Renzo Bellardone
Dopo lo scarso successo riscosso alla prima di San Pietroburgo il 10 novembre del 1862 con il testo di Piave, ed i più benevoli consensi ottenuti alla prima italiana alla Scala di Milano il 27 febbraio 1862, dopo la riscrittura dello ‘scapigliato’ Ghislanzoni’, ‘La Forza del destino’ è stata più volte riproposta dai più grandi teatri d’opera del mondo. Al Regio di Parma, con la realizzazione dell’eclettico Stefano Poda, sua la regia, le scene, i costumi, le coreografia e le luci, è stato raggiunto un vertice eccelso che anche il rigoroso pubblico parmense ha dimostrato di gradire fin dalla prima del 28 gennaio 2011. E’ arduo il compito di reperire definizioni che ben si attaglino e descrivano in modo aderente ed esaustivo la genialità della messa in scena, mentre è fin troppo facile parlare di visioni, suggestioni ed emozioni che scaturiscono dal profondo, alla vista della cupezza della scena, così come è cupa la vicenda narrata. Unica interruzione sono i fasci di luce che tagliano la scena così come nella cultura cui fa riferimento la narrazione, la luce divina scende ad intervenire sulla umana terrestrità. La scenografia ha rimandi simbolici alla sontuosità ed alla gestualità della liturgia ecclesiastica nel momento della sua più alta espressione e rappresentazione; qui si realizza attraverso un perfetto incastro tra narrazione e partitura, coinvolgendo lo spettatore al punto che, subendo il fascino della scena, diventa parte attiva e creativa, in un tutt’uno con il palco. L’ouverture inizia con palcoscenico buio e fumi che sovrastano l’orchestra ad avvolgere le celeberrime note che diventano poi leit motiv dell’opera verdiana. L’orchestra inizia in modo pacato, ma poi prende vigore drammatico ad accogliere Donna Leonora interpretata da Dimitra Theodossiou – debuttante il ruolo-, che subito calata nella parte, presenta buone doti vocali soprattutto nel fraseggio, nei lunghi ‘assolo’, nei pianissimi e nei filati, supportati da una convincente interpretazione drammatica. Giuseppe Verdi, in quest’opera ha previsto che ogni personaggio abbia un ruolo ben definito e rappresentativo, evidenziandolo e caratterizzandolo, senza trascurare la spettacolarità coinvolgente dei brani a più voci ed il ruolo del coro che contribuisce all’affresco, dipinto con tutte le alternanze della vita!
Il primo duetto è quello tra Leonora e Don Alvaro ‘Dividerci il fato non potrà ’: le corrette prese di fiato di lei, la partecipata e piacevole vocalità del tenore venezuelano Aquiles Machado , ricevono molti consensi dando l’avvio ad una rappresentazione di grande peso (nella serata in questione è stata effettuata la registrazione del dvd). Circa la globale riuscita della realizzazione non è assolutamente da sottacere il geniale contributo di Poda che, ad eccezione della parte musicale, firma la totalità dell’impianto. Con materiali ‘poveri’ quali polistirolo e carta è riuscito a creare rilucenti e tenebrose – al tempo stesso- ambientazioni di forte impatto visivo ed emozionale, pur utilizzando solo un breve range di colori, che va dal grigio perla al nero; efficace collocazione nel tempo della narrazione, seppur in spazi dilatati , valorizzati da luci ed ombre raffinate ed incisive che sapientemente gestite diventano elementi protagonisti, come i costumi realizzati con stoffe bruciate e sbrindellate. L’orchestra del Teatro Regio di Parma è diretta da Gianluigi Gelmetti che pur senza scavare costantemente nella profondità drammatica dell’opera dirige in costante sintonia con orchestra e cantanti tanto da far risultare una buona riuscita, partecipata ed integrata fra tutti gli elementi; in orchestra molti giovani che seguendo puntualmente i gesti del direttore, traggono tutte le intimistiche atmosfere che la partitura impone. Ziyan Afteh che ha la giusta fisicità per calare i panni del Marchese di Calatrava risulta impegnato al limite della potenza in un ruolo breve, ma determinante. Quando Leonora giunge travestita da uomo