Thursday, January 14, 2010

Beethoven, Ouvertures - Igor Markevitch, Orchestre des Concerts Lamoureux

L. van Beethoven
Ouvertures
Dir. Igor Markevitch
Orchestre des Concerts Lamoureux, Paris
Registrazione in studio, 1958
Roberta Pedrotti

Dobbiamo esprimere un unico rammarico, recensendo questo Cd; quello di non trovare, nel foglio che accompagna il disco, null’altro che l’elenco delle tracce, il luogo e la data della registrazione e una fotografia del direttore. È capitato anche con altre recenti pubblicazioni della collana storica IDIS e ci spiace perché Danilo Prefumo ci aveva abituati a introduzioni sintetiche ma esaurienti e soprattutto molto corrette e oneste nell’evidenziare i motivi d’interesse delle registrazioni senza nascondere eventuali debolezze. Detto questo, non possiamo non esprimere entusiasmo per questa piccola raccolta beethoveniana diretta da Igor Markevitch, esempio perfetto dell’eccellenza della scuola russa (anzi, essendo nato nel 1912, sovietica). Si ascoltano l’ouverture di Coriolano, la Zu Namensfeier, la Leonore III, la Consacrazione della casa, l’ouverture di Fidelio e quella di Egmont. Markevitch ne asseconda sapientemente i contrasti e l’impeto strümer; le dinamiche sono sviluppate in tutta la loro varietà, con pianissimi impalpabili ma non evanescenti né privi di corpo, i crescendo fremono di un’impellenza tutta beethoveniana, ma senza che venga mai meno un senso d’equilibrio, senza che la magniloquenza ne inquini la nobile semplicità e l’inquieta grandezza. Impressionano la fluidità e la misura del direttore, quella misura rigorosa che non imbriglia il respiro musicale, ma lo mette al riparo da ogni tentazione retorica o esibizionistica e rende quindi ogni lettura di Markevitch quanto mai moderna e attuale. Non assistiamo, insomma, alla celebrazione del mito del maestro, ma alla semplice affermazione di Beethoven, ovvero del corrispettivo musicale di quel che fu Goethe in letteratura: rivoluzionario, visionario, energico, eroico, latore temi del sentimento e della natura quali svilupperà il Romanticismo ma saldamente ancorato a radici classiche. Magnifico, per esempio, l’impeto dell’Egmont, perfettamente bilanciato e scevro da gratuite espansioni o velleitari conati. Una vera lezione di stile e dedizione all’arte, d’intimo sentire musicale che non ha bisogno di plateali esternazioni, ma si afferma irresistibile nella sua semplicità e nella sobrietà di un lavoro sul dettaglio alieno da ogni tentazione leziosa e manierista. Spiace solo che un musicista di questo calibro in Italia sia balzato agli onori delle cronache più che per le sue qualità artistiche (comunque ben apprezzate nelle principali istituzioni concertistiche) per il sospetto, rivelatosi infondato, di responsabilità occulte negli anni di piombo. Markevitch meriterebbe invece di essere celebrato nell’Olimpo dei grandi direttori. Ottimo il riversamento curato dall’Istituto Discografico Italiano, cui ci sentiremmo solo di consigliare un paio di secondi di silenzio in più nel passaggio da una traccia e l’altra.

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