Foto: Teatro Regio di Parma
Parma - Festival Verdi 2011. Un mese di opere, mostre, concerti. Teatro Regio “Un ballo in maschera” Melodramma in tre atti su libretto di Antonio Somma, tratto da Gustave III ou le bal masqué di Eugène Scribe, musica di Giuseppe Verdi. 9 ottobre 2011
Giosetta Guerra
Entusiasmo per la coppia Francesco Meli-Serena Gamberoni
Massimo Gasparon ha ripescato l’allestimento tradizionale di Pierluigi Samaritani del Teatro Regio di Parma rifacendo le parti e i costumi rovinati dal tempo. Ecco la scenografia: grande scalinata che giunge a una vetrage, con bandiere inglesi e cortigiani distribuiti con cura sì da creare un grande quadro d’epoca per il palazzo del governatore; un loco semioscuro tra le rocce, da cui si affacciano giovani a dorso nudo e donne velate, tagliato da uno sprazzo di luce filtrante da un grosso pertugio, donzelle discinte gesticolanti a terra sopra una stella a sei punte, per l’antro di Ulrica; nebbia, lapidi, croci bianche, alberi neri per il campo solitario; grande tavolo con tappeto rosso, strumenti musicali antichi e libri per l’appartamento di Renato; festosa sala da ballo con coppie imparruccate tutt’intorno ed al centro inquietanti danzatori bianchi con doppia maschera bifronte e seni sulla schiena per gli uomini, sì che bisognava guardare i piedi per capire dove ognuno era rivolto, tra loro anche una violinista e in fondo violini e violoncelli. Il regista ha optato spesso per una posizione concertistica dei cantanti per dar risalto ai personaggi e io che ero in un palco di proscenio ho scrutato ogni espressione, ogni respiro, ogni sguardo dei cantanti, come ho colto la profonda immedesimazione del M° Gianluigi Gelmetti, che nel rispetto della funzione drammatica della musica ha diretto con tempi serrati e coinvolgenti una splendida Orchestra e il magnifico coro del Teatro Regio, icona del melodramma italiano, pieno e trascinante nel vigore cadenzato della musica, morbido nel cesello dei lunghi filati e delle suggestive pennellate vocali a mezza voce, attentamente preparato dal genio di Martino Faggiani. Nella scena finale della morte di Riccardo il palcoscenico si è popolato e l’orchestra è esplosa. Un inno a Giuseppe Verdi. Favolosi Belli i costumi dai colori sparati, di foggia antica, presenti bambini vestiti da paggetti.
Sul versante vocale la coppia Francesco Meli-Serena Gamberoni ha riportato lo strepitoso successo ottenuto nello stesso teatro centocinquanta anni fa dalla coppia Mario Tiberini-Angiolina Ortolani. Primeggia fra tutti Francesco Meli, un Riccardo ispirato fin dalla prima aria “La rivedrà nell’estasi” che ha affrontato con enfasi e piglio eroico, con generosità e tenuta del suono, gestito con la saggezza di cantare sul fiato e quindi piegandolo alla soavità del cantar a fior di labbra e alla veemenza dello squillo pieno senza forzature. Sicuro negli affondi (“Dì, tu sei fedele”), bravissimo nel canto a mezza voce e negli sbalzi (“Sull’agil prova”) e nella sillabazione di “È scherzo o è follia”, quasi una ballata, ha modulato la voce sui palpiti del cuore (“Ma se m’è forza perderti”) con colore bellissimo, fiati lunghissimi, espansioni acute larghe e lucenti, mezze voci struggenti (“Forse la soglia attinse”). Meli, erede dei grandi tenori del passato, è interprete eccelso e realizza appieno la parola scenica con dizione chiara, padronanza dell’arte del canto e slancio eroico (“Sì, rivederti, Amelia”). Grandissimo nella scena della morte, pugnalato alle spalle. Serena Gamberoni con voce fresca, pulitissima, scintillante, sicura, estesa, luminosissima in tessitura acuta, ha delineato un Oscar malizioso e mobilissimo, la sua voce svettante ha superato tutti in “Di che fulgor”, è stata deliziosa, brillantissima e agilissima nella famosa aria “Saper vorreste”. Il soprano conosce l’arte del canto e ce ne ha dato una dimostrazione tangibile, delineando un Oscar da manuale. Ci sarebbe voluta un’Amelia alla stessa altezza di questa magnifica coppia; il soprano statunitense Kristin Lewis (Amelia con abiti splendidi), pur avendo tanta voce e di bel timbro, ha cantato tutto sul forte e con dizione incomprensibile, l’acuto era grido, tuttavia in corso d’opera l’emissione si è affinata, il soprano ha prodotto belle vibrazioni e bei colori in zona medio grave, buoni assottigliamenti e gravi quasi mezzosopranili, fino a cantare splendidamente con le dovute modulazioni “Morrò ma prima in grazia”. Nobile nel porgere, con accento intenso e scandito e padronanza del canto sfumato e della parola scenica, il bulgaro Vladimir Stoyanov (Renato) ha evidenziato un bel timbro baritonale rotondo ed esteso e linea di canto morbida. Con forza scenica e maestria interpretativa il mezzosoprano drammatico Elisabetta Fiorillo (una Ulrica dai capelli grigi arruffati e un lungo abito in velluto colorato) ha scolpito un personaggio storico con voce screziata, tagliente, un po’ oscillante, un registro grave poderoso, un declamato imponente, una tecnica di canto solida. Buone le voci di Filippo Polinelli (Silvano) un baritono ben timbrato, di Antonio Barbagallo (Samuel) e di Enrico Rinaldo (Tom), un po’ meno gradevole quella del tenore Cosimo Vassallo (giudice). Grande successo.
