Foto: Ramella&Giannese - Teatro Regio di Torino
Renzo Bellardone
La sera antecedente ‘Manon’ al Regio di Torino, mi
trovavo a Santhià al concerto delle ‘4 Stagioni’ di Vivaldi eseguito
dall’orchestra barocca ‘De Giardini’ con violino solista e maestro concertatore
Eugenio Sacchetti; alla fine del concerto “atteggiandomi
a conoscitore” commentavo con il pianista Massimiliano Genot che in Vivaldi
già c’erano i Leitmotiv presenti poi nelle opere di Wagner, ma sentendo poi
Puccini ecco che li ritrovo nella più alta espressione poetica ! MANON: un titolo una garanzia, che nella produzione
torinese si avvalora con la presenza di artisti eccezionali, diretti da un
eccezionale Gianandrea Noseda! L’inizio dell’opera è
preceduto dalla lettura di un comunicato sindacale che invita tutti gli
spettatori ed amanti del teatro e della cultura a tutto raggio, a sottoscrivere
una petizione reperibile nel teatro stesso, volta a conservare i posti di
lavoro nei teatri ed a preservare il futuro della cultura
italiana! Tornando a parlare della
superba direzione di Noseda è
inevitabile sottolineare la passione, l’attenzione, l’amore ed il rigore che lo
stesso riversa sulla bacchetta alla ricerca della perfezione stilistica ed
all’emozione pura; Noseda in Manon ha tratto pagine di sinfonia assoluta,
esaltando la luminosità della partitura!
Puccini in Manon raggiunge vette eccellenti ed
ancorchè conosciute riescono sempre a scatenare emozioni e commozione, che
pervadono platea e palco e Noseda, ai vertici della bravura, tocca punti di
liricità e di toccante poesia da stravolgere anche gli animi più duri.
Il Teatro Regio con Manon ha
centrato un altro obiettivo, infatti l’opera è stata apprezzata in ogni suo
aspetto: la regia di Vittorio Borrelli è attenta ai particolari e non
lascia mai vuoti scenici, sfruttando al meglio le scene di Thierry Flamand
fastose e sicuramente realizzate più con
sapienza che impiego di risorse, ma l’insieme risulta fulgido di ricchezza,
fotografico all’imbarco delle prostitute e poi deserticamente essenziale al finale. Le
luci di Andrea Anfossi vengono utilizzate con la cautela che porta ad un
sicuro effetto ed anche i costumi di Christian
Gasc sono belli. Venendo al canto riesce
davvero difficile stabilire il podio, ma un accenno di riguardo lo riserverei a
Gregory Kunde –lo studente Des Grieux- che in barba all’età offre un
timbro fresco ed espressioni arrotondate
da incantare; il mio posto in teatro era in un palco, quindi a fondo sala, ma
la sua voce, il suo fraseggio, il suo porgere dolcezza ed emozione mi sono
arrivate come se fossi stato in prima fila. ‘Donna non vidi mai’, piuttosto che
‘Pazzo sono’ sono sinceramente da
ricordare. Interprete di riferimento in molti ruoli, credo possa essere esempio
ai più giovani colleghi, per l’arte nell’uso della voce. Bravissima anche Maria
José Siri, nei panni della protagonista: deliziosamente accattivante prima
ed accorata poi ha reso il personaggio nelle varie situazioni, con lo stesso
carisma e con estrema facilità nell’emissione. Nel duetto con Des Grieux ben
viene espressa la struggente passione e
forte carica erotica, così come nel ‘Sola…perduta, abbandonata’ estrae
tutta la drammaticità del momento e fa perdonare Manon per la leggerezza del
suo passato. Il sergente Lescaut trova
nel baritono Dalibor Jenis un interprete dal piglio deciso, interessante sia per la presenza scenica che
per il tono che per i colori che esprime, parimenti a Carlo
Lepore, sempre piacevole da ascoltare e che rende il personaggio di
Ravoir in modo davvero incisivo e di
alta cifra stilistica. Pregevole l’intero cast ed il
coro diretto da Claudio Fenoglio che si riconferma ottimo anche in
questa occasione. La Musica vince sempre.
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