Friday, December 11, 2015

Norma - Teatro La Fenice, Venezia

Foto: Michele Crosera

Francesco Bertini

Il nuovo allestimento di Norma, concepito per il Teatro La Fenice di Venezia, è stato atteso lungamente e con forte trepidazione. Si tratta del secondo esperimento abbinato all’Esposizione internazionale d’Arte della Biennale, evento tra i più rinomati al mondo, che rinnova l’esperienza avviata con la produzione di Madama Butterfly, nel 2013. In quest’occasione è stata scelta Kara Walker, artista afroamericana interessata da sempre alle tematiche legate alla razza, al genere, alla sessualità e alla violenza. La sua produzione ha ottenuto importanti riconoscimenti in tutto il mondo, in particolare per le tematiche di rottura, trattate con costanza e forza. L’idea che permea l’allestimento crea un parallelismo tra l’occupazione romana della Gallia, nel 50 a.C., e il dominio coloniale di una potenza europea in Africa, nell’Ottocento. Mentre le figure di Norma, Adalgisa e Oroveso mantengono le proprie caratteristiche precipue, Pollione è tramutato in esploratore del continente nero ispirato alla figura dell’italiano Pietro Savorgnan di Brazzà, pioniere fascinoso dai tratti romantici. Ci si confronta/scontra con la diversità incarnata dal colore della pelle e dai riferimenti culturali: la Walker inserisce l’elemento della maschera africana, ponendo l’accento sull’innaturalezza dei volti scuriti artificialmente. Il sobrio assetto scenico punta l’attenzione su elementi fortemente caratterizzanti come la giungla, la solennità della natura e, appunto, la maschera. Quest’ultima ha dimensioni imponenti che coprono l’intero palcoscenico, plasmando le forme sulle quali gli artisti si muovono durante la recita. A queste idee, legate al percorso artistico della pittrice e scultrice, è abbinata una concezione registica statica, spesso slegata dalla narrazione e poco curata nell’evidenziazione dei caratteri dei personaggi. I tormenti della protagonista vengono approfonditi con distacco, mentre la personalità del romano rischia di perdere alcuni tratti precipui, smarriti nella rivisitazione. Se l’aspetto visivo non suscita particolari entusiasmi, la resa musicale si dimostra ulteriormente scialba e priva di elementi di un certo interesse. Maria Billeri approccia il ruolo di Norma con carattere ferino. In scena è sanguigna, eccessiva, a tratti, per quella tempra attoriale vivace e personalissima. Le caratteristiche vocali sono però lontane dalle esigenze della protagonista: il registro centrale appare leggermente velato, l’acuto è spesso agganciato con incertezza, gli abbellimenti non sono sempre precisi. Va riconosciuta l’attenzione riservata al fraseggio che sopperisce, nei limiti del possibile, alla definizione della sacerdotessa. Roxana Costantinescu ricopre il ruolo di Adalgisa senza grandi slanci. La definizione della ‘giovine ministra del tempio’ risulta sommaria ma nel complesso credibile. Benché l’emissione appaia disomogenea, con alcune forzature nell’ascesa del pentagramma, la recita viene condotta a termine senza capitali incidenti di percorso. Il tanto atteso Gregory Kunde torna ad affrontare la parte di Pollione. La voce del tenore statunitense sembra indurita, specie in seguito all’ampiamento smisurato del proprio repertorio, avara di sfumature e costretta a scendere a patti con le esigenze della partitura. Nonostante ciò l’artista, proveniente da fulgida carriera belcantistica, possiede l’intelligenza interpretativa che è in grado di fronteggiare le mancanze dando sovente sfogo alla regione acuta, dove si odono suoni gloriosi. Dmitry Belosselskiy si disimpegna onorevolmente nei panni di Oroveso. A completare il cast Emanuele Giannino, perfettibile Flavio, e Anna Bordignon, Clotilde. Anche il concertatore attua scelte piuttosto discutibili. Gaetano d’Espinosa opta per tempi poco sintonici mentre le dinamiche, tendenti all’enfasi, non giovano alla lettura belliniana. La direzione nerboruta rischia di oscurare le levigate volute della scrittura, riscattando solo parzialmente un’opera assente dal palcoscenico veneziano da più di vent’anni. L’orchestra ed il coro, quest’ultimo preparato da Claudio Marino Moretti, forniscono una prova soddisfacente. Il nutrito pubblico non lesina sonori consensi, in particolare all’indirizzo di Gregory Kunde.




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