Foto: Teatro G.B. Pergolesi
Paolo Giorgi
Lo frate ‘nnamorato Commedia per musica in tre atti. Musica di Giovanni Battista Pergolesi. Libretto di Gennarantonio Federico. Nuovo allestimento del Teatro G.B. Pergolesi. Direttore d’orchestra: Fabio Biondi; Regia e scene: Willy Landin; Costumi: Elena Cicorella; luci: Fabrizio Gobbi; Orchestra Europa Galante. Cast: Nicola Alaimo (Marcaniello), Elena Belfiore (Ascanio), Patrizia Biccirè (Nena), Jurgita Adamonyte (Nina), Barbara Di Castri (Luggrezia), David Alegret (Carlo), Laura Cherici (Vannella), Rosa Bove (Cardella), Filippo Morace (Don Pietro).
La stagione lirica del Teatro “G.B. Pergolesi” è stata inaugurata sul finire di questo caldissimo settembre 2011 con un nuovo allestimento de Lo frate ‘nnamorato, commedia per musica (o commedeja pe’ mmuseca, secondo la dizione napoletana) di Giannantonio Federico e musica di Giovanni Battista Pergolesi (andata in scena per la prima volta nel settembre 1732 presso il Teatro dei Fiorentini a Napoli). La commedia per musica (come rivela già il nome) è un genere di teatro musicale tipicamente napoletano, diffuso fin dalla fine del XVII secolo, che mescola italiano e dialetto napoletano tra, parallelamente mescolando in un’atmosfera surreale le più disparate tra le situazioni teatrali e le figure dei personaggi. La complicata vicenda de Lo frate ‘nnamorato (ambientata a Capodimonte, noto luogo di vlleggiatura marittima) ruota attorno a una serie di matrimoni incautamente progettati per convenienza (e senza il consenso delle rispettive interessate) da Carlo, ricco borghese romani, e Marcaniello, attempato popolano napoletano. Carlo dovrebbe sposare Luggrezia, la figlia di Marcaniello, e quest’ultimo vorrebe per sé e per il figlio Don Pietro le nipoti di Carlo, Nina e Nena (orfane dei genitori a causa di un’antica tragedia). Ma le nozze sono destinate a non andare a buon fine in quanto sia Luggrezia che Nina e Nena sono tutte e tre innamorate dal figliastro adottivo di Marcaniello, Ascanio, che sente di ricambiare Luggrezia ma lo blocca la paura dell’incesto. I fili della commedia vengono ancora di più aggrovigliati dagli interventi delle maliziose servette Vannella e Cardella. Tutti i nodi verrano sciolti nell’ultima scena, quando si scoprirà che Ascanio altri non è che il fratello di Nina e Nena: rapito dalla famiglia ancora in fasce, venne trovato e allevato da Marcaniello; Ascanio sposerà dunque Luggreiza, mentre i due anziani pretendenti e lo scapestrato Don Pietro dovranno rassegnarsi alla sorte di restare soli. Si cercherebbe invano un filo logico all’interno della trama, e si incorrerebbe anche in errore nel farlo: nel genere di teatro musicale della commedeja pe’ mmuseca, la trama era un semplice pretesto per delinare una serie di situazioni, dal comico al tragico, dal patetico al sarcastico. Il ‘realismo’ della commedia si concreta precisamente nella disponibilità da parte del librettista a cogliere e riproporr con grande fedeltà e naturalezza modi e aspetti del quotidiano, personaggi, figure, atmosfere familiari. Un grande affresco di vita, senza ideologie deformanti, senza ricerca di una morale o di una giustificazione etica: non a caso, dopo l’improvvisa agnizione di Ascanio, gli altri personaggi rimangono come sospesi, non risolti, senza raffazzonate forzature. Quasi a voler suggerire come, dopo le tante illogiche vicende della vita, un inaspettato colpo del caso può darci un assaggio di felicità, e basta questa coloratissima bolla di sapone a far scomparire nel ricordo tutto il resto. Una delle difficoltà principali relative all’allestimento moderno di un’opera del genere è sicuramente il nodo centrale della relazione tra noi e il mondo dell’opera barocca, ossia capire e rinnovare un immaginario (letterario, musicale, storico) che per noi ha perso di valore com’è quello del barocco. Non esiste una ricetta perfetta che risolva questo problema in ogni situazione, ma sicuramente in casi come questo la responsabilità più grande va al regista. E stasera Willy Landin ha colto appieno i diversi significati impliciti e espliciti del libretto, e li ha saputi rendere attuali e ancora sensati per noi. Landin traspone la vicenda in un’Italia partenopea degli anni Sessanta (come mostrano la foggia degli abiti, la Vespa con cui don Pietro si sposta, le decorazioni dei fondali), un’Italia in cui vigono le leggi non scritte dell’onore, del decoro, del rispetto del grado sociale (esattamente come nel sistema morale implicito al libretto).
La scenografia è molto semplice (due caseggiati, che rappresentano le case delle due famiglie), con qualche minimo dettaglio decorativo (i panni stesi, o le finestre che si aprono sull’interno degli alloggi). In tre situazioni Landin ha deciso di usare anche la proiezione video, ad esempio durante l’aria di Cardella Nun me vedite, nèh, quando la servetta parla dei suoi sogni d’amore e di matrimonio, mentre scorrono immagini in bianco e nero di cortei nuziali. Forse (ed è l’unica nota lievemente negativa alla regia) non sarebbe spiaciuto vedere il regista osare di più con le videoproiezioni. Lo stile di recitazione, curato dallo stesso Landin, ha permesso ai cantanti (sicuramente molto a loro agio sul palcoscenico) di esprimersi in maniera semplice ma efficace, con quella spontaneità che i dialoghi stessi suggeriscono. Il cast vocale è di un livello piuttosto buono: a parte la difficoltà linguistica di cantare in napoletano (soprattutto, è ovvio, da parte dei cantanti ‘nordici’ o stranieri), ognuno ha saputo trovare la propria caratterizzazione nelle inflessioni vocali, nell’enfatizzare la comicità dei personaggi o la loro aulicità. Da segnalare in particolare Laura Cherici (una Vannella spiritosa e mai volgare, dotata di un timbro argentino e di ottime idee interpretative), Filippo Morace (un don Pietro irresistibile, con un timbro baritonale leggero e perfetto per esprimere il carattere di questo viveur partenopeo), e Jurgita Adamonyte (un giovane mezzosoprano di origini lituane, con una voce molto timbrata e versatile, adattissima per rappresentare tutta la gamma dei frequenti sbalzi d’umore del personaggio di Nina). Unica nota veramente dolente della serata è stata la direzione di Fabio Biondi: poco appassionata (e quindi assai poco appassionante), evita accuratamente di enfatizzare i contrasti musicali interni alla partitura, rendendola quasi incolore. Ne è risultata una lettura poco convinta della musica, a cui i cantanti hanno saputo (per fortuna) reagire con un grande impegno espressivo. Nel complesso, però, l’ottima regia e la grandezza del cast vocale hanno reso la serata un azzeccatissimo tentativo di riportare in vita un’opera e un autore (Pergolesi), che ingiustamente solo da pochi anni sta tornando sulla scena.
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