Giosetta Guerra
Introdotta al pubblico dal Sovrintendente Simone
Brunetti, coadiuvato da una traduttrice russa per il pubblico straniero in teatro, ELENA OBRAZTSOVA si presenta in sala (20 gennaio 2010) con una splendida mise nera, accompagnata dal pianista Giulio Zappa. Ci viene annunciato che il mezzosoprano russo, nonostante una forte tracheo-bronchite, contratta nel suo recente peregrinare per teatri, canterà lo stesso. Ahi!
Il programma viene ovviamente privato delle arie più famose della Carmen e del Sansone e Dalila e si snocciola in un susseguirsi di brevi pagine poco note di Vivaldi, Hahan, Poulenc, Satie, romanze russe, cui si aggiungono due arie conosciute da Werther di Massenet e da La dama di picche di Ciakovskij e tre bis (La vucchella, l’aria dell’ubriaca dalla Périchole e la musicalissima canzone a tempo di walzer lento Im Chambre separée dall’operetta fine ottocento Der Opernball di Richard Heuberger).
Artista d’alto rango, la Obraztsova, originaria di San Pietroburgo, dove attualmente tiene una scuola di canto lirico, ha riscosso plateali consensi nei principali teatri del mondo dopo il suo debutto al Bolscioj nel 1963, ha cantato con i più noti direttori accanto ai più famosi artisti lirici e l’impronta della sua arte resterà indelebile nei secoli. Purtroppo il tempo fa il suo spietato percorso e, se non cambia il carattere, che nel caso della Obraztsova mantiene la comunicativa e la determinazione, lede a poco a poco le peculiarità vocali di un cantante, intaccando la fermezza e la brillantezza del suono, l’omogeneità dell’emissione, la tenuta dei fiati, lo smalto e la potenza della voce.
La Obraztsova canta ancora, grazie soprattutto alla sua tecnica consolidata, e si sente la sua classe, ma non inonda più le platee col fiume della sua voce, risolve tutto con le mezze voci, i filatini e qualche falsetto nel passaggio di registro, mentre i gravi risultano pieni ma poco musicali. L’interpretazione resta sempre quella di una grande artista.
Sarebbe stato meglio presentare alcuni allievi della sua scuola e far cantare al mezzosoprano alcune arie come una chicca della serata. Sarebbe stato più gratificante per tutti.
E poi questa platea rialzata, con l’artista quasi tra le braccia della gente, dà un’atmosfera più salottiera, ma meno importante.
Il programma viene ovviamente privato delle arie più famose della Carmen e del Sansone e Dalila e si snocciola in un susseguirsi di brevi pagine poco note di Vivaldi, Hahan, Poulenc, Satie, romanze russe, cui si aggiungono due arie conosciute da Werther di Massenet e da La dama di picche di Ciakovskij e tre bis (La vucchella, l’aria dell’ubriaca dalla Périchole e la musicalissima canzone a tempo di walzer lento Im Chambre separée dall’operetta fine ottocento Der Opernball di Richard Heuberger).
Artista d’alto rango, la Obraztsova, originaria di San Pietroburgo, dove attualmente tiene una scuola di canto lirico, ha riscosso plateali consensi nei principali teatri del mondo dopo il suo debutto al Bolscioj nel 1963, ha cantato con i più noti direttori accanto ai più famosi artisti lirici e l’impronta della sua arte resterà indelebile nei secoli. Purtroppo il tempo fa il suo spietato percorso e, se non cambia il carattere, che nel caso della Obraztsova mantiene la comunicativa e la determinazione, lede a poco a poco le peculiarità vocali di un cantante, intaccando la fermezza e la brillantezza del suono, l’omogeneità dell’emissione, la tenuta dei fiati, lo smalto e la potenza della voce.
La Obraztsova canta ancora, grazie soprattutto alla sua tecnica consolidata, e si sente la sua classe, ma non inonda più le platee col fiume della sua voce, risolve tutto con le mezze voci, i filatini e qualche falsetto nel passaggio di registro, mentre i gravi risultano pieni ma poco musicali. L’interpretazione resta sempre quella di una grande artista.
Sarebbe stato meglio presentare alcuni allievi della sua scuola e far cantare al mezzosoprano alcune arie come una chicca della serata. Sarebbe stato più gratificante per tutti.
E poi questa platea rialzata, con l’artista quasi tra le braccia della gente, dà un’atmosfera più salottiera, ma meno importante.
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