Foto: Ramella&Giannese
Renzo Bellardone
In occasione del 120° anniversario della prima
esecuzione assoluta di ‘La bohème’ di Giacomo Puccini - Torino, Teatro Regio, 1
febbraio 1896 Resta celebre la frase di Massimo d'Azeglio "abbiamo fatto l'Italia, ora si tratta
di fare gli italiani", quando il 27
gennaio 1861 si svolse il primo turno per le elezioni dei deputati del primo
Parlamento nazionale che fu inaugurato il 18 febbraio dello stesso anno presso
Palazzo Carignano, residenza reale dei Savoia a Torino. Il primo Parlamento
italiano, fu composto, tra gli altri, dagli eroi dell'Unità d'Italia come
Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi.
Torino, prima capitale d’Italia resta anche la sede della Prima Assoluta di
Bohème che la responsabile e visionaria direzione del Teatro Regio ripropone in
apertura della stagione 2016/17 in onore dei 120 anni dalla sua prima
esecuzione pubblica. Parigi o
forse un qualsiasi posto all’interno di
una grande città europea è l’ambientazione scenica strutturalmente innovativa e volumetricamente colossale: a
vederla dal palco e guardare verso l’alto è impressionante il groviglio di tubi
e scale per tre piani di abitazione metallica. Alfons Flores ha realizzato una scenografia di forte impatto che
lascia tutto il sapore e l’aura di Bohème collocando la vicenda in una sorta di gabbia con ampie aperture come è la vita: la
gabbia che l’individuo si costruisce intorno, ma che con visione lascia ricca di aperture verso il mondo in
cui entrare e da cui uscire. La regia di Alex
Ollè è assolutamente rispettosa della trama e nulla toglie all’emozione che
le arie pucciniane inoserabilmente fanno trabordare. I costumi di Lluc
Castess sono poveri come spesso la contemporaneità ci propone, ma
pertinenti; le luci di Urs Schönebaum,
senza ricercare effetti speciali (inutili in una realizzazione del genere) sono
puntuali e di assoluta efficacia il finale dove domina il grigio metallico con
l’unica nota di colore rosso della
coperta di Mimì appena spirata.
Veniamo ora alla parte musicale. La consueta vigoria
direzionale di Gianadrea Noseda è
stata indirizzata alla ricerca della forte emozione e forse di una sorta di
intima spettacolarizzazione della stessa, ovvero l’esaltazione dei sentimenti
vissuti dai personaggi. L’apparente disconnessione tra l’impeto e la poesia dei dolci sentimenti viene
smentita da un coinvolgente Noseda che con cura ricercata va a trovare stille
di profumi musicali che sottolineano con
impalpabile evanescenza i sospiri di Mimì……” si mi chiamano Mimì…il perché non
so !” ed il trittico Noseda, orchestra e
cast è sicuramente vincente. Erika Grimaldi che dopo aver
timidamente fatto i primi passi canori proprio al Regio e proprio con Noseda,
ora calca i più prestigiosi palcoscenici del mondo, e qui è la dolce
protagonista che acuisce l’innata dolcezza grazie all’attesa dell’imminente
maternità. La Grimaldi ha un bel colore e buon volume che porta la sua voce a
scintillare sia negli acuti che nei toni più sommessamente espressivi. Circa il
tenore Iván Ayón Rivas che dire? Un ragazzo poco più che ventenne
che alla sua prima uscita in palcoscenico riesce a catturare il pubblico è
assolutamente meritevole di apprezzamenti ed applausi. La gioventù si
percepisce, ma il livello già raggiunto è encomiabile! Bravo Rivas ed ancora
una volta bravo a Noseda che crede nei giovani ed offre loro la possibilità di
cimentarsi con il palco, con i ruoli ed in fine con se stessi, per studiare e
crescere. Francesca Sassu accorata e cristallina Musetta è piaciuta
sinceramente ed anche Simone Del Savio
nel ruolo del pittore Marcello ha dato prova di maturità. Gabriele Sagona in Colline con la sua “vecchia zimarra” è stato
apprezzato per intonazione e bel timbro.
Shaunard il musicista ha incontrato in Benjamin Cho un simpatico e divertente interprete con buon garbo nell’emissione. Bravi anche gli altri
interpreti ed uno per tutti farei un
accenno a Matteo Peirone (alla sua
120 recita in Boheme) nel doppio ruolo dell’inquietante Benoit che porta le
bollette dell’affitto da pagare e poi in quello di Alcindoro simpaticamente
buffo al Caffè Momus (forse sulla rive gauche? forse sulla rive droite?....non
importa!) simpaticamente servito da cameriere tentatrici in abito bianco e
parrucca azzurra. Tutta l’opera è pervasa dal leit motiv che affiora qua
e là con malcelata indifferenza a creare e mantenere l’attesa dell’emozione che
inevitabilmente pervade. La Musica vince sempre!
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