alla taverna, non incontra i soliti ubriaconi che fanno grossolani brindisi, ma una rappresentazione coreografica che con ballerini in rigoroso nero si muovono in una moderna danza a scatti, al limite del ‘mimo’ che infonde raffinata e sobria eleganza alla scena che prevede anche la presenza del coro, che diretto da Martino Faggiani, è all’altezza della situazione meditativa ed evocativa; I diversi interventi coreutica prevedono anche delle voci soliste, rappresentate da punte di qualità. I pellegrini, una volta tanto non incappucciati, hanno comunque il volto coperto in nero, come nelle antiche tradizionali processioni spagnole; si muovono lentissimi e portano stendardi neri, quasi trasparenti, mossi da un debole vento. E’ poi la volta di Myung Ho Kim che riesce simpatico e piacevole nelle vesti prima di mulattiere e poi di mastro di Trabucco, nonostante qualche forzatura ed un timbro non sempre limpidissimo. Mariana Pentcheva, ovvero la zingara Preziosilla, sa tenere bene la scena e nel ‘Rataplan’ del finale del III° atto risulta autentica nella parte con un colore più appassionato e variegato. Le pareti del palazzo dei Calatrava del I atto, vengono spostate a scena aperta a costruire il convento, rappresentato da una grande croce in verticale, aperta verso l’alto a simboleggiare l’accettazione che la luce ‘superiore’ può partire e giungere da ogni parte, senza costrizione alcuna.
E’ qui che Donna Leonora ed il Padre Guardiano duettano nel ‘Più tranquilla l’alma sento’ e la commovente Theodossiou è in equilibrata sintonia con Roberto Scandiuzzi che incute timore reverenziale ancorché rasserenante, con un bel timbro profondo ed intonazione calibrata. I tagli di luce spariscono, lasciando che le ombre prevarichino nella caverna dell’eremita, solo d’intorno rischiarata da torce vere che si consumeranno in scena. Grande momento d’organo a cui seguono i violini ed all’improvviso il Padre Guardiano, che fa sdraiare a terra i frati per giurare di non tradire il segreto di Leonora, costringendoli nella posizione del più grande voto assunto, quasi a rinnovarlo di fronte a Dio. A Don Carlo Vargas il ruolo impone solo il senso del ‘non perdono’ e della vendetta ed il baritono bulgaro Vladimir Stoyanov è efficace nell’infondere al personaggio le peculiarità che gli sono proprie. La battaglia si concretizza attraverso una superba coreografia che vede corpi a terra, in parte aggrovigliati con sullo sfondo il finale della battaglia: corpi indefiniti ed accatastati, sovrastati da corpi appesi a simboleggiare l’estremo risultato di essa: la morte inflitta da tutte le guerre di tutti i tempi a uomini incapaci ed impotenti nei loro corpi mortali. Grazie alla continuità di emissione e grande forza interpretativa, Carlo Lepore è l’applauditissimo Fra Melitone; la brillante interpretazione, che interrompe la grevità della vicenda, fa ringraziare che Giuseppe Verdi non abbia ceduto alle pressioni di Tito Ricordi che gli suggeriva di eliminare la parte. Adriana di Paola, nelle vesti di Curra, Alessandro Bianchini in quelle di un Alcade e Gabriele Bolletta nel ruolo del chirurgo soddisfano le attese, ben delineando i loro personaggi seppur in poche battute. ‘La Vergine degli Angeli’ e ‘Pace pace mio Dio’ sono pagine che trasudano bellezza melodica e poesia intimistica, qui amplificate da una grande croce posta in diagonale, come piombata a terra insieme alle sofferenze dei personaggi della vicenda. L’orchestra ed il palcoscenico compiono insieme un viaggio attraverso le fasi della vita, in un percorso verso la luce suprema, esaltata da un pulviscolo dorato che scende in un fascio di luce centrale. Il severo pubblico del Regio ha applaudito più volte a scena aperta con ovazioni e richieste di bis. Alla fine esplode un lungo applauso che richiama più volte tutti i cantanti, il direttore del coro, il direttore dell’orchestra ed il regista ‘onnirealizzatore’ . La musica vince sempre!
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