Massimo Crispi
Puccini, La Bohème.Parigi è sempre quella dei cieli bigi e dei comignoli che si vedono dalla soffitta dei quattro amici, certo, ma non siamo nella prima metà dell’Ottocento, al tempo di Luigi Filippo. Tutto è in bianco e nero o, meglio, in sfumature di grigio, con qualche vaga acquarellatura, come se si trattasse di un album di fotografie o, come specifica Stefanutti nelle sue note di regia, di un film francese tra le due guerre del Novecento “negli anni in cui gli artisti e gli intellettuali si rifugiavano ancora a Parigi cercando persone con cui condividere il loro entusiasmo”. E il bianco e nero sembra quasi divenire colorato, nei momenti di amore e passione dei protagonisti di questa vicenda verista, quasi personaggi di Émile Zola, ma con un occhio anche a Genet (vedi i marinai, le prostitute, i malfattori e i poliziotti presenti qua e là nell’opera), per poi tornare nel grigio della povertà e dell’indigenza, quando l’amore è finito. Il quartiere periferico di Parigi è molto distante dalla ville lumière degli Champs Élysées o di Place Vendôme. E le vicende di Mimì e Rodolfo non sono limitate all’Ottocento ma sono più vicine a noi, se ne conserva una memoria storica. Questa l’impostazione di Ivan Stefanutti, che ha firmato le scene, i bei costumi e la regia. La produzione era del Circuito Lirico Lombardo (CLL), con l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano e il Coro del CLL, diretti da Damian Iorio. Le soluzioni scenografica e registica di Stefanutti suggerivano quindi una visione cinematografica dell’opera di Puccini, e tutto funzionava, in questa visione. Le relazioni tra i personaggi erano curate anche se la mancanza di Giuseppe Talamo, che avrebbe dovuto cantare Rodolfo ma che, per improvvisa malattia, è stato sostituito da Giuseppe Varano, ha un po’ catalizzato le prestazioni sceniche dei personaggi con cui Rodolfo si relaziona. E se la regia non è convenzionale un’opera come La Bohème può risultare assai difficile per gli artisti. Meno male che Varano aveva già conosciuto, l’anno scorso, la regia di Stefanutti, e così, tutto sommato, questa Bohème è filata abbastanza liscia. L’orchestra non era brillantissima, per la lettura che ne è stata fatta da Iorio, con alcune asperità timbriche e una non costante disinvoltura dinamica. Mancava un po’ la sinuosità avvolgente del suono dell’orchestra di Puccini, quel suono che investe l’ascoltatore e che lo trascina nel suo mondo, fatto di autocitazioni, di frammenti e di leitmotiv, per poi travolgerlo nel pathos più profondo dei momenti drammatici. In alcuni brani dell’opera, a causa delle voci non propriamente robuste di alcuni cantanti, l’orchestra suonava anche troppo forte. La compagnia, tutta formata da giovani artisti era anch’essa discontinua. C’erano voci molto interessanti, come il Marcello di Valdis Janson, baritono che spadroneggiava sul palcoscenico e di cui s’intravede un inizio di carriera degno di nota. Peccato solo che le voci di Gülbin Kunduz, Mimì, e di Elisandra Pérez Mélian, Musetta, fossero un po’ flebili, perché dal punto di vista registico erano convincenti. Di buon livello il Colline di Federico Sacchi, dalla bella voce di basso, e l’atletico Schaunard di Francesco Landolfi che con Janson scambiava il ruolo nell’alternarsi delle recite.
Tutti gli artisti hanno mostrato di essere ottimi attori e hanno reso assai credibile la regia di Stefanutti, anche se alcune cose, per motivi cronologici, non tornavano col libretto. Molto divertente la massa di mimi e comparse che affollava la scena nel secondo atto, con microazioni indovinate ed efficaci nel descrivere il caos della vigilia di Natale, pur in un quartiere povero e periferico. Toccante il quartetto del terzo atto mentre l’ultimo atto è stato il migliore di tutti, vuoi per la scrittura musicale che fa sempre centro, vuoi per il coinvolgimento degli artisti e della compagine orchestrale. Il ricordo della vita bohèmienne, che Puccini conobbe nella sua gioventù di studente a Milano, non l’aveva mai abbandonato e la freschezza e la passionalità della sua musica ha funzionato anche stavolta. Buon successo di pubblico.
Tutti gli artisti hanno mostrato di essere ottimi attori e hanno reso assai credibile la regia di Stefanutti, anche se alcune cose, per motivi cronologici, non tornavano col libretto. Molto divertente la massa di mimi e comparse che affollava la scena nel secondo atto, con microazioni indovinate ed efficaci nel descrivere il caos della vigilia di Natale, pur in un quartiere povero e periferico. Toccante il quartetto del terzo atto mentre l’ultimo atto è stato il migliore di tutti, vuoi per la scrittura musicale che fa sempre centro, vuoi per il coinvolgimento degli artisti e della compagine orchestrale. Il ricordo della vita bohèmienne, che Puccini conobbe nella sua gioventù di studente a Milano, non l’aveva mai abbandonato e la freschezza e la passionalità della sua musica ha funzionato anche stavolta. Buon successo di pubblico.
No comments:
Post a Comment
Note: Only a member of this blog may post a comment.