napoli e l’Opéra National de Montpellier Languedoc-Roussillon.
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