Un programma monografico su Anatolij Ljadov è stato presentato dal pianista genovese Marco Rapetti all’Accademia del fortepiano Bartolomeo Cristofori di Firenze lo scorso dicembre. Di Ljadov si conosce pochissimo, almeno da noi, dell’abbondante produzione pianistica ma di certo un pezzo lo conoscono tutti: “Una tabacchiera musicale”. Ma non tutti sanno che Ljadov era un esponente importantissimo della vita musicale russa tra i due secoli e che fu in stretta relazione con il gruppo dei Cinque, stimatissimo compositore ma, come ci ha raccontato Rapetti, che ogni tanto forniva informazioni aneddotiche assai brillanti e simpatiche sull’autore, pigrissimo: fu per il suo assenteismo che fu cacciato dal conservatorio di San Pietroburgo, dalla classe di Rimskij-Korsakov. Due anni dopo, però, fu riammesso per diplomarsi in composizione. In realtà questa sua pigrizia è apparente, vista la produzione così corposa di brani per pianoforte. Tra l’altro Rapetti è anche l’esecutore di un pregevole cofanetto di cinque CD dell’opera omnia per pianoforte di Ljadov, edito per Brilliant Classic nel 2011. La produzione di Ljadov si distingue per un certo numero di piccoli brani descrittivi, musica a programma, un po’ nello stile schumanniano delle piccole immagini come in Kinderszenen, quasi tutti con titolo, vere e proprie miniature musicali, accanto a Preludi, mazurke, intermezzi, parafrasi, variazioni, tutti brani uno più interessante dell’altro, visto il virtuosismo per il quale l’autore era famoso all’epoca, virtuosismo richiesto anche ai suoi esecutori e che Rapetti ha mantenuto. Pur esperto e stimato orchestratore, la pigrizia impedì a Ljadov di comporre opere o brani sinfonici che lo distogliessero dal suo mondo di rilassatezza. Rapetti ricordava infatti, nei suoi racconti, che il primo compositore ad essere interpellato da Diaghilev per “L’uccello di fuoco” fu proprio Ljadov, ma visti i suoi ritardi e temporeggiamenti, l’ideatore dei Ballets Russes incaricò Stravinskij. Per fortuna, diremmo noi, perché altrimenti non possederemmo quel capolavoro assoluto. Iniziato con “Birjul’ki” (gioco degli stecchetti), della produzione giovanile di Ljadov, una sorta di esercizi pianistici un po’ sterili se si vuole, ma che comunque mostrano la capacità compositiva dell’autore in erba, il programma ha proseguito con un bel Preludio in si minore e una “Shestovije” (processione), suggestiva. L’attenzione all’infanzia era rappresentata da un “Pro starinu” (C’era una volta) e una “Kolïbel’naya” (Ninna nanna), due deliziosi pezzi degli anni 90, le Variazioni su un tema polacco, del 1901, che concludeva la prima parte. Nella seconda parte abbiamo ascoltato cinque preludi di vari periodi, ma tutti degli anni 90, per concludere con i “Quattro pezzi op. 64”. Rapetti, che ama e diffonde con affetto questi programmi un po’ gozzaniani, ha sfoderato tutto il fascino del suo pianismo, espressivo e pertinente, purtroppo un po’ penalizzato da un pianoforte a tre quarti di coda non perfettamente in ordine. Molti bis, tra cui la famosa “Tabacchiera”.
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