Ramón Jacques
Il mio primo incontro con la voce di Anna Bonitatibus avvenne nell’aprile del 2006 e fu da una poltrona dell’Opera di Monaco di Baviera dove il mezzosoprano italiano interpretava il personaggio di Orfeo (nella versione francese Orphée et Eurydice di Gluck). L’impressione convincente che destò quella produzione e la sua prestazione vocale mi portarono a scrivere una recensione per una pubblicazione in lingua spagnola (Pro-Opera) nella quale sottolineavo che “había mostrado compenetración y una convincente caracterización del rol de Orphée y se lució por su canto exuberante, agilidad, y una proyección de relieve, conquistando al público con su sublime interpretación del aria “Jai perdu mon Eurydice”.
Questa intervista è nata casulamente, quando ho saputo che quella produzione era considerata dalla cantante una delle migliori riuscite della sua carriera, una carriera prolifica e brillante. Ma, indipendentemente da questo, io ho incontrato una persona di grande simpatia, che emana un calore e affetto indescrivibile.
Quando hai deciso di fare del “canto” la tua carriera e come hai iniziato?
Ho iniziato lo studio del Canto mentre già studiavo Pianoforte. Quando decisi di cominciare a far della Musica anche una professione, la prima occasione, tra l’altro casuale, che mi si presentò fu attraverso la “voce”, di conseguenza un po’ alla volta ho poi abbandonato l’idea di diventare pianista per dedicarmi all’approfondimento della tecnica vocale.
Il tuo primo amore “musicale” è stato Rossini?
Posso senza far torto a nessuno descrivermi come una “fondamentalista” rossiniana. E’ con il sorriso che ovviamente mi permetto questa piccola licenza. Studiando le composizioni del grandissimo Maestro e la sua vita ricca di avvenimenti, sono sempre più persuasa del fatto che senza di lui tanti capolavori scritti dopo forse non sarebbero esistiti, o per lo meno avrebbero intrapreso differenti percorsi. Cenerentola, Italiana in Algeri, La donna del lago, Barbiere, Le Comte Ory, La Petite Messe solennelle, e la lista è fortunatamente lunga, sono un tripudio di bellezza, ironia, languore e realismo incredibili. Aggiungo che il tecnicismo richiesto dalla Sua penna certamente necessita di allenamento (il che è solo un bene) e non lo considero fine a sè stesso, bensì arricchimento della perfetta melodia. Rossini ammirava molto Mozart e Haydn e mi sento certamente vicina al Suo pensiero. Haydn in realtà a sua volta aveva preparato per così dire, un terreno molto fertile allo stesso Mozart, che aggiunse ovviamente agli schemi del suo predecessore fantasia e colori che ritrovo ogni volta come nuovi in Cherubino, nella Clemenza e certamente nel Così fan tutte, macchina perfetta teatrale.
Chi sono i tuoi cantanti modelli?
Mi piace sentirmi vicina ai cantanti del primo Ottocento, coloro per i quali venivano poi scritte le Opere prime. Mi riferisco alle grandi Marcolini, Pisaroni, Alboni, Righetti Giorgi, Colbran, Grisi, Viardot, Malibran. Non abbiamo registrazioni di queste magnifiche interpreti, ma le cronache del tempo e gli stessi rapporti tra compositori e artisti fanno ben figurare il tipo di lavoro alacre e il tipo di tecnica di ciascuna di loro, in base proprio alla scrittura musicale.
Non posso dire che ci sia una parte preferita nella quale mi identifico. Penso che ogni incontro con un personaggio e ciò che canta è un mondo meraviglioso che ti insegna a scoprire nuovi aspetti, nuovi modi di interpretare e soprattutto nuovi modi di porgere il canto. Ho avuto e dato molto sul barocco e quindi forse oggi sono un po’ più attenta al repertorio del Belcanto e di parte della letteratura francese.
L’incontro con il barocco è stato in un certo senso una fortuna perchè mi ha consentito di curare molto l’aspetto tecnico senza mai forzare la voce, misurandomi allo stesso tempo con i grandi ruoli scritti per i castrati. Questo ha fatto si che ogni volta che ho intrapreso lo studio di un ruolo agile, direi atletico, delle opere di Handel ad esempio, ho potuto cogliere la sfida di cercare di avvicinarmi al colore e all’intensità della voce dei castrati, oltre che alla loro tecnica perfetta.
Posso senz’altro affermare che lo studio del pianoforte è stata la mia guida numero uno. Questo magnifico strumento mi ha insegnato un grande senso di umiltà. Mi spiego meglio, i risultati arrivano solo dopo lo studio, e si sa, che se non si cura la tecnica, si può anche avere tanta musicalità ma non certo il modo per esprimerla. Di sicuro lo studio quotidiano a volte noioso come a volte esaltante è la chiave che tutt’ora utilizzo per affrontare il mio lavoro.
