Massimo Crispi
Quando si dice che una è nata per cantare. È il caso di Anna Bonitatibus, che già contiene nel nome molti segni del suo destino: Anna, la piena di "grazia", e Bonitatibus, accompagnata da tutte le "bontà". Mica poco! Anche perché poi è un bell'impegno mantenere simili promesse. Il canto, per Anna Bonitatibus, si svolge come una naturale continuazione del verso, la vocalizzazione appare all'udito dell'ascoltatore come la cosa più normale del mondo. E, chissà se è un caso, il fatto che il nome dell'artista sia anche palindromo, quindi con la peculiarità della continuità, del cerchio che prosegue la sua corsa nel punto del suo inizio, sembra che sia anche una caratteristica di una voce senza interruzioni, con una pregevole uguaglianza di registri, che scorra dal grave verso l'acuto o viceversa... La grazia è la qualità che più contraddistigue il CD Sony-RCA "Un Rendez-vous", una pregevole collezione dei "peccati di vecchiaia" di Gioachino Rossini, ossia di alcuni di quei brani riservati a un uso domestico, tutt'al più ai visitatori del suo salotto di Passy, dopo il suo sdegnoso ma consapevole ritiro dai fasti della lirica come compositore, e, perbacco, con un farewell recital come il "Guillaume Tell"! I segni non sono mai messi per pura combinazione, come nel caso del nome del nostro mezzosoprano: tra i vari "peccati" rossiniani, c'è un'aria simbolica, non a caso di Pietro Metastasio, il più grande poeta per la musica del XVIII secolo, quasi simulacro universale di un'età aurea del melodramma, quell'epoca felice punto di riferimento della composizione del cigno pesarese, di stampo assolutamente belcantista in continuità col passato e in una dialettica senza prospettive colla musica "moderna". Quell'aria è "Mi lagnerò tacendo", dal "Siroe", testo emblematico e ricorrente del celebre "silenzio" rossiniano: il compositore si lagna "della sua sorte amara", ossia il non comporre più per la scena dopo esserne stato il massimo autore del suo tempo; e si lagna "tacendo", rifiutandosi di scrivere se non per sé stesso e i suoi amici, anche perché non può rinunciare all'amore vero della sua vita, la musica: "Ma ch'io non t'ami, o cara / Non lo sperar da me". Non c'è testo più eloquente di questa quartina di Metastasio, che Rossini musicò nientemeno che più di cinquanta volte, per tutti i tipi di voce e coi ritmi e i caratteri più vari dai boleri alle aragonesi, dai zorzicos agli "adagio" e ai "largo", dilatatissimi, agli "allegro agitato", divertendosi colle note come sempre fece nella sua vita. Addirittura una raccolta di queste arie la intitolò "Musique Anodine", anodina, quasi un sollievo per sé, un palliativo, ma anche anodino nel senso di inutile, chissà... Ovviamente Rossini era un peccatore assai vario e i suoi "peccati di vecchiaia" sono sempre lo specchio di una fantasia e una giocondità, sempre in agguato, dell'autore. Questo piccolo scrigno che Anna Bonitatibus ci presenta contiene arie bellissime ed eleganti, come "La dichiarazione" e "La partenza", "Beltà crudele" e i vari "Mi lagnerò tacendo" ma anche degli scherzacci goliardici come "Hai la sottana" ("Hai la sottana stracciata e rotta / mostri la po... " (e qui ci sarebbe la rima baciata col verso precedente che viene risolta con: "mostri la po...vera tua condizion") e, ancora più ribalda, "Nella stagion di maggio", dove "una quercia antica" si vorrebbe far rimare con... quello che avete capito voi. O l'assoluto dada dell' "Ave Maria" su due sole note e un "Mi lagnerò tacendo" su una sola nota, dove Rossini dimostra come la voce possa essere un pretestuoso bordone e il pianoforte svolgere l'autentica parte lirica per non parlare di "Laus Deo", francobollo musicale, dove la parte del canto è ridotta alla ripetizione del titolo, in trenta secondi, senz'altro aggiungere... come a dire: non scocciatemi colla musica liturgica. Oppure ancora con arie che nascondono temi espressi in altre composizioni, utilizzando testi francesi al posto di altri in veneziano e in italiano, come la "Barcarolle", su musica de "La regata veneziana" e "La Légende de Marguerite" sull'aria di Cenerentola "Una volta c'era un re". La versatile verve vocale e interpretativa della Bonitatibus, sorretta nel suo continuo e funambolico gioco di caratteri dal bravo pianista Marco Marzocchi, ci accompagna in questa visita al salotto di Rossini, un non-luogo che porta in sé tutto il gusto agrodolce del "temps perdu", con un'altra virtù, oltre alla già accennata grazia: la leggerezza. La leggerezza con cui Gioachino Rossini affrontava anche i temi più scabrosi, i tabù più profondi, come i sottintesi sessuali o il significato della morte nella nostra cultura, pesantemente segnata da ingerenze e orpelli ecclesiastici, dai quali il compositore fa capolino con l'arma più potente di tutte: lo sberleffo.