Presenti in questa produzione alcuni premiati col Tiberini d’oro: Martino Faggiani e Coro Teatro Regio di Parma Premio Tiberini d’oro 2011, Francesco Meli e Serena Gamberoni Premio d’oro Tiberini/Ortolani come coppia dell’anno 2009.
La prima di Un Ballo in Maschera ebbe luogo il 17 febbraio 1859 al Teatro Apollo di Roma, teatro costruito nel 1795 sulla Torre di Nona, antica prigione, distrutto nel 1925 in seguito alla costruzione dei muraglioni del Tevere e rimpiazzato con una fontana a ricordo del teatro.
Il tenore Mario Tiberini interpretò il ruolo di Riccardo dal 1862 l 1871 a Napoli, Roma, Firenze, Milano, Madrid.
Il 4 gennaio 1864 i coniugi Tiberini furono protagonisti di Un Ballo in Maschera al Teatro Apollo di Roma. Ecco cose scrive Il Pirata due giorni dopo:
“I conjugi Tiberini eseguirono le parti a loro affidate da provetti artisti, che nulla lasciano a desiderare sia dal lato musicale sia da quello drammatico. Mario Tiberini si mostrò un Riccardo giustamente applaudito alla sua Cavatina, alla Barcarola, al Duetto dell’atto II, specialmente ebbe applausi per la Romanza del III, per la toccante dolcezza con cui eseguì il Largo e la forza con cui espresse l’ultima frase “La rivedrò nell’estasi”. Mario Tiberini è uno dei pochi che possono coscienziosamente chiamarsi campione dell’arte, Angiolina fu un’Amelia fantastica, simpatica, insinuante per la voce dolce che esce dal cuore e l’espressione angelica…”.
Il 26 dicembre 1867 al Teatro alla Scala di Milano Tiberini, padrone dell’arte del canto e dello scavo psicologico del personaggio, riuscì a smuovere quella pance piene di risotto, perché ebbe momenti sublimi e soggiogò il pubblico.
Così scrive La Gazzetta Musicale di Milano il 31 dicembre 1867:
“Il Tiberini primeggiò fra tutti: egli creò un personaggio affatto nuovo della parte di Riccardo: fece comprendere e scoprire al pubblico bellezze fino ad ora sconosciute: questo artista nulla trascura: il minimo dettaglio, una parola, un gesto, sono per lui oggetto di uno speciale studio: dal principio alla fine dell’opera Tiberini venne fatto oggetto di continue e clamorose ovazioni. Fra i pezzi nei quali egli ci parve più notevole citeremo: la barcarola del primo atto e il seguente quintetto , il duetto d’amore del secondo atto; nell’ultimo atto la romanza di Riccardo, che non si era quasi mai udita e che ci apparve una deliziosa melodia, di forme accuratissime ed eleganti, ed in fine la scena della morte nella quale il Tiberini fu grande, ispirato, straziante. Questo stupendo finale dell’opera ha suscitato il più vivo entusiasmo, sì che il pubblico chiamò ben quattro volte all’onore del proscenio tutti gli artisti.”
(Da: Giosetta Guerra – Mario Tiberini, tenore).
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