Qual è il tuo ricordo più importanti sul palcoscenico?
Sicuramente alcuni debutti, alla Scala come al Covent Garden, ma anche ad esempio aver portato Cenerentola a Mosca, dove ha avuto luogo anche un incontro con gli studenti del Conservatorio accorsi numerosi e che mi hanno riservato incredibile calore e affetto. Il ruolo di Cherubino delle Nozze mozartiane, ovunque abbia avuto la fortuna di interpretarlo, è sempre stato foriero di grande felicità per l’accoglienza da parte del pubblico. Non di meno Angelina della Cenerentola appunto, e ultimamente la mia prima Isabella dell’ Italiana in Algeri, mi sta regalando una straordinaria soddisfazione.
Hai al tuo attivo registrazioni discografiche. Credi nel mezzo tecnico?
Guardi, il discorso discografico è un po’ più spinoso di quanto si immagini. Il tempo nel quale viviamo ha trasformato molto il panorama; le case discografiche fanno molta fatica a tenere i battenti aperti anche a causa dei nuovi mezzi di comunicazione, molto più rapidi, incisivi e ovviamente meno costosi. Credo comunque ancora nella registrazione di buona qualità che fà sperare di poter lasciare la traccia di una vita dedicata alla musica e al palcoscenico. Molto è quello che io personalmente ho ricevuto dai grandi del passato e del presente grazie appunto alla registrazione, mi auguro quindi che il futuro possa conservare questo utilissimo e sempre affascinante strumento, quale è il disco.
Quanto tempo deve dedicare un cantante all’apprendimento della parte vocale e di quella attoriale?
L’importanza del personaggio è al pari di quel che canta. I compositori per scrivere si basavano principalmente sul libretto ed è quindi in base allo svolgimento della trama che la musica è stata composta, proprio per dare connotati precisi ai peronaggi e allo svolgimento della vicenda. Se ne deduce che il gesto e l’espressione accompagnano e sottolineano il canto. La musica di Cherubino è scritta affinchè si abbia la sensazione della freschezza della giovinezza e della vitalità, quella per Charlotte del Werther è scritta per descrivere l’implosione dei sentimenti che determinano una sofferenza intima e profonda. Per me quindi è fondamentale cercare di essere quella “persona” più che quel personaggio, per essere più veritiera e comunicativa possibile.
C’è qualche teatro in cui ti senti a casa?
Ho avuto la fortuna di esibirmi molte volte alla Staatsoper di Monaco e lì, si, mi sento un po’ a casa, ma ci sono molti teatri nei quali dal primo momento, mi sono sentita come in famiglia, Covent Garden, Nederlandse Opera, Regio di Torino, Champs-Elysées a Parigi.
In un caso di questo tipo immagino che farei qualcosa di diverso da quanto si possa immaginare, ossia commissionare un’opera nuova, ristabilendo una antica prassi che può solo produrre nuova linfa, nuovi movimenti, nuovi pensieri, proprio come succedeva al tempo dei nostri maggiori operisti. Sarebbe stupendo, tornare a scrivere per i teatri, pensando a quel tipo di cantante/attore, muovendo davvero un po’ le acque. Oggi qualcosa si fà ma è troppo poco e purtroppo ancora troppo distante dal pubblico odierno che ha molta scelta su come vivere il proprio tempo dedicato allo svago e non necessariamente alla cultura, soprattutto nel mio Paese.
Come accennavo prima, i miei sogni riguardano non me in particolare, ma il destino dell’Italia. Soffro molto nel constatare lo stato della cultura in generale nel mio paese e soprattutto lo sfiorire di attività teatrali e il continuo chiudere e stringere ovunque con il risultato di avere sempre meno e di relativa qualità. Mi ritrovo praticamente solo all’estero per svolgere il mio lavoro ed è ormai voce comune la domanda che mi viene rivolta sulla situazione italiana. E’ sempre più difficile trovare una risposta adeguata che non offenda nessuno e che allo stesso tempo rappresenti un ulteriore punto di riflessione profonda su cosa noi si possa fare per scongiurare questo “declino”. Proprio nell’occasione di questa fortunata Italiana in Algeri che ho la gioia di rappresentare, le parole di Isabella “Pensa alla Patria, e intrepido il tuo dover adempi” mi scuotono e vorrei cantarle a tutti i miei connazionali che hanno forse un po’ dimenticato da dove vengono e quale magnifica e irripetibile storia da difendere ha il nostro Paese!
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