Quando si dice che una è nata per cantare. È il caso di Anna Bonitatibus, che già contiene nel nome molti segni del suo destino: Anna, la piena di "grazia", e Bonitatibus, accompagnata da tutte le "bontà". Mica poco! Anche perché poi è un bell'impegno mantenere simili promesse. Il canto, per Anna Bonitatibus, si svolge come una naturale continuazione del verso, la vocalizzazione appare all'udito dell'ascoltatore come la cosa più normale del mondo. E, chissà se è un caso, il fatto che il nome dell'artista sia anche palindromo, quindi con la peculiarità della continuità, del cerchio che prosegue la sua corsa nel punto del suo inizio, sembra che sia anche una caratteristica di una voce senza interruzioni, con una pregevole uguaglianza di registri, che scorra dal grave verso l'acuto o viceversa... La grazia è la qualità che più contraddistigue il CD Sony-RCA "Un Rendez-vous", una pregevole collezione dei "peccati di vecchiaia" di Gioachino Rossini, ossia di alcuni di quei brani riservati a un uso domestico, tutt'al più ai visitatori del suo salotto di Passy, dopo il suo sdegnoso ma consapevole ritiro dai fasti della lirica come compositore, e, perbacco, con un farewell recital come il "Guillaume Tell"! I segni non sono mai messi per pura combinazione, come nel caso del nome del nostro mezzosoprano: tra i vari "peccati" rossiniani, c'è un'aria simbolica, non a caso di Pietro Metastasio, il più grande poeta per la musica del XVIII secolo, quasi simulacro universale di un'età aurea del melodramma, quell'epoca felice punto di riferimento della composizione del cigno pesarese, di stampo assolutamente belcantista in continuità col passato e in una dialettica senza prospettive colla musica "moderna". Quell'aria è "Mi lagnerò tacendo", dal "Siroe", testo emblematico e ricorrente del celebre "silenzio" rossiniano: il compositore si lagna "della sua sorte amara", ossia il non comporre più per la scena dopo esserne stato il massimo autore del suo tempo; e si lagna "tacendo", rifiutandosi di scrivere se non per sé stesso e i suoi amici, anche perché non può rinunciare all'amore vero della sua vita, la musica: "Ma ch'io non t'ami, o cara / Non lo sperar da me". Non c'è testo più eloquente di questa quartina di Metastasio, che Rossini musicò nientemeno che più di cinquanta volte, per tutti i tipi di voce e coi ritmi e i caratteri più vari dai boleri alle aragonesi, dai zorzicos agli "adagio" e ai "largo", dilatatissimi, agli "allegro agitato", divertendosi colle note come sempre fece nella sua vita. Addirittura una raccolta di queste arie la intitolò "Musique Anodine", anodina, quasi un sollievo per sé, un palliativo, ma anche anodino nel senso di inutile, chissà... Ovviamente Rossini era un peccatore assai vario e i suoi "peccati di vecchiaia" sono sempre lo specchio di una fantasia e una giocondità, sempre in agguato, dell'autore. Questo piccolo scrigno che Anna Bonitatibus ci presenta contiene arie bellissime ed eleganti, come "La dichiarazione" e "La partenza", "Beltà crudele" e i vari "Mi lagnerò tacendo" ma anche degli scherzacci goliardici come "Hai la sottana" ("Hai la sottana stracciata e rotta / mostri la po... " (e qui ci sarebbe la rima baciata col verso precedente che viene risolta con: "mostri la po...vera tua condizion") e, ancora più ribalda, "Nella stagion di maggio", dove "una quercia antica" si vorrebbe far rimare con... quello che avete capito voi. O l'assoluto dada dell' "Ave Maria" su due sole note e un "Mi lagnerò tacendo" su una sola nota, dove Rossini dimostra come la voce possa essere un pretestuoso bordone e il pianoforte svolgere l'autentica parte lirica per non parlare di "Laus Deo", francobollo musicale, dove la parte del canto è ridotta alla ripetizione del titolo, in trenta secondi, senz'altro aggiungere... come a dire: non scocciatemi colla musica liturgica. Oppure ancora con arie che nascondono temi espressi in altre composizioni, utilizzando testi francesi al posto di altri in veneziano e in italiano, come la "Barcarolle", su musica de "La regata veneziana" e "La Légende de Marguerite" sull'aria di Cenerentola "Una volta c'era un re". La versatile verve vocale e interpretativa della Bonitatibus, sorretta nel suo continuo e funambolico gioco di caratteri dal bravo pianista Marco Marzocchi, ci accompagna in questa visita al salotto di Rossini, un non-luogo che porta in sé tutto il gusto agrodolce del "temps perdu", con un'altra virtù, oltre alla già accennata grazia: la leggerezza. La leggerezza con cui Gioachino Rossini affrontava anche i temi più scabrosi, i tabù più profondi, come i sottintesi sessuali o il significato della morte nella nostra cultura, pesantemente segnata da ingerenze e orpelli ecclesiastici, dai quali il compositore fa capolino con l'arma più potente di tutte: lo sberleffo